Alberto
Pasolini Zanelli
Non si può dire
che i politici americani la prendano con calma. Lo dimostra, fra le altre
indicazioni, la campagna elettorale già in corso, sia per il Congresso, dove
l’appuntamento è il prossimo novembre ma i comizi già si moltiplicano, sia
addirittura per la contesa per la Casa Bianca, in calendario addirittura fra
tre anni: ma si ascoltano già i comizi, con toni aspramente polemici e ancora
di più la campagna di raccolta dei fondi per finanziare il programma di Trump per essere rieletto e la “carica” dei democratici, che hanno forti speranze di
una rivincita. Entrambi i partiti e i gruppi di opinione ricorrono già a tutte
le armi a disposizione. La più inedita e sorprendente è quella medica: alcuni
fra i più noti medici sono già scesi in campo per controbattere diagnosi contro
diagnosi.
A cominciare sono
stati i repubblicani, anzi la Casa Bianca. Sentendosi colpito dalle riserve e
proteste non solo dell’opposizione per certi, anzi frequenti, atteggiamenti, il presidente ha chiesto un check up in gran fretta. Il referto è stato
molto positivo, addirittura troppo, il medico scelto dal presidente è un
ammiraglio, che non lo ha visitato in uniforme e ha concluso, lo sappiamo già,
che Donald Trump è in condizioni perfette in tutto, dal cuore ai calcagni, con
appena un filo di pressione alta e qualche chilo di troppo sulla bilancia. Se
si attenesse alla dieta, ha aggiunto il “giudice”, potrebbe campare duecento
anni.
Un po’ troppo, non
solo per i democratici ma per molti medici, che dopo un paio di giorni dal
verdetto ufficiale sono scesi in campo a dimostrare il contrario. A cominciare
da un luminare universitario, che ha messo sul tappeto verde diagnosi
gravemente opposte, enumerando a sua volta tutti gli organi del presidente senza
trovarne quasi nessuno in ordine. Dove uno aveva sottolineato i punti di forza,
il contradditore ha enumerato le debolezze.
È solo un
episodio, ma perfettamente in linea con le diagnosi più specificatamente
politiche. I contrasti, non è la prima volta in questa Amministrazione, si sono
concentrati su iniziative economico-politiche e sui progetti militari. A
cominciare dalle polemiche sull’immigrazione e in particolare l’intenzione di
Trump di abolire la soluzione umanitaria trovata dal suo predecessore Barack
Obama al problema dei bambini generati negli Stati Uniti da genitori entrati illegalmente.
Adesso i bambini sono cresciuti e l’attuale inquilino della Casa Bianca li
vuole rispedire a casa, in quei Paesi che egli ha definito pochi giorni fa
“cessi”. Lo scontro è molto aspro, perché Trump vuole dimostrare che egli
mantiene sempre le sue promesse e l’opposizione non rinuncia a un’occasione di
dimostrare una volta di più che l’attuale inquilino della Casa Bianca ha
sentimenti opposti alla compassione.
Nella mischia è
entrato anche il “responsabile” della Casa Bianca, John Kelly, contraddicendo
Trump con parole che possono apparire amabili. Non è vero, secondo Kelly, che
il presidente rifiuti di discutere le sue promesse elettorali e in questo caso
non è escluso che accondiscenda a un negoziato e a un compromesso. Questo
perché egli “è cambiato, evoluto”. Ha capito che “le campagne e le promesse
elettorali sono una cosa e l’impegno di governo un’altra e questo presidente è
già stato molto flessibile nel riconoscere il regno del possibile”. Trump ha
subito reagito definendo “orribile” il progetto di compromesso. Dalla Casa
Bianca è venuta anche una controffensiva contro Kelly sui programmi militari e
ha annunciato che gli Stati Uniti intendono mantenere una sostanziosa presenza
in Siria anche dopo che quella guerra durata cinque anni si è conclusa con la
vittoria del governo legale di Damasco dopo essersi estesa a tutto il Medio
Oriente, con particolare intensità in Irak a causa della rinnovata campagna militare della minoranza curda che ha trovato l’occasione per
rinnovare la sua legittima richiesta di avere uno Stato a parte, negata alla
conclusione della Prima guerra mondiale e alla dissoluzione dell’Impero
ottomano. La Turchia è ancora duramente contraria e questo la colloca stavolta
in forte contrasto con l’America, che ora sembra decisa a continuare il suo
impegno militare con la motivazione dell’appoggio ai curdi dell’Iran e, più
indirettamente ma con maggiore forza bellica, dalla Russia. È ancora più
difficile, dunque, una graduale soluzione pacifica di una fase bellica
innestata dalla generosa ma improvvida Primavera Araba.
Pasolini.zanelli@gmail.com