Quando a fine carriera mi è stato proposto di andare negli Stati Uniti a dirigere la sezione americana dell' IRI Istituto per la Ricostruzione Industriale ho telefonato a Romano Prodi che aveva lasciato la presidenza dell'Istituto per la seconda volta dopo averlo risanato.
"Vai, mi ha detto, sarà un'esperienza interessante per te ma soprattutto per i tuoi figli."
Negli Stati Uniti c'ero andato un'infinità di volte per ragioni professionali. Anzi diciamo meglio: in prevalenza New York era stata per anni un punto di riferimento con le sue agenzie di pubblicità.
Ma un conto è fiondarsi in America al massimo per una settimana, e un conto è viverci stabilmente.
La sede dell'Iri si trovava a Washington una città estremamente vivibile e in pratica sconosciuta alla maggioranza dei turisti italiani per i quali America è uguale a New York, San Francisco, e le Cascate del Niagara.
Inutile dire che la decisione di andare negli Stati Uniti ha creato nella mia famiglia immediate reazioni che andavano dall'entusiasmo di mia moglie sempre pronta a trovare interesse in nuove esperienze, alle contrastate proteste dei figli che dovevano lasciare il loro amorazzi e dovevano completare uno il corso di laurea in giurisprudenza alla Luiss, e l'altro decidere se iscriversi ad una università americana (con quello che sarebbe costata).
La previsione era quella di rimanere negli Stati Uniti per non più di due, tre anni.
Dopo sarei dovuto ritornare nella sede centrale dell'Iri a Roma in Via Veneto a respirare il fumo delle sigarette degli altri colleghi dirigenti deambulanti nei corridoi in attesa del raggiungimento della pensione.
Per farla breve mi sono gettato nel lavoro per ridare smalto ad un dipartimento che negli anni era stato emarginato nella considerazione generale dei dirigenti Iri.
Quanto ai figli Max laureato col massimo dei voti e lode alla Luiss decide di trasferirsi a Washington e Marco si cimenta nella ricerca di una università di prestigio americana disposta ad accettarlo. GeorgeTown University lo accoglie e riplasma un giovane che in Italia galleggiava come tanti altri sulle recriminazioni nei confronti di tutto di tutti.
Laurea 'magna cum laude' e la voglia di affermarsi in un contesto sociale molto difficile come quello americano.
Nel frattempo avevo dato inizio alle pratiche per l'ottenimento della carta verde per me i miei familiari.
Quando si è trattato di ritornare a Roma abbiamo deciso che ormai era meglio rimanere a Washington impegnandoci in una nuova vita.
Noi emigranti di lusso se paragonati ai milioni di connazionali arrivati all'inizio del 20º secolo in questo paese, senza conoscere una parola d'inglese ma con la solida determinazione di riuscire a dare un futuro ai propri figli, lottando strenuamente contro l'ostilità delle altre componenti sociali ormai stabilizzate.
Vivendo negli Stati Uniti mi sono sorpreso ad amare sempre più intensamente il mio paese di origine, l'Italia, grazie soprattutto all'interesse e all'entusiasmo dimostrato da tanti americani quando venivano a sapere che eri italiano, di Firenze, vissuto per anni a Roma.
Perché Italia per molti miei nuovi connazionali significa il sogno di un viaggio in un paradiso di arte, cibo, moda, talento del saper vivere. Per altri che in Italia ci sono stati la voglia di tornarci.
E questo nonostante il persistere della connotazione mafiosa che viene regalata ad ogni italiano credendo di fare una battuta di spirito.
L'America paese di emigranti sembra vivere oggi uno dei momenti più cupi della sua storia di oltre 240 anni.
E noi nuovi emigranti italoamericani assistiamo con disagio al riaffiorare di mescolanze razziste in una società che sino ad ora è riuscita a plasmare culture e razze diverse in un unico contesto fatto di garanzie e di libertà.
Oscar
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La ringrazio di quanto mi ha inviato
Franco Mancuso Marcellinara Catanzaro)
Omelea è l'antico nome del mio paese:
Marcellinara.
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Senta egregio,
non so da dove ha pescato il mio
indirizzo di posta privato, ma a me italo-italiano in Giappone non intreressano
le sue storie, soprattutto se forzate.
