di Federico Fubini (Corriere della Sera)
La coda a un bancomat alla Sberbank, domenica 27 febbraio (Ap)
Non dobbiamo sbagliarci. Le misure annunciate sabato sera dagli Stati Uniti, dalla Commissione europea e dai principali Paesi del continente (oltre all’Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna) non sono solo una ritorsione per l’attacco della Russia all’Ucraina. Non sono solo il tentativo di ostacolare le attività di affari degli oligarchi o ridurre il tasso di crescita del Paese in mano a Vladimir Putin.
No, sono un atto di guerra. Una guerra difensiva che risponde alla più grave aggressione a uno Stato e ai principi di libertà, democrazia e autodeterminazione mai visto sul suolo europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Solo se si tiene presente questo significato di fondo, si può comprendere quali sono gli obiettivi da raggiungere e le trappole da evitare.
Perché questa non dev’essere una ripetizione della seconda guerra mondiale, neanche sul piano finanziario.
Allora le potenze alleate, Gran Bretagna e Stati Uniti, dichiararono un embargo totale sulla Germania nazista e il divieto per le banche e banche centrali di tutti i Paesi accettassero oro da essa — dato che il Reichsmark era ormai intoccabile — in operazioni di scambio per materie prime e derrate alimentari. Ma anche mentre accettava rifugiati ebrei in fuga dall’Italia e altri Paesi, la Svizzera continuò ad accettare oro dalla Germania in cambio di materie prime, senza chiedere quale ne fosse la provenienza: anche oro depredato agli ebrei stessi e ai Paesi sottomessi. La guerra durò più a lungo per questo.
L’obiettivo delle sanzioni decise ieri dagli occidentali è generare l’opposto di questo scenario. La Russia oggi va paralizzata finanziariamente, le sue banche portate all’insolvenza, il rublo mandato in un avvitamento che genera iperinflazione, l’opinione pubblica e persino gli oligarchi e le élite di regime spostate su posizioni ostili a Putin, che sarà il colpevole ultimo dell’impoverimento del Paese.
1. La paralisi della banca centrale russa
Le misure più dirompenti decise ieri dagli Stati Uniti e dagli alleati europei riguardano la banca centrale russa: non potrà più usare le sue consistenti riserve in dollari e in euro per salvare le banche commerciali, che di fatto da domani non riusciranno più a rifinanziare (cioè rimborsare assumendo nuovi debiti, a rotazione continua) la loro esposizione in valuta forte con scadenze di breve termine.
Non solo. La banca centrale russa non potrà neppure operare con le modalità che ha disperatamente cercato di praticare in questi ultimi giorni, peraltro senza successo: bussare alle porte delle grandi banche centrali del pianeta, quelle delle valute forti del mondo libero, per chiedere essa stessa operazioni di rifinanziamento in dollari e in euro. Diminuisce così in modo significativo la potenza del principale strumento finanziario con cui Putin aveva preparato la guerra: la costruzione di riserve sovrane, grazie ala vendita di gas e petrolio, stimate dai governi occidentali pari all’equivalente fra 550 e 700 miliardi di dollari.
2. Il colpo alle banche commerciali e il «bank run» in Russia
Aumenta invece l’efficacia delle altre sanzioni sulle banche, quelle più importanti del pacchetto varato ieri sera: un certo numero di istituti commerciali russi si vedono proibire l’accesso a operazioni in euro e in dollari e dunque anche il rifinanziamento dei loro debiti in euro e in dollari.
Quando la lista sarà resa nota, è molto probabile che risultino incluse le due prime banche del Paese, Sberbank e Vtb (entrambe a controllo pubblico). La prima ha un’esposizione per 350 miliardi di euro, la seconda pari a 214 miliardi di euro (in aggregato, debiti per circa un terzo del prodotto lordo russo). Entrambe venerdì sono crollate in borsa al punto da dimezzare la loro capitalizzazione, ma il crollo proseguirà sicuramente domani. Di fatto quelle banche sono tagliate fuori dai mercati mondiali.
