Quota 100 e reddito di cittadinanza aumenteranno il debito e la disoccupazione
Pensioni e reddito: due macigni su un Paese che ha già pochi occupati
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un leggero ma continuo rallentamento dell’economia mondiale, le cui previsioni di sviluppo per l’anno in corso sono passate dal 3,9% al 3,5%. Il rallentamento è più sensibile nell’Unione Europea, dove ora si cresce ad un ritmo poco superiore all’1%, ed è molto più preoccupante in Italia: l’OCSE ci attribuisce addirittura un segno negativo dello 0,2% per l’anno in corso.
Anche se mi auguro che si sia passati dalle stime troppo ottimistiche del nostro governo ad un pessimismo eccessivo degli organismi internazionali, credo comunque che finiremo intorno allo zero, cioè ultimi tra tutti i paesi europei, con tutte le implicazioni negative in termini di livello di vita e di occupazione.
Fiumi di inchiostro sono stati spesi per spiegare le ragioni di questo ritardo attribuendone la responsabilità, ogni volta che era possibile, a fattori esterni al nostro paese.
Non ho mai negato le responsabilità di una male intesa politica di austerità da parte delle autorità europee, ma vedo che non si è mai messo abbastanza in rilievo la vera e più grave anomalia che distingue l’Italia da tutti gli altri paesi: mentre siamo tra le nazioni a più rapido ritmo di invecchiamento, la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa è enormemente più bassa rispetto agli altri paesi.
Questa percentuale è del 58% in Italia, del 61% in Spagna, del 65% in Francia e del 75% in Germania. Differenze abissali! Non c’è bisogno di spiegare che, se permangono queste differenze, non sarà assolutamente possibile avvicinarci al livello a cui sono arrivati gli altri.
Ed è altrettanto evidente che la priorità assoluta deve essere quella di elevare la percentuale degli occupati tra tutti gli italiani in età da lavoro. La decisione di introdurre la cosiddetta “quota 100”, cioè un generale pensionamento anticipato, va invece nella direzione opposta. Le conseguenze sono duplici.
In primo luogo, come i più attenti osservatori nazionali ed internazionali mettono in rilievo, questa decisione costituisce un peso tale per il bilancio pubblico da rendere impossibile la diminuzione del rapporto debito-PIL. Essa è perciò giustamente ritenuta una delle cause fondamentali dei tassi di interesse più elevati a cui siamo obbligati ad indebitarci.
In secondo luogo le analisi più accurate mettono in rilievo che, per effetto della “quota 100”, si creeranno oltre 350mila pensionati aggiuntivi. Di questi meno della metà sarà sostituita da nuovi occupati, con l’ulteriore conseguenza negativa che una parte non trascurabile di coloro che scelgono la pensione anticipata copre specializzazioni difficilmente sostituibili.
Chiarite le conseguenze oggettive della “quota 100” bisogna convenire che ben difficilmente si può prevedere una sua cancellazione. Non solo perché Salvini ne ribadisce quotidianamente il mantenimento, ma anche perché si tratta evidentemente del provvedimento più popolare tra tutti quelli presi dal governo in carica. Siamo cioè in presenza del classico dilemma fra gli interessi di lungo periodo dell’intero paese e l’obiettivo di aumentare la popolarità da parte del governo in carica. La scelta in questo caso è chiara come chiare ne saranno le conseguenze sul debito pubblico e sull’occupazione.
Più difficile è il giudizio sul reddito di cittadinanza perché lo strumento appare assai più complicato del previsto e contraddittorio fra i due obiettivi enunciati, cioè il sollievo dalla povertà e l’aiuto ad entrare nel mercato del lavoro. La complessità di questo giudizio è accresciuta dal fatto che, almeno alle prime evidenze, le domande per ottenere questo beneficio arrivano con un ritmo assai più lento del previsto.
Non vi sono state code né agli uffici postali né alle altre strutture predisposte per questo compito tanto che, a leggere gli ultimi dati, le domande non superano le 500mila, quindi molto meno di quelle previste fino ad oggi, soprattutto nel Mezzogiorno.
Non abbiamo spiegazioni certe di questo fenomeno che può essere solo temporaneo o, invece, dovuto a una duratura conseguenza delle complicazioni burocratiche, o dei controlli prospettati per evitare che esso si cumuli con il provento da lavoro nero, da sussidi di disoccupazione o da altre fonti. Ancora meno si può prevedere quale sarà la percentuale di domande accolte che, nel caso del Reddito di Inclusione (previsto dal precedente Governo) sono state circa la metà.
Un diffuso pessimismo prevale inoltre sulla possibilità di offerta di nuovi posti di lavoro: sia per il caos in cui si trovano i centri per l’impiego (a cominciare dai famosi navigator) sia per il cattivo andamento dell’economia, a cui si aggiunge la sfasatura fra la domanda del mercato del lavoro e le caratteristiche di coloro che godranno del sussidio.
In ogni caso, per effetto di queste misure, la drammatica differenza fra la percentuale di occupati in età da lavoro nel nostro paese e quella degli altri paesi europei aumenterà.
Il problema del deficit pubblico diverrà perciò drammatico: al più tardi nel prossimo autunno, quando cioè si dovranno definire le previsioni per il prossimo anno.
