(The Financial Review n. 763) Che fine hanno fatto i costi standard?
Secondo Beatrice Lorenzin, ministro della salute, se ne riparlerà con le
Regioni "già a fine luglio" per dire basta ai "violenti"
tagli lineari. Si ripete la solita storia. Tutti sono d'accordo nel
condannare gli sprechi per miliardi di euro che derivano dall'assenza di
costi standard (una siringa può costare anche il quadruplo nel confronto tra
ospedale e ospedale) solo che agli annunci non seguono i fatti. Dei costi
standard se ne è occupato con grande solerzia il governo Monti. Nel
frattempo, sono passati quasi due anni senza costrutto. Cosa si può fare per
uscire da questa situazione di immobilismo? Vi sono almeno tre riflessioni:
1) Il Paese è al collasso (in cinque anni -25% nella produzione, -42% i
prezzi delle case, -5% i consumi, la disoccupazione giovanile al 43%, 100-110
miliardi il debito dello Stato verso le imprese, 133 miliardi le sofferenze
bancarie, la pressione fiscale al 53% e così via) ma non si riesce a varare
un'autentica politica industriale né una riduzione effettiva delle spese
dello Stato (vi sono oltre ottomila municipalizzate da privatizzare). In
dodici anni la forbice si è ampliata: le spese totali della PA, pari a 801
miliardi, sono aumentate di 251 miliardi (+45,7%) mentre le entrate sono
cresciute di 213 miliardi (+ 39,5%); 2) Sul "Corriere della sera",
Alesina e Giavazzi hanno ripreso ieri questo tema auspicando "un piano
credibile di riduzioni di imposte e tagli di spesa. Diciamo 50 miliardi di
minori tasse e di minori spese". Sempre sul Corriere a pag.3:
"Basta tagliare l'1% della spesa pubblica per trovare otto miliardi. Se
lo Stato costasse in proporzione come quello tedesco, si risparmierebbero 45
miliardi l'anno". 3) L'arrivo di Saccomanni al Tesoro è un fatto
positivo purché si affronti il tema del cambiamento senza far ricorso a misure
di tamponamento. Di qui la necessità di guardare al ruolo dell'Alta dirigenza
dello Stato. Lo scorso dicembre, poco prima delle dimissioni del governo
Monti, Il Sole 24Ore ha calcolato ogni giorno lo stato di attuazione (stimato
al 18-20%) dei provvedimenti governativi cui mancavano numerosi regolamenti
attuativi. In pratica, oltre l'80% dei provvedimenti era soltanto sulla carta
(ad esempio delle Province si è persa traccia...). Purtroppo, la storia si
ripete anche con il governo attuale. C'è una domanda legittima: che cosa
impedisce ai dirigenti dello Stato di procedere alla stesura dei regolamenti
attuativi in presenza di leggi dello Stato? Perché mai una crisi di governo
dovrebbe bloccare la loro attività? Al contrario, essi dovrebbero esprimere tutto
l'orgoglio della dirigenza statale nel presentare ai nuovi esponenti del
governo il lavoro fatto in esecuzione della volontà espressa dal Parlamento
sovrano. Non è il momento di voltare pagina? Si è votato il 25 febbraio. Da
allora le riforme strutturali sono ancora un "wishful thinking" per
non parlare dell'abolizione del finanziamento ai partiti e della legge
elettorale. Nel frattempo, quasi tutti gli organismi internazionali (Ocse,
Bei, Fmi, Bce) hanno fotografato questa pericolosa fase di stallo. La
Fed di Bernanke ha annunciato la fine (nel 2014) del Q3
stabilendo di fatto che la crisi negli Usa è finita. Per la
Bce il compito ora è più difficile poiché manca il ritorno
alla normalità del sistema bancario con un'Europa spaccata nelle decisioni.
In questa tenaglia, l'Italia, come teme Giavazzi, rischia di finire sotto
tutela. (Guido Colomba - copyright 2013 edizione italiana)
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Fonte: (R.F. N° 763, 25/6/2013 ore
12:52)
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