La prospettiva già da giorni sta seminando il panico fra gli investitori e i risparmiatori russi, che si sono precipitati a ritirare gli euro e i dollari dalle principali banche del Paese al punto da metterle in grande difficoltà. Ormai è impossibile ottenere valuta estera da una banca russa e con difficoltà si ottengono gli stessi rubli, per il momento. È in corso un vero è proprio «bank run» in Russia, una corsa agli sportelli. Le banche europee a Mosca registrano invece forti afflussi di valuta forte, perché i risparmiatori russi portano i loro patrimoni presso istituti dei quali hanno fiducia che non saranno messi sotto sanzioni.
3. Il rublo e l’iperinflazione
Intanto il declassamento del debito russo a «spazzatura» da parte dell’agenzia di rating S&P fa sì che anche oggi valgano di meno anche quei titoli di Stato di Mosca portati in garanzia da tutte le banche russe per ottenere prestiti. Da domattina anche le banche russe non sanzionate dovranno dunque reintegrare le garanzie per mantenere le proprie posizioni: dovranno cioè portare più valori, più titoli obbligazionari a garanzia dei loro debiti nel mondo per non essere costrette a rimborsare subito tutto, oppure fallire.
La banca centrale di Mosca sta già reagendo con il solo strumento che le resta: stampare rubli in abbondanza e rifornire i bancomat e gli sportelli bancari con quelli, per cercare di tamponare il «bank run» a Mosca e nelle altre grandi città. Ma l’eccessiva creazione di una moneta ormai intoccabile all’estero può solo farne crollare ancora di più il valore, in un avvitamento che genererà iperinflazione.
Il rublo ha già perso oltre l’8% sull’euro e sul dollaro solo negli ultimissimi giorni, ma lunedì crollerà molto di più.
4. I tre rischi: le ritorsioni sul gas, la Cina, la «falla» svizzera
Quali sono i rischi?
Il più immediato — su cui Gazprom questa mattina ha cercato di rassicurare l’Europa — è che la Russia risponda bloccando le forniture di petrolio e soprattutto di gas al Vecchio continente (queste ultime però le fruttano entrate per circa 50 miliardi di euro all’anno). Per l’Italia sarebbe senz’altro un problema, perché attualmente il Paese ha un’autosufficienza completa di circa 14 settimane senza nuovi arrivi di gas russo, che rappresentano circa il 43% delle importazioni totali della materia prima nel Paese.
Però l’aumento del pompaggio dagli altri fornitori (Algeria, Libia, Azerbaigian, Norvegia) e la riattivazione delle centrali a carbone dovrebbe garantire che il Paese possa arrivare almeno fino a luglio senza misure molto significative di riduzione dei consumi.
Il secondo rischio è che la Cina corra in soccorso della Russia, diventandone il prestatore internazionale di ultima istanza, di fatto sottomettendo Putin alle proprie condizioni e lanciando una sfida senza precedenti all’Occidente.
Si profilerebbe uno scontro di proporzioni storiche, tutto sul piano finanziario, fra mondo libero e grandi dittature del mondo emergente. Ma questo lo si capirà solo nelle prossime settimane.
Resta poi di fondamentale importanza che la Svizzera non pratichi lo stesso gioco ambiguo della seconda guerra mondiale, ma si allinei alle misure di Europa e Stati Uniti.
I primi segnali sono incoraggianti: nelle ultime ore anche le banche svizzere hanno ricevuto dalle loro autorità una lunga lista di clienti russi ai quali bloccare l’operatività da lunedì. Le reti della finanza internazionale si stringono attorno agli oligarchi del sistema putiniano in tutto il mondo libero.
Nel frattempo l’embargo sui semiconduttori, le parti di ricambio degli aerei e i sistemi industriali dell’estrazione petrolifera e metaniera (un’industria, quest’ultima, nella quale l’Italia è forte) mirano a bloccare nel medio e lungo termine la capacità tecnologica della Russia in tutti i settori strategici.
