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Nuove regole per fare diventare lo “smart working” veramente intelligente
Rendimenti in calo: il lavoro agile e i problemi da risolvere per il futuro
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 aprile 2021
Il lavoro a distanza che troppi, anche in Italia, chiamano “Smart Working” (come se tutti gli altri lavori non fossero intelligenti) era stato all’inizio pensato solo per particolarissime prestazioni. Con lo sviluppo del digitale, quest’innovazione si è progressivamente estesa e, dopo l’arrivo della pandemia, la sua diffusione è esplosa, fino a diventare abituale per una grande parte di coloro che non sono obbligati ad adempiere alle proprie funzioni nei tradizionali luoghi di lavoro, come gli operai o gli agricoltori.
Le attività a distanza alterano, in modo radicale, i tradizionali elementi fondanti del rapporto di lavoro: il tempo e lo spazio.
Da un anno il lavoro a distanza è una pratica comune a milioni di italiani e viene attuato in mille diversi modi, sempre alla ricerca di un difficile equilibrio fra le esigenze della vita personale e le necessità dell’attività professionale.
Un equilibrio che si compone e ricompone continuamente, con enormi difficoltà nel definire le ore effettive di lavoro, il livello della sua produttività e le modalità con le quali deve essere eseguito.
E, soprattutto, con la mancanza della consapevolezza di quanti e quali posti di lavoro verranno a mancare all’interno o all’esterno delle strutture che lo praticano.
I nuovi problemi sono imprevedibili ed infiniti. Non solo riguardano la determinazione della percentuale di attività da compiere a casa o in ufficio, ma anche come inserire i nuovi assunti in professioni che quasi necessariamente esigono un gioco di squadra o un rapporto continuativo con clienti e utenti.
Problema che è esploso nella Pubblica Amministrazione, settore in cui ci siamo trovati di fronte a casi nei quali il servizio è stato prestato in modo sostanzialmente regolare ed in altri nei quali il cittadino non ha avuto alcuna possibilità di prendere contatto con gli uffici.
Vi sono strutture pubbliche nelle quali, da ormai oltre un anno, non è più entrato nessuno.
Nel variegato mondo dei lavoratori a distanza, la distinzione fra gli imboscati e coloro che lavorano il doppio è un compito di così difficile soluzione che, in molti casi, non viene nemmeno affrontato. Mancano infatti le regole per stabilirlo.
A questo si deve aggiungere la necessità di disciplinare problemi, pur ovvi ed elementari, dei quali non si è potuto ancora tenere conto, come gli incidenti nel lavoro a domicilio.
Di fronte alla varietà dei casi che questa rivoluzione presenta, sono state altrettanto numerosi gli esperimenti di cambiamento organizzativo e di adattamento delle strutture degli uffici.
Su tutto questo abbiamo ormai moltissime analisi e valutazioni, ma non stiamo ancora procedendo verso la preparazione di un quadro generale di regolamentazione della materia.
Si tratta di un’operazione complessa, nella quale non sarà certo possibile includere le infinite sfumature che il lavoro a distanza presenta.
Tuttavia i diritti e i doveri che da quest’innovazione nascono, o sono trasformati, non possono essere ignorati né dal legislatore né dai sindacati né dai responsabili del mondo imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione.
Mi rendo conto che non è facile produrre regole per il lavoro a distanza in un periodo in cui esso è condizionato da una situazione di assoluta emergenza, ma proprio perché si tratta di un compito che inciderà per sempre su tutti gli aspetti della nostra vita futura, diventa indispensabile costituire un gruppo di lavoro, rappresentativo di tutte le categorie interessate, che possa fornire ai legislatori gli elementi di conoscenza necessari per disciplinare questo settore, tenendo conto non solo delle conseguenze sul mondo del lavoro, ma sull’intera società.
Pensiamo ad esempio alle trasformazioni che si produrranno nelle nostre città, che sono sempre state (e tuttora sono) la sede privilegiata del lavoro, soprattutto impiegatizio e del commercio, quando il lavoro e il commercio tenderanno ad allontanarsi dalle città stesse.
Abbiamo il diritto e il dovere di sapere quali saranno i vantaggi e gli svantaggi di queste trasformazioni che già incidono sulla vita di milioni di persone.
Abbiamo assolutamente bisogno di approfondire quali saranno le conseguenze sugli italiani che vedranno direttamente modificate le proprie condizioni di vita e le proprie prospettive di occupazione.
Non si tratta solo dell’ingente numero di persone che ne sono direttamente interessate: le trasformazioni in corso vanno ben oltre i settori produttivi.
Le nostre città non sono solo il luogo dello scambio delle merci, ma dello scambio del sapere e della fermentazione necessaria per progredire nella ricerca, nella cultura e nel divertimento.
Anche se sappiamo benissimo che una parte di questo futuro è imprevedibile, abbiamo però il dovere di cercare di capire fino a dove possano arrivare le conseguenze della rivoluzione in corso.
Deve essere infatti ben chiaro che, se non usiamo lo “Smart Working” in modo intelligente, il lavoro a distanza provocherà più danni che benefici.
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