L’energia e il rischio di una guerra commerciale USA – Europa

Editoriale di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 novembre 2022
In questi giorni a Bruxelles hanno molti problemi in agenda, alcuni in via di soluzione e altri in alto mare.
Da un lato Paolo Gentiloni sta progressivamente componendo le tessere di un difficile mosaico dedicato a riformare il patto di stabilità. Il non facile compito è di renderlo compatibile con le prospettive di crescita, sostenibilità e flessibilità dell’Unione Europea.
Dall’altro, mentre questo faticoso lavoro procede nella giusta direzione, la tempesta energetica ha di nuovo oscurato l’orizzonte europeo, dimostrando che, anche in questo settore così importante, una politica comune non sembra ancora raggiungibile.

Non si vede infatti quale sia la prospettiva di un tetto al prezzo del gas pari al doppio di quello praticato nel mercato. D’altra parte l’imposizione di un prezzo ad esso inferiore farebbe semplicemente spostare la fornitura del gas verso altri lidi, specie quelli asiatici.
Di fronte allo squilibrio fra la domanda e l’ offerta causata dalle minori forniture russe, l’unica difesa concreta è la diminuzione della domanda accompagnata dall’aumento della produzione interna, a partire dalle fonti rinnovabili. Il guaio è che, per diversi motivi, i necessari equilibri dei sistemi energetici, specialmente quelli elettrici, sono estremamente difficili da raggiungere.

In Germania la paura di una futura scarsità di gas ha spinto le famiglie a passare al riscaldamento elettrico, provocando in poche settimane l’acquisto di 650 mila nuovi ventilatori e la concreta prospettiva di futuri blackout.
Ci mancava solo la siccità, che ha prodotto una riduzione senza precedenti della produzione idroelettrica europea.

Nei limiti della capacità di rigassificazione esistente e a prezzi molto elevati, sono stati acquistati grandi volumi di gas liquefatto, soprattutto dagli Stati Uniti. Nonostante questi sforzi lo squilibrio rimane, mentre gli alti prezzi stanno mettendo a dura prova le economie e i bilanci pubblici europei con una duplice tenaglia.
Da un lato gli impressionanti esborsi in conseguenza di una bolletta energetica dell’UE salita a 1.000 miliardi di Euro e, dall’altro, il peso dei pur necessari sussidi alle imprese e ai consumatori, che hanno già raggiunto i 580 miliardi. Un’autorevole ricerca del centro studi Bruegel (riportata dall’Economist) calcola che gli esborsi degli stati europei per fare fronte all’aumento dei prezzi dell’energia siano oggi equivalenti alle spese sostenute per il finanziamento di tutta la pubblica istruzione.

Ai problemi elencati in precedenza si aggiunge la grande preoccupazione delle cancellerie europee per la recente decisione americana di sussidiare le imprese nazionali dei settori più importanti con l’enorme cifra di 369 miliardi, forniti da una istituzione chiamata IRA (Inflation Reduction Act).
La differenza nel prezzo dell’energia e questi sussidi non possono che provocare, come ovvia conseguenza, lo spostamento di investimenti e imprese verso gli Stati Uniti, la progressiva deindustrializzazione dell’Europa e l’apertura di una vera e propria guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico.

Lungo è il rapporto di collaborazione militare fra questi due tradizionali grandi fornitori di gas all’Italia e altrettanto lungo è il nostro rapporto di amicizia e cooperazione con l’Algeria.
Si tratta comunque di un’altra tessera del mosaico che deve essere attentamente messa sotto osservazione quando si prendono in esame le conseguenze di questa maledetta guerra.

A sua volta l’Italia non può che proseguire nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento, nell’aumento del numero delle stazioni di rigassificazione, nello sfruttamento di ogni risorsa interna con la ripresa dell’estrazione di idrocarburi e nella moltiplicazione degli impianti di energie alternative.
A questo si deve aggiungere una politica dedicata ad un’attenta diminuzione dei consumi, sempre con la speranza che un inverno non troppo rigido ci permetta di riportare il mercato dell’energia verso la normalità.
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