Condivisione e inclusione e per mantenere la pace in Europa
Intervista su Argento Vivo del 5 maggio 2019
Presidente Prodi, partiamo da un rapporto che per noi è fondamentale, quello fra le generazioni, soprattutto in una società che “invecchia”. I giovani e i giovanissimi grazie all’Erasmus e all’essere nati già cittadini europei danno quasi per scontata l’Europa, molti over-65 si sentono ancora legati all’idea di Europa. Come si può rispondere a chi cerca di mettere le generazioni l’una contro l’altra, in Italia e in Europa?
Sono assolutamente consapevole di quanto sia difficile comunicare ai giovani cosa abbia significato la costruzione dell’Unione europea. Quando ricordo loro che da oltre 70anni in Europa viviamo in pace, mentre subito fuori dai nostri confini abbiamo assistito a guerre sanguinose e persecuzioni etniche, mi guardano come a un dinosauro. I giovani sono nati nella pace, la loro è la prima generazione europea che non ha padri, fratelli o nonni morti in guerra.
Il paradosso è proprio questo: l’obiettivo dei padri fondatori era garantire alle nuove generazioni uno spazio libero di cooperazione e sviluppo, senza la paura della guerra e delle sue devastazioni. E l’obiettivo è raggiunto, ma il compito di noi “dinosauri” non può considerarsi esaurito nei loro confronti: abbiamo tutti il dovere di testimoniare il valore inestimabile della nostra pacifica convivenza. E ricordare che la pace non è mai scontata, mai garantita per sempre.
La generazione Erasmus ha conosciuto il privilegio e la libertà di muoversi per l’Europa senza i limiti delle frontiere, ha potuto vivere in una mescolanza di lingue e di conoscenze che non può esaurirsi in una forma di esperienza individuale: dobbiamo fare in modo che questa naturale propensione dei giovani al nuovo venga elaborata in pensieri nuovi e in un nuovo impegno. Dobbiamo parlare loro non solo del passato, ma di futuro e possiamo farlo a partire dai campi che sono loro più cari, come quello delle scienze e delle nuove tecnologie, dell’ambiente e dei diritti. Solo la condivisione del sapere, programmi e finanziamenti comuni possono garantire innovazione e occupazione.
Solo se torneremo ad essere davvero coesi e forti potremo incidere con politiche che tutelino l’ambiente e solo insieme si potrà progredire sulla strada dei diritti delle persone. Solo uniti potremo riportare maggiore equità ed essere più incisivi nella battaglia contro le disuguaglianze. E su questi temi è possibile trovare tante connessioni tra giovani e anziani: l’Europa forte e unita serve a tutti.
L’Emilia-Romagna è una tra le “regioni” europee più avanzate e che ha maggiori rapporti (economici ma anche e soprattutto culturali) con il resto dell’Europa. I valori di solidarietà e di buon governo ci accomunano alla parte “migliore” del continente…
E’ urgente che il processo di completamento politico dell’Europa si rimetta in moto e con esso che l’Unione rilanci i suoi valori fondanti: solidarietà, cooperazione, democrazia, uguaglianza. In tutto il mondo, dunque anche in Italia e nella nostra Regione, c’è un forte desiderio di autorità che tende a semplificare i processi e la complessità della società con l’obiettivo di consegnare in fretta i risultati. Possiamo osservare un po’ ovunque, anche se con le dovute differenze, questo fenomeno che rappresenta la crisi della democrazia: dalle Filippine dove si uccide senza regolari processi, al Pakistan e alla Cina dove il potere si accentra sempre più nelle mani di chi ha responsabilità di governo, ma anche in Europa nell’Ungheria di Orban o in Polonia. Lo stesso Trump è stato eletto per un desiderio di autorità (o autoritarismo?).
Dinnanzi ai tanti problemi che restano irrisolti i cittadini si sentono meglio rappresentati da chi promette rapide, e anche troppo facili, soluzioni. E questo è un rischio che corrono tutti i paesi. Ma l’Europa, con la sua storia e le sue conquiste, ha tutte le carte in regola per rappresentare una via alternativa. Per questo dico che le prossime elezioni europee sono fondamentali: vogliamo un’Europa che rappresenti tutti, comprese le minoranze, o vogliamo un’Europa divisa e dilaniata al suo interno dai diversi nazionalismi? Serve una presa di coscienza seria, delle forze politiche e dei cittadini stessi. Sono tra coloro che non ha risparmiato critiche all’Europa dell’immobilismo, ma resto fermamente convinto che abbiamo bisogno di più Europa e soprattutto di un’Europa che torni a fare politica. Per questo ho chiesto che fino al giorno delle elezioni europee esponessimo la bandiera dell’Europa: è una proposta che vuole risvegliare il nostro senso di appartenenza e insieme un invito a pensare, seriamente, alla posta in gioco.
Non ci nascondiamo che molti dei nostri anziani e delle nostre anziane hanno paura e vedono con diffidenza l’Europa e la libera circolazione delle persone. Cosa direbbe loro se avesse l’occasione di incontrali?
Ma io gli anziani li incontro spesso: partecipano alle mie conferenze e mentre i giovani, come dicevo poco sopra, mi guardano come vedessero un dinosauro quando ricordo che l’Europa ha garantito 70 anni di pace, gli anziani annuiscono e si commuovono. So bene che la paura oggi è spesso dominante e che la società è immersa in questo stato di allarmismo che enfatizza i numeri degli stranieri e criminalizza le persone. Ma so anche che i più anziani sanno e ricordano che la propaganda politica ha i suoi sistemi.
E ricordo bene, da anziano quale anche io sono, che noi siamo stati un paese di emigranti e sappiamo che l’accoglienza, se condotta bene, favorisce la giusta integrazione di chi raggiunge il nostro paese in cerca di occupazione in quei settori del mondo del lavoro che non attraggono più gli italiani. Le badanti sono quasi tutte straniere, gli operai agricoli, i muratori e gli addetti nei caseifici sono per lo più africani e asiatici. Diverso è invece per chi arriva qui e compie reati: in questo caso si deve essere severi.
Non dobbiamo però dimenticare che il nostro futuro dipende da come sapremo integrare i nuovi cittadini e aggregarli a quelli vecchi. Solo una società inclusiva può aspirare a continuare ad essere una società pacifica e solo una società che si comporta in modo non discriminatorio ha la possibilità di inserire la nuova linfa che arriva da lontano, ma che non per questo è sbagliata. Il fenomeno migratorio non è destinato a diminuire e non possiamo essere contenti solo perché viene bloccato in Libia, magari nei campi di tortura. E anche qui non abbiamo che una strada obbligata: l’Europa deve farsi protagonista di politiche europee in Libia e in tutta l’Africa, spezzando il gioco degli interessi dei singoli paesi, con azioni che favoriscano lo sviluppo dell’Africa e nell’interesse europeo.