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L’avviso di Trump e l’obbiettivo (difficile) di una difesa europea



L’avviso di Trump – L’obbiettivo (difficile) di una difesa europea


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 febbraio 2024

Non è la prima volta che Trump, con le sue improvvise e improvvide affermazioni, mette in allarme amici e alleati. Sabato scorso ha tuttavia passato ogni misura. Non si è limitato a spingere gli europei ad aumentare le spese per la difesa e nemmeno a dire che, in caso contrario, non avrebbe mosso un dito per difenderli, ma ha affermato di essere addirittura disponibile ad incoraggiare un eventuale attacco nei confronti dei paesi europei che non accettano di aumentare le loro spese militari.

Si potrebbe anche pensare che un’affermazione così esplosiva sia andata sopra le righe, in quanto pronunciata nel corso di una campagna elettorale eterna nel tempo e condotta senza esclusione di colpi. E non solo non vi è stata alcuna rettifica da parte di Trump ma, al contrario, abbiamo assistito a un robusto sostegno da parte dei collaboratori a lui più vicini.

Dato che questa presa di posizione si accompagna ad una serie di indagini demoscopiche secondo le quali la sua vittoria elettorale non è affatto improbabile, quest’esternazione ha prodotto un vero e proprio terremoto nei paesi della Nato.

In tutti i settantacinque anni di vita dell’Alleanza non era stata mai messa in dubbio la validità dell’articolo cinque, dell’Alleanza stessa, in base al quale l’eventuale attacco contro un paese membro implica la solidale difesa da parte di tutti gli altri.

Si tratta quindi della violazione del patto fondamentale che lega fra di loro i membri della Nato e che, nei lunghi decenni di vita dell’Alleanza, era stato messo in atto proprio come segno di solidarietà nei confronti degli Stati Uniti dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre del 2001.

La prima conseguenza di quest’affermazione è, naturalmente, una crescente spinta verso l’unilateralismo che sta mettendo radici sempre più profonde nel Partito Repubblicano, come estensione dell’applicazione dell’America First. Un unilateralismo che si è già manifestato con il blocco dello stanziamento dei 60 miliardi di dollari proposti da Biden in aiuto all’Ucraina.

La seconda conseguenza è l’inizio di un vero e proprio senso di smarrimento nelle cancellerie europee che hanno sempre affidato la propria sicurezza allo scudo protettivo americano, ritenuto per definizione scontato e incondizionato.

Tra i responsabili della politica europea è cominciata una preoccupata riflessione sulle modalità e le conseguenze del doversi difendere senza lo scudo americano. Si era sempre pensato a questo come un’ipotesi così lontana da non essere nemmeno presa in considerazione.

Improvvisamente si è costretti a parlare di quelle che sarebbero le conseguenze del dover garantire la propria sicurezza senza l’America che, inoltre, sposta sempre più la sua attenzione verso l’Oceano Pacifico.

Il primo pensiero va naturalmente a un aumento delle spese militari, ma non è questo il solo problema. Anzi non è nemmeno il primo problema perché un maggiore impegno finanziario serve ben poco se non si mettono insieme le strutture decisionali, l’intelligence, le industrie degli armamenti, i sistemi di comunicazione e tutti gli apparati che sono necessari per costruire un’efficiente difesa.

Il possesso del sistema militare complessivo è sempre stato una prerogativa esclusiva degli Stati Uniti. Per comprenderne l’importanza basta riflettere sul fatto che, nella recente guerra di Libia, Francia e Gran Bretagna non sarebbero nemmeno state in grado di prevalere sulle milizie di Gheddafi se non fosse venuto in loro soccorso il sistema di comunicazione e di logistica americano.

Solo l’esercito degli Stati Uniti dispone infatti di un sistema di difesa completo e autosufficiente.

Sommando la spesa complessiva di tutti i paesi europei in un unico progetto si potrebbe invece garantire la loro sicurezza in grado molto elevato.

Obiettivo che non può essere raggiunto quando non è nemmeno chiarita quale sarebbe la struttura istituzionale dedicata a decidere la strategia da adottare di fronte a una possibile aggressione.

E’ tuttavia indubbio che le sconsiderate parole di Trump siano suonate come un segnale d’allarme, anche se accolto in modo purtroppo assai differente nelle diverse piazze europee.

C’è chi, mostrando scetticismo nei confronti di un’antica possibile solidarietà europea, ha reagito proponendo un legame unilaterale dei singoli paesi con gli Stati Uniti, formalizzando in tal modo un rapporto di dipendenza quasi coloniale. Vi è stata anche una riunione del così detto triangolo di Weimar, nell’ambito del quale Germania, Polonia e Francia si sono impegnate a rafforzare la loro collaborazione.

Questi tre paesi hanno confermato l’aumento delle loro spese militari e si sono in qualche modo prenotati a costituire un primo nucleo di difesa europea, anche se nessuno ha finora accettato di abbandonare la propria autonomia strategica.

Inoltre, al vertice di Monaco sulla Sicurezza, la presidente della Commissione Von der Leyen ha proposto di superare, con una maggiore cooperazione, la troppo frammentata industria militare europea.

Le brutali espressioni di Trump hanno quindi avuto almeno la conseguenza positiva di portare di nuovo sul tavolo il problema della difesa europea, con l’obiettivo di costruire una forza comune ancora in stretta alleanza con gli Stati Uniti, ma abbastanza organizzata ed autorevole per essere in grado di partecipare in modo attivo alle più importanti decisioni strategiche e di avere un ruolo di leadership nei casi in cui sia direttamente in gioco l’interesse europeo. Si tratta di obiettivi molto difficili da raggiungere, ma che debbono essere perseguiti sia che vinca Trump sia che prevalga Biden.

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