Mi sono gia* cancellato piu*
volte ma continuano ad arrivare. Sia gentile e non mi faccia fare la parte dello
screanzato e mi tolga dalla sua lista!
Luigi Fino
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Sempre
molto bello caro Oscar
Un
caro saluto
Emanuele
Gaiarin
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Non so se ricevi il blog di Oscar Bartoli, Ci sono degli articoli
interessanti potresti inserirti o te lo giro io.
Un saluto
Giovanni
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Carissimo
Oscar
Ti leggo,non
sempre purtroppo, molto volentieri e, notando la risposta del signore in
Giappone mi sovviene l’idea che forse potresti inviare due messaggi a me dati i
contenuti sempre interessanti ed intelligenti dei tuoi post..ahahah.
SERGIO SABATINI
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Una bellissima storia........preistorica! Saluti.
Romano
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Buongiorno Oscar,
a differenza dell'abbastanza maleducato italo-giappo-italiano, anch'io non
so bene
dove Lei abbia trovato il mio indirizzo mail privato ma volevo dirLe che
sono sempre
ben felice di leggere i Suoi articoli del blog!
ad maiora
Rosa Di Stefano
(architetto romano che nel lontano 1995 non ebbe il coraggio di accettare un
lavoro a tempo indeterminato
a Baltimora e che oggi ancora se ne pente. Dal 2003 sono architetto al Comune
di Roma....!)
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Caro Oscar,
Ci conosciamo da fin troppi anni (superiamo i trenta) ed
abbiamo lavorato insieme nel bene (tanto) e nel male (poco). Da quando ti sei
trasferito in WDC sei sempre stato un punto di riferimento per noi nella patria
degli Yankees ed in tanti, io per primo con la mia famiglia, abbiamo
usufruito dell'ospitalità della tua famiglia e della tua disponibilità. Se i
tuoi articoli possono non essere graditi ad alcuni, in tanti li apprezziamo
proprio perchè, conoscendoti, sappiamo che è un tuo modo (condiviso) per
continuare a vivere insieme un'amicizia che si protrae nel tempo, anche se a
distanza. In tanti ti vogliamo bene e ti siamo grati per i tuoi messaggi.
Un abbraccio
Aldo
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Caro Oscar,
ci conosciamo ormai da tantissimi anni e ho
seguito da vicino e con affetto la vostra partenza per Washington e la
decisione di diventare poi cittadini USA.
Scrivo proprio per testimoniare la vostra
bellissima vicenda familiare e, soprattutto, la vocazione a rinnovarvi
cogliendo con coraggio e tutti insieme le
chances che la vita sa offrire.
Siete per me un esempio e venire a trovarvi
è sempre stata una grande esperienza e un riferimento importante per
comprendere la realtà americana, vivere la complessità e
la ricchezza di quella società e… sentirmi
come a casa mia anche in una città come Washington che è ‘l’ombelico del mondo’
senza mai dimenticare il nostro Bel Paese.
Vi ammiro sinceramente e vi abbraccio con
tutto il mio affetto.
Lucilla da Roma
PS: naturalmente aspetto la prossima
Letter, in barba al lettore italo-nipponico!
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Caro Oscar,
le scrivo per ringraziarla per il servizio offerto oggi a
Cristianità. Una bella comunicazione, utile e apprezzata sicuramente dai
telespettatori ma anche dagli ospiti in studio e dalla gente della Rai.
Un caro saluto e l'augurio di ogni bene
suor Myriam Castelli
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blablabla blablabla
In the United States they are all
emigrants, apart from the Native Americans and Afro Americans, the most
numerous are the English, Spanish, German, French, Italian, Poles, Russian,
Swedes, Irish and so on .... the Italians are certainly among those who
contributed most of all to make the United States of America richer in every
sense, so much so that all the US buildings of power, have taken architectural
example of what was once called Roman Empire, Italians are a proud people! in
12 October 1492 the Italian Cristoforo Colombo was the first European to set
foot in america! Italy is among the first countries that has contributed to
many inventions, some very important, Italy is the country that has the highest
cultural artistic heritage in the world, we Italians are the number 1 in
fashion, we Italians are the number 1 in food, we Italians are the number 1 to
build the most beautiful cars in the world, we Italians are the number 1 in the
construction of ships, we Italians are the best in many other things, we
Italians are simply special, all the anti Italians, you must die of envy by
suffering silently! VIVA L'ITALIA!