Guido Colomba
A Davos è giunto un messaggio chiaro: la festa è finita. Gli
Stati Uniti non accettano più di avere la bilancia commerciale in deficit
perenne con tutti e senza limiti. A maggior ragione nei confronti di chi
pratica da tempo comportamenti non corretti a cominciare dal massiccio furto
di proprietà intellettuali (brevetti, marchi) senza tralasciare i sussidi
statali che spesso rasentano il dumping. Del resto l'Europa per prima ha
adottato in questi anni vari sistemi di protezione (oltre cinquanta
provvedimenti) nei confronti di talune importazioni asiatiche (Cina e Corea
del Sud) ad es. sui pannelli solari, i frigoriferi, l'acciaio ecc. Quanto ai
rilievi di Draghi (Bce) sulla "correttezza" dei cambi basti
ricordare che quattro anni fa l'euro si è apprezzato fino a 1,3992 sul
dollaro. Nel 2011, nel pieno della crisi del debito sovrano, l'euro valeva
1,4939 sul dollaro. Il massimo è stato raggiunto nel 2008 (scoppio della
crisi Lehman Brothers) a 1,60. Eppure l'economia europea era in profonda
crisi mentre ora la Bce,
con l’euro a 1,25, rivendica una crescita più robusta del previsto ed a ritmi
più rapidi degli Usa. Insomma, c'è l'ennesima dimostrazione che l'
"explanatory journalism" è in crisi profonda. Di certo, è "one
sided" oppure denota una grave carenza di analisi e documentazione.
L'altro aspetto critico, evidenziato anche da Brexit in tema di stanza di
compensazione dei contratti in strumenti derivati, riguarda il sistema dei
pagamenti. Le "big five" sono entrate massicciamente e fanno una
concorrenza sempre più spinta verso le banche tradizionali. C'è da domandarsi
quali e quante potranno sopravvivere in termini di redditività e
competitività (non a caso le aziende di credito puntano sulla consulenza e
sulla gestione del risparmio). Anche perché a questo fenomeno irresistibile
si sommano le vendite on line, con consegna a domicilio, di colossi come
Amazon e Alibaba. Una situazione che sta sconvolgendo anche i canoni classici
dell'economia poiché costituisce, oramai è acclarato dai big data, un freno
ai prezzi alimentando una deflazione strisciante che sta mandando in tilt la
politica delle banche centrali. Tanto che la
Bce, contro ogni logica, sta proponendo solo il prolungamento
del Q.E. Con l'aggravante che questo trend si auto-alimenta in un quadro di
crescenti diseguaglianze (specie verso le giovani generazioni) che mettono in
discussione la sopravvivenza del welfare state europeo così come lo
conosciamo. La durezza della Vigilanza Bce di Francoforte nel richiedere,
nonostante le proteste, una accelerazione nella copertura dei crediti in
sofferenza (Npl) nasce proprio da questa prospettiva, carica di incertezza,
relativa alle banche tradizionali. Meglio intervenire ora che l'economia tira
prima che sia troppo tardi. L'isterismo emerso a Davos da parte di numerosi
esponenti europei (e non solo) deriva dalla incapacità di cambiare le linee
guida dell'Unione Europea nella percezione che i cambiamenti in atto sono
irreversibili. Non a caso le aziende hanno accelerato in questi mesi le
emissioni obbligazionarie approfittando della bolla di liquidità che trova il
rovescio della medaglia nella crescita delle criptovalute. Gli smart phone
dei privati continuano a ricevere ogni giorno migliaia di messaggi che
invitano i risparmiatori, ignari dei rischi, a comprare bitcoin. George Soros
non ha dubbi: "Bitcoin e le criptovalute sono una bolla e non possono
essere vere monete. Anzi, possono diventare qualcosa di peggio: strumenti in
mano a oscuri protagonisti, quali dittature che oggi le sfruttano per
costruire forzieri all'estero". E' chiaro che i governi europei e la
BCE sembrano del tutto incapaci di prendere una qualsiasi
decisione. Purtroppo, la globalizzazione finanziaria ha prodotto troppi danni
perché la Bce
possa ancora praticare la politica del "guadagnare tempo".
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