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Myrdal e le aspettative economiche

22/09/2013 19.27.37

                                              
                                              di Guido Colomba
                    Gestione caotica della finanza pubblica. Saccomanni minaccia le dimissioni.




(The Financial Review N.777) "Le aspettative guidano le scelte economiche". Il nobel Gunnar Myrdal (1974) ha il merito di aver esteso il campo dell'indagine economica ad altre discipline. Solo la classe politica italiana insieme alla casta dei superburocrati sembra del tutto insensibile a questa verità. La lettera della Bce di due anni fa (luglio 2011) è rimasta del tutto inascoltata. Le riforme non sono state fatte e l'emergenza è stata affrontata con nuove tasse. Non sorprende che cinque giorni fa il commissario Olli Rehn sia venuto a Roma a bacchettare l'Italia. Il programma di Mario Monti risulta attuato solo al 34% poiché la "casta" si è inventato il sistema di annunciare le decisioni, di tradurle in leggi che poi non vengano attuate con il trucco dei "decreti attuativi" che restano nel cassetto o vengono diluiti inesorabilmente nel tempo. Questo meccanismo, perverso, è noto a tutti. Ora, anche Saccomanni minaccia le dimissioni perché si è reso conto che non si vuole ridurre la spesa pubblica e si continua a parlare di occupazione e sviluppo semplicemente con interventi a pioggia incuranti dell'aumento del debito (oltre 80 miliardi nel 2013). "Gli italiani -dice Saccomanni - meritano la verità sulla finanza pubblica". Quali sono le aspettative italiane all'indomani della vittoria di Angela Merkel alle elezioni tedesche? La stessa Unione europea ha poche cartucce disponibili. Le banche restano deboli e debbono raccogliere capitali per cautelarsi dalle perdite. Una situazione che impedisce alle banche sottocapitalizzate di dedicare una significativa attività di prestito alle imprese. Così lo scenario della ripresa resta improbabile. Ecco perché la Banca d'Italia (con un patrimonio netto di 23,5 miliardi) è ora favorevole alla rivalutazione delle quote di partecipazione delle banche nel proprio capitale attualmente valutate a prezzi irrisori. Una soluzione che farebbe affluire all'Erario circa un miliardo di maggiore imposta sostitutiva. E' chiaro però che si tratta di "window shopping". Non sono gli artifizi contabili a poter risolvere il problema di una spesa pubblica che continua a salire. La riforma del capitolo quinto della Costituzione è un fardello ormai insostenibile. Regioni, Comuni e Province non vogliono mollare la presa sulla proprietà e la gestione delle società controllate che sono più di 5.500 sparse in tutto il territorio con una rete di partecipazioni azionarie di alcune decine di migliaia (quelle di servizio sono 33mila) dalle dimensioni tuttora incerte. Per l'Unioncamere esse rappresentano il 2% del PIL italiano. Entro fine mese, il 96% dei Comuni dovrebbe privatizzare le proprie società. Ma tutto è bloccato per l'ennesima volta. Eppure, l'ultimo censimento spiega che i risultati economici sono crollati del 77% nel solo 2011 mentre il 44% delle società locali ha chiuso in perdita. Di quanto? Si parla di un deficit pari a 1,5-2,0 miliardi di euro (nonostante l'aumento delle tariffe pari al 55% in dieci anni) ma cifre ufficiali non sono disponibili nè aggiornate al 2013. Anzi il Tesoro, quasi dieci anni fa, ha addirittura liberalizzato a favore degli Enti locali la possibilità di stipulare contratti su strumenti derivati usati per "far cassa". Lasciando in eredità un nozionale superiore ai 30 miliardi di euro e una perdita potenziale, in caso di chiusura dei contratti, stimata in 5-6 miliardi. Insomma una gestione della cosa pubblica fatta alla giornata come in un mercatino rionale. (Guido Colomba) Copyright 2013 - edizione italiana Fonte: (R.F. Anno 51 - N°777, 22/9/2013 ore 19:27)