Non dobbiamo sbagliarci. Le misure annunciate sabato sera dagli Stati Uniti, dalla Commissione europea e dai principali Paesi del continente (oltre all’Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna) non sono solo una ritorsione per l’attacco della Russia all’Ucraina. Non sono solo il tentativo di ostacolare le attività di affari degli oligarchi o ridurre il tasso di crescita del Paese in mano a Vladimir Putin.
No, sono un atto di guerra. Una guerra difensiva che risponde alla più grave aggressione a uno Stato e ai principi di libertà, democrazia e autodeterminazione mai visto sul suolo europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Solo se si tiene presente questo significato di fondo, si può comprendere quali sono gli obiettivi da raggiungere e le trappole da evitare.
Perché questa non dev’essere una ripetizione della seconda guerra mondiale, neanche sul piano finanziario.
Allora le potenze alleate, Gran Bretagna e Stati Uniti, dichiararono un embargo totale sulla Germania nazista e il divieto per le banche e banche centrali di tutti i Paesi accettassero oro da essa — dato che il Reichsmark era ormai intoccabile — in operazioni di scambio per materie prime e derrate alimentari. Ma anche mentre accettava rifugiati ebrei in fuga dall’Italia e altri Paesi, la Svizzera continuò ad accettare oro dalla Germania in cambio di materie prime, senza chiedere quale ne fosse la provenienza: anche oro depredato agli ebrei stessi e ai Paesi sottomessi. La guerra durò più a lungo per questo.
L’obiettivo delle sanzioni decise ieri dagli occidentali è generare l’opposto di questo scenario. La Russia oggi va paralizzata finanziariamente, le sue banche portate all’insolvenza, il rublo mandato in un avvitamento che genera iperinflazione, l’opinione pubblica e persino gli oligarchi e le élite di regime spostate su posizioni ostili a Putin, che sarà il colpevole ultimo dell’impoverimento del Paese.
1. La paralisi della banca centrale russa
Le misure più dirompenti decise ieri dagli Stati Uniti e dagli alleati europei riguardano la banca centrale russa: non potrà più usare le sue consistenti riserve in dollari e in euro per salvare le banche commerciali, che di fatto da domani non riusciranno più a rifinanziare (cioè rimborsare assumendo nuovi debiti, a rotazione continua) la loro esposizione in valuta forte con scadenze di breve termine.
Non solo. La banca centrale russa non potrà neppure operare con le modalità che ha disperatamente cercato di praticare in questi ultimi giorni, peraltro senza successo: bussare alle porte delle grandi banche centrali del pianeta, quelle delle valute forti del mondo libero, per chiedere essa stessa operazioni di rifinanziamento in dollari e in euro. Diminuisce così in modo significativo la potenza del principale strumento finanziario con cui Putin aveva preparato la guerra: la costruzione di riserve sovrane, grazie ala vendita di gas e petrolio, stimate dai governi occidentali pari all’equivalente fra 550 e 700 miliardi di dollari.
2. Il colpo alle banche commerciali e il «bank run» in Russia
Aumenta invece l’efficacia delle altre sanzioni sulle banche, quelle più importanti del pacchetto varato ieri sera: un certo numero di istituti commerciali russi si vedono proibire l’accesso a operazioni in euro e in dollari e dunque anche il rifinanziamento dei loro debiti in euro e in dollari.
Quando la lista sarà resa nota, è molto probabile che risultino incluse le due prime banche del Paese, Sberbank e Vtb (entrambe a controllo pubblico). La prima ha un’esposizione per 350 miliardi di euro, la seconda pari a 214 miliardi di euro (in aggregato, debiti per circa un terzo del prodotto lordo russo). Entrambe venerdì sono crollate in borsa al punto da dimezzare la loro capitalizzazione, ma il crollo proseguirà sicuramente domani. Di fatto quelle banche sono tagliate fuori dai mercati mondiali.
