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Cisgiordania: il percorso (in salita) per la pace a Gaza e in Israele






Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero 

Da più di un mese sono due i pezzi della guerra mondiale in corso: il primo fra Russia e Ucraina e il secondo fra Israele e Palestina.

I due pezzi non si sono ancora congiunti in una vera e propria guerra mondiale, ma questa duplice tragedia rende ancora più urgente la ricerca di una pace dedicata a costruire un modello di convivenza in grado di evitare che le guerre a pezzi si riuniscano fra di loro.


Parlo di “convivenza” perché la pace non si può fondare sull’imposizione agli altri del proprio sistema politico, economico o religioso, come troppo spesso è avvenuto nel recente passato, a cominciare dalla Corea per passare all’Iraq e alle varie guerre di Afghanistan.

La pace non può che fondarsi nella ricerca di un modello di convivenza fra popoli diversi, che hanno tutto il diritto di mantenere la propria diversità, anche se destinati a vivere fianco a fianco o, addirittura, mescolati fra di loro.

Il principio vale tanto per la guerra fra Russia e Ucraina, quanto per il tragico conflitto fra Israeliani e Palestinesi, anche se le due tragedie presentano caratteri assai diversi e richiedono quindi soluzioni diverse.


Nella guerra di Ucraina vi è infatti uno scontro diretto, pur territorialmente definito, fra le grandi potenze. Dal lato dell’Ucraina si schiera tutta la Nato, mentre l’altro lato vede la “ferrea” alleanza fra Russia e Cina, anche se la Cina non gioca un ruolo di diretto partecipante, ma di indispensabile protettore.

Essa, infatti, rende possibile la resistenza dell’amico russo non solo con la protezione politica, ma con uno spettacolare aumento dell’interscambio commerciale e, soprattutto, degli acquisti di petrolio.

La pace, in questo caso, non può che essere la conseguenza di un accordo diretto fra Cina e Stati Uniti, veri e unici arbitri della situazione.


L’ Europa, infatti, pur provvedendo ad un impegno finanziario pari a quello americano, svolge un ruolo assolutamente subordinato, confermato dal fatto che, ormai arrivati quasi al ventesimo mese di guerra, non è stata in grado di esercitare alcun ruolo di mediazione nemmeno in casi particolari, come l’esportazione dei cereali.

Le due grandi potenze potranno naturalmente servirsi di intermediari, ma solo loro sono capaci di dettare le nuove regole del gioco.

Diverso è il caso del conflitto israeliano-palestinese. Da un lato gli Stati Uniti sono ancora determinanti, ma Israele ha una sua autonoma politica e forza militare. Dall’altro lato, a fianco dei palestinesi, si è direttamente schierato tutto il mondo arabo, che produce oltre un terzo del petrolio mondiale e ne possiede quasi la metà delle riserve.


I recenti eventi hanno di nuovo riunito i Paesi arabi nell’opposizione a Israele, e forse questo era proprio l’obbiettivo principale di Hamas.

La Russia, inoltre, si è progressivamente schierata con il mondo arabo, nonostante debba tenere conto del fatto che oltre un milione di cittadini israeliani sono di origine russa.

Nello stesso tempo, hanno però suggerito ad Israele di procedere con moderazione nella conquista di Gaza, con un maggiore impegno nella protezione dei civili.



Su questo si sono manifestati forti e imprevisti dissensi fra israeliani e americani. Inoltre, molti paesi amici di Israele, preoccupati per la tragica situazione umanitaria di Gaza, non sono più disposti a prestare un incondizionato supporto.

In Europa, in America Latina e perfino negli Stati Uniti si fa sempre più forte la spinta per una tregua umanitaria, mentre Macron, Sanchez e Lula ribadiscono, pur con toni diversi, che la lotta contro il terrorismo non giustifica il sacrificio di tanti civili e che la protezione umana non è contro Israele o contro la Palestina, ma protegge tutti.


Riusciranno gli Stati Uniti (perché solo loro lo possono fare) a imporre a Israele un così difficile passo, come mai sono stati in grado di fare in passato?

D’altra parte, dato il profondo odio che si è accumulato per tanti decenni e data la totale perdita di autorità dell’Autorità Nazionale Palestinese, non appare realistica nemmeno la soluzione di una convivenza fra palestinesi e israeliani in un unico Stato.

Il tutto garantito dalla presenza di una forte ed efficace missione internazionale di pace come quella guidata dall’Italia nel vicino Libano, nel 2006, missione che lo stesso Olmert ha citato come unico esempio di successo.


Mettere insieme un’azione mirata contro Hamas, con la restituzione della gran parte della Cisgiordania ai palestinesi, con la creazione di un’efficace Autorità Nazionale Palestinese e con l’accordo del governo israeliano non è certo un’impresa facile.

È tuttavia l’unico modo per garantire una pace duratura, perché fondata sul rispetto dei diritti di tutti.

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