Chrysler e Fiat
Ai denigratori antitaliani, negli Stati Uniti e del Canada dove “Fiat” significava fino a ieri: “Fix It Again, Tony”, il progetto di acquisizione della Chrysler da parte della marca automobilistica italiana deve apparire come un miserabile “calcio dell’asino” inferto dai mangiatori di spaghetti alla supremazia americana. La Fiat, infatti, era vista da loro come un fabbricante barzelletta di vetture bidone.
Per capire questo tronfio spirito di superiorità dell’abitante medio nordamericano verso la fabbrica d’automobili di Torino, basterà leggere gli articoli apparsi sui vari giornali in Nord America in cui si riesuma lo slogan anti-Fiat, basato su comodi pregiudizi, che oggi però cedono il passo all’ apprensione: “Deciderà la Fiat di salvare la moribonda Chrysler?” “Funzionerà l’alleanza Fiat-Chrysler?” “Il tocco magico di Marchionne salverà la Chrysler?”
La Fiat, da simbolo di fabbricante di macchinette-giocattolo incapaci di competere con le vere auto (guidate da veri uomini), diviene il rappresentante, oggi, di una tecnologia automobilistica europea avanzata, capace di sfornare modelli molto funzionali dai bassi consumi, al passo coi tempi.
Un altro paradosso: l’eroe senza macchia, alias “Man from Glad”, Sergio Marchionne, è un italo-canadese di Toronto, ovvero un appartenente a quel gruppo etnico su cui fino a non molto tempo fa i “veri” canadesi storcevano la bocca.
Claudio Antonelli (Montréal)
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