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Polonia: la voglia di Europa che orienta gli elettori
Il voto in Polonia – La voglia di Europa che orienta gli elettori
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 ottobre 2023
Il voto polacco costituisce una piacevole sorpresa ma, nello stesso tempo, una conferma. La sorpresa nasce dal fatto che nessuno prevedeva che il partito che da otto anni governava la Polonia con un piglio autoritario e antidemocratico, esercitando una netta leadership tra i paesi populisti ed euroscettici, fosse messo in minoranza da una coalizione ancora in via di costruzione.
La conferma nasce invece dal fatto che, quando un paese viene messo di fronte alla concreta ipotesi di staccarsi dall’Europa, il populismo perde gran parte della sua capacità di attrazione.
In questo caso il cambiamento assume particolare importanza perché la Polonia, per la sua rilevanza demografica, politica ed economica, era, fino a oggi, la riconosciuta guida dei paesi euroscettici e la battaglia elettorale si è giocata soprattutto sui problemi europei, utilizzati con una violenza che ha radici nella storia passata, ma che non riesce ad interpretare il mondo di oggi e a prepararne il futuro.
Basti riflettere sul fatto che la più pesante accusa che il primo ministro Kaczyński ha rivolto a Tusk durante la campagna elettorale è stato di essere servo dei tedeschi. Questo in un tempo in cui una parte prevalente dello sviluppo polacco è proprio dovuta allo stretto legame con la Germania sia come investitore che come paese destinatario della produzione polacca.
Lo scontro così aspro e la grandezza della posta in gioco hanno provocato la mobilitazione dell’elettorato in un paese in cui il governo controlla strettamente non solo tutti gli apparati dello stato, a partire dalla giustizia, ma la quasi totalità dei media.
Alla fine ha vinto l’ex Presidente del Consiglio Europeo, proprio la persona che, dal punto di vista del governo in carica, rappresentava il simbolo di ogni male.
La leadership antieuropea passa ora nelle mani del leader ungherese Orbán che rappresenta tuttavia un’alternativa assai debole, anche perché il suo alleato più stretto, cioè lo slovacco Fico, è stato costretto a formare il governo con un partito alleato che non ne condivide la politica antieuropea.
Naturalmente anche per la coalizione che ha prevalso nelle elezioni polacche la vita non sarà tutta rose e fiori. In primo luogo essa si trova di fronte all’ostilità di tutte le strutture pubbliche esistenti, dal governatore della Banca Centrale ai più alti magistrati, dai responsabili del settore bancario a quelli dell’energia, fino al Presidente della Repubblica che, forte di un mandato che scade solo nel 2025, ha il potere di veto su molte decisioni del governo.
Non meno agevole da affrontare sarà inoltre, per il nuovo governo, il problema dell’armonia fra i partiti che sono risultati vincitori, dato che il ferreo (e credo indissolubile) legame fra di loro è costituito soprattutto dall’opposizione al governo esistente. Tuttavia le posizioni su temi che hanno avuto importanza non trascurabile nella campagna elettorale sono spesso divergenti.
I due partiti che sostengono la Piattaforma Civica di Tusk fanno infatti riferimento a tradizioni politiche non coincidenti, dato che un partito ha radici liberali e l’altro eredita una tendenza di sinistra. Inoltre, alcuni temi che hanno avuto molto rilievo nella campagna elettorale, come la regolamentazione dell’aborto e la politica agricola, sono ancora in discussione e saranno oggetto di lunghe e complesse trattative, come sempre avviene nei governi di coalizione.
Con la complicazione che, in questo caso, la futura opposizione sarà dominata da un unico partito e diretta da un leader che tiene ancora saldamente in mano le più importanti leve del potere.
E’ comunque certo che l’esito delle elezioni polacche non produrrà conseguenze solo all’interno della Polonia, ma avrà grande influenza anche sui rapporti di coalizione all’interno del nostro paese. E’ evidente infatti che, con il voto di domenica scorsa e dopo la debole prestazione della spagnola Vox, la destra radicale cessa di essere una possibile alternativa europea.
Diventa quindi ancora più probabile (o quasi scontato) che le prossime elezioni europee confermeranno la prevalenza della cosiddetta coalizione “Ursula”, fondata sul proseguimento della collaborazione fra Popolari e Socialisti. Una prospettiva che, presumibilmente, renderà più facile la scelta della Presidente Meloni, dato che il leader ungherese Orbán, finora l’alleato più stretto del nostro maggior partito di governo, rimane sempre più isolato e non può certo rappresentare un partner di riferimento per la politica italiana a Bruxelles.
La spinta verso l’ “Ursulizzazione” diventa quindi molto più forte anche all’interno del governo italiano, ma obbliga a complicate contorsioni tra i diversi partiti della coalizione e all’interno degli stessi partiti, per iniziare da FdI e finire con la Lega di Salvini e Giorgetti.
Ancora una volta si deve comunque prendere atto che, passo per passo, le politiche nazionali si legano in modo inestricabile con la politica europea, che sola è in grado di garantire la rilevanza e l’esistenza stessa delle nostre amate nazioni. Ed è bene che questo necessario processo proceda nel tempo più rapido possibile, a costo di voltare le spalle al proprio passato. Anche perché si tratta di un passato che non ha alcuna possibilità di ritornare.
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