La prospettiva già da giorni sta seminando il panico fra gli investitori e i risparmiatori russi, che si sono precipitati a ritirare gli euro e i dollari dalle principali banche del Paese al punto da metterle in grande difficoltà. Ormai è impossibile ottenere valuta estera da una banca russa e con difficoltà si ottengono gli stessi rubli, per il momento. È in corso un vero è proprio «bank run» in Russia, una corsa agli sportelli. Le banche europee a Mosca registrano invece forti afflussi di valuta forte, perché i risparmiatori russi portano i loro patrimoni presso istituti dei quali hanno fiducia che non saranno messi sotto sanzioni.
3. Il rublo e l’iperinflazione
Intanto il declassamento del debito russo a «spazzatura» da parte dell’agenzia di rating S&P fa sì che anche oggi valgano di meno anche quei titoli di Stato di Mosca portati in garanzia da tutte le banche russe per ottenere prestiti. Da domattina anche le banche russe non sanzionate dovranno dunque reintegrare le garanzie per mantenere le proprie posizioni: dovranno cioè portare più valori, più titoli obbligazionari a garanzia dei loro debiti nel mondo per non essere costrette a rimborsare subito tutto, oppure fallire.
La banca centrale di Mosca sta già reagendo con il solo strumento che le resta: stampare rubli in abbondanza e rifornire i bancomat e gli sportelli bancari con quelli, per cercare di tamponare il «bank run» a Mosca e nelle altre grandi città. Ma l’eccessiva creazione di una moneta ormai intoccabile all’estero può solo farne crollare ancora di più il valore, in un avvitamento che genererà iperinflazione.
Il rublo ha già perso oltre l’8% sull’euro e sul dollaro solo negli ultimissimi giorni, ma lunedì crollerà molto di più.
4. I tre rischi: le ritorsioni sul gas, la Cina, la «falla» svizzera
Quali sono i rischi?
Il più immediato — su cui Gazprom questa mattina ha cercato di rassicurare l’Europa — è che la Russia risponda bloccando le forniture di petrolio e soprattutto di gas al Vecchio continente (queste ultime però le fruttano entrate per circa 50 miliardi di euro all’anno). Per l’Italia sarebbe senz’altro un problema, perché attualmente il Paese ha un’autosufficienza completa di circa 14 settimane senza nuovi arrivi di gas russo, che rappresentano circa il 43% delle importazioni totali della materia prima nel Paese.
Però l’aumento del pompaggio dagli altri fornitori (Algeria, Libia, Azerbaigian, Norvegia) e la riattivazione delle centrali a carbone dovrebbe garantire che il Paese possa arrivare almeno fino a luglio senza misure molto significative di riduzione dei consumi.
Il secondo rischio è che la Cina corra in soccorso della Russia, diventandone il prestatore internazionale di ultima istanza, di fatto sottomettendo Putin alle proprie condizioni e lanciando una sfida senza precedenti all’Occidente.
Si profilerebbe uno scontro di proporzioni storiche, tutto sul piano finanziario, fra mondo libero e grandi dittature del mondo emergente. Ma questo lo si capirà solo nelle prossime settimane.
Resta poi di fondamentale importanza che la Svizzera non pratichi lo stesso gioco ambiguo della seconda guerra mondiale, ma si allinei alle misure di Europa e Stati Uniti.
I primi segnali sono incoraggianti: nelle ultime ore anche le banche svizzere hanno ricevuto dalle loro autorità una lunga lista di clienti russi ai quali bloccare l’operatività da lunedì. Le reti della finanza internazionale si stringono attorno agli oligarchi del sistema putiniano in tutto il mondo libero.
Nel frattempo l’embargo sui semiconduttori, le parti di ricambio degli aerei e i sistemi industriali dell’estrazione petrolifera e metaniera (un’industria, quest’ultima, nella quale l’Italia è forte) mirano a bloccare nel medio e lungo termine la capacità tecnologica della Russia in tutti i settori strategici.
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