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Virata a destra – il messaggio del voto olandese alla politica




Virata a destra: il messaggio del voto olandese




Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero 

La vittoria della destra estrema di Geert Wilders nelle elezioni olandesi è di particolare importanza. Mancano infatti pochi mesi alle elezioni europee del prossimo giugno e questi risultati sono un oggettivo segnale d’allarme, soprattutto perché provenienti da un paese fondatore dell’Unione, che pure negli ultimi tredici anni era stato governato dal centro-destra.

Non penso tuttavia che questo evento possa determinare una rivoluzione nel Parlamento europeo e nella Commissione che, assai probabilmente, continueranno ad essere governati dalla stessa coalizione che vede il proprio punto di riferimento nella tradizionale alleanza fra il Partito Popolare e il Partito Socialista.

I pur importanti mutamenti avvenuti in Olanda riguardano infatti un paese che comprende solo il 4% della popolazione dell’Unione: ben difficilmente possono quindi sconvolgere gli equilibri politici europei.

Il voto olandese deve tuttavia farci riflettere sui nuovi orientamenti dell’elettorato che, negli ultimi anni, ha segnato un significativo progresso della destra.

La causa dominante è da attribuire all’immigrazione. Su questo tema era caduto il precedente governo olandese, con il primo ministro Rutte costretto alle dimissioni proprio perché i partiti minoritari della coalizione non avevano accettato le sue proposte di maggiore severità in materia.

Il suo partito è addirittura crollato e i suoi elettori si sono spostati verso l’estrema destra di Wilders, significando ancora una volta che, quando si tratta di temi divisivi, l’estremismo prevale sul ragionamento e l’originale sulla copia.

Inoltre, analizzando più a fondo i voti olandesi, si evidenzia qualcosa già conosciuto in Italia: la corsa verso l’estremismo è un voto contro le città aperte e liberali come Amsterdam (che ha votato contro Wilders) in contrasto con una periferia che si sente dimenticata e culturalmente estranea rispetto ai temi progressisti. Essa si preoccupa soprattutto della propria sicurezza, inclusa ovviamente la sicurezza economica.

In secondo luogo la migrazione di voti da un un leader come Rutte, severo dal punto di vista degli equilibri economici, ma filo-europeo, in direzione di un partito ferocemente anti-europeo, dimostra come, nonostante la parentesi di solidarietà espressa nella lotta al Covid e nel PNRR, l’Unione non offra ai suoi cittadini la protezione sufficiente in un momento in cui le guerre e le tensioni si moltiplicano.

Tutto questo richiede infatti un’Europa più forte e attiva nel quadro internazionale.

Dai risultati elettorali emerge un’ulteriore riflessione, che riguarda il risultato del Partito Socialista. Il suo candidato, Frans Timmermans, si era dimesso da Vice Presidente della Commissione Europea (nella quale era responsabile della politica ambientale), con la fondata speranza di divenire il perno di una coalizione vincente, con un programma riformista e filo-europeo.

Un candidato certamente autorevole, fornito di grande intelligenza ed esperienza, a cui gli elettori hanno però rivolto un duplice rimprovero.

Il primo, che nasce dal populismo che troppo spesso è dato come morto, è stato proprio quello di essere eccessivamente raffinato e di “parlare sette lingue, ma non quella del popolo.”

Il secondo rimprovero è quello di avere portato avanti una politica ambientale che, per essere di esempio a tutto il mondo, non aveva tuttavia tenuto in dovuto conto delle sue conseguenze economiche e sociali, mentre i grandi inquinatori, partendo dagli Stati Uniti e dalla Cina, continuano ad adottare politiche molto meno severe ed economicamente più vantaggiose.

Come il problema migratorio, anche quello dell’ambiente, deve quindi essere affrontato con la consapevolezza che l’Europa ha l’obbligo di mantenere il primato di avanguardia che ha sempre esercitato in passato, ma che questo obbligo non può essere adempiuto senza tenere conto di quanto avviene nel resto del pianeta.

Cresce infatti sempre più l’allarme sulla possibilità che i doverosi sacrifici siano resi vani dai comportamenti altrui e si venga a creare una reazione in senso contrario, rendendo più fragile la doverosa battaglia ambientale.

Il voto olandese ha dimostrato che questo pericolo esiste, con una destra che finisce con l’avere maggiore successo quando si oppone in modo radicale alla politica di difesa dell’ambiente.

Tuttavia, nonostante l’affermazione che, raddoppiando i precedenti risultati, ha portato Geert Wilders ad ottenere il 23,5% dei voti, non gli sarà facile formare il nuovo governo. Il suo estremismo, ripetuto ossessivamente per vent’anni, ha reso assai dubbioso il raggiungimento della necessaria maggioranza in Parlamento.

Le trattative, come è avvenuto in passato in Olanda, dureranno quindi molti mesi e potranno anche mantenere all’opposizione il partito di Wilders.

Il che non sarebbe certo un danno per l’Italia dato che, oltre che predicare l’abbandono della lotta al cambiamento climatico, il distacco dagli organismi dell’Onu, l’uscita dall’Unione Europea e il bando al Corano e ai suoi fedeli, uno dei suoi slogan preferiti è stato quello di opporsi a ogni misura di solidarietà europea. In questo campo il suo linguaggio si è soprattutto esplicitato nel ripetere che “nessun soldo europeo deve essere dato all’Italia”. Il che non sarà un problema da poco per i politici italiani che si schierano fra i suoi amici.

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