L’aumento di queste spese e il tasso di crescita della nostra economia, che sarà in ogni caso attorno allo zero, sono una tenaglia alla quale non possiamo sottrarci se non con un cambiamento radicale della politica economica. Questo implica scegliere gli interessi di lungo periodo: obiettivo già difficile di per sé ma che il presente governo non sembra volere perseguire.
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un leggero ma continuo rallentamento dell’economia mondiale, le cui previsioni di sviluppo per l’anno in corso sono passate dal 3,9% al 3,5%. Il rallentamento è più sensibile nell’Unione Europea, dove ora si cresce ad un ritmo poco superiore all’1%, ed è molto più preoccupante in Italia: l’OCSE ci attribuisce addirittura un segno negativo dello 0,2% per l’anno in corso.
Anche se mi auguro che si sia passati dalle stime troppo ottimistiche del nostro governo ad un pessimismo eccessivo degli organismi internazionali, credo comunque che finiremo intorno allo zero, cioè ultimi tra tutti i paesi europei, con tutte le implicazioni negative in termini di livello di vita e di occupazione.
Fiumi di inchiostro sono stati spesi per spiegare le ragioni di questo ritardo attribuendone la responsabilità, ogni volta che era possibile, a fattori esterni al nostro paese.
Non ho mai negato le responsabilità di una male intesa politica di austerità da parte delle autorità europee, ma vedo che non si è mai messo abbastanza in rilievo la vera e più grave anomalia che distingue l’Italia da tutti gli altri paesi: mentre siamo tra le nazioni a più rapido ritmo di invecchiamento, la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa è enormemente più bassa rispetto agli altri paesi.
Questa percentuale è del 58% in Italia, del 61% in Spagna, del 65% in Francia e del 75% in Germania. Differenze abissali! Non c’è bisogno di spiegare che, se permangono queste differenze, non sarà assolutamente possibile avvicinarci al livello a cui sono arrivati gli altri.
Ed è altrettanto evidente che la priorità assoluta deve essere quella di elevare la percentuale degli occupati tra tutti gli italiani in età da lavoro. La decisione di introdurre la cosiddetta “quota 100”, cioè un generale pensionamento anticipato, va invece nella direzione opposta. Le conseguenze sono duplici.
In primo luogo, come i più attenti osservatori nazionali ed internazionali mettono in rilievo, questa decisione costituisce un peso tale per il bilancio pubblico da rendere impossibile la diminuzione del rapporto debito-PIL. Essa è perciò giustamente ritenuta una delle cause fondamentali dei tassi di interesse più elevati a cui siamo obbligati ad indebitarci.
In secondo luogo le analisi più accurate mettono in rilievo che, per effetto della “quota 100”, si creeranno oltre 350mila pensionati aggiuntivi. Di questi meno della metà sarà sostituita da nuovi occupati, con l’ulteriore conseguenza negativa che una parte non trascurabile di coloro che scelgono la pensione anticipata copre specializzazioni difficilmente sostituibili.
Chiarite le conseguenze oggettive della “quota 100” bisogna convenire che ben difficilmente si può prevedere una sua cancellazione. Non solo perché Salvini ne ribadisce quotidianamente il mantenimento, ma anche perché si tratta evidentemente del provvedimento più popolare tra tutti quelli presi dal governo in carica. Siamo cioè in presenza del classico dilemma fra gli interessi di lungo periodo dell’intero paese e l’obiettivo di aumentare la popolarità da parte del governo in carica. La scelta in questo caso è chiara come chiare ne saranno le conseguenze sul debito pubblico e sull’occupazione.
Più difficile è il giudizio sul reddito di cittadinanza perché lo strumento appare assai più complicato del previsto e contraddittorio fra i due obiettivi enunciati, cioè il sollievo dalla povertà e l’aiuto ad entrare nel mercato del lavoro. La complessità di questo giudizio è accresciuta dal fatto che, almeno alle prime evidenze, le domande per ottenere questo beneficio arrivano con un ritmo assai più lento del previsto.
Non vi sono state code né agli uffici postali né alle altre strutture predisposte per questo compito tanto che, a leggere gli ultimi dati, le domande non superano le 500mila, quindi molto meno di quelle previste fino ad oggi, soprattutto nel Mezzogiorno.
Non abbiamo spiegazioni certe di questo fenomeno che può essere solo temporaneo o, invece, dovuto a una duratura conseguenza delle complicazioni burocratiche, o dei controlli prospettati per evitare che esso si cumuli con il provento da lavoro nero, da sussidi di disoccupazione o da altre fonti. Ancora meno si può prevedere quale sarà la percentuale di domande accolte che, nel caso del Reddito di Inclusione (previsto dal precedente Governo) sono state circa la metà.
Un diffuso pessimismo prevale inoltre sulla possibilità di offerta di nuovi posti di lavoro: sia per il caos in cui si trovano i centri per l’impiego (a cominciare dai famosi navigator) sia per il cattivo andamento dell’economia, a cui si aggiunge la sfasatura fra la domanda del mercato del lavoro e le caratteristiche di coloro che godranno del sussidio.
In ogni caso, per effetto di queste misure, la drammatica differenza fra la percentuale di occupati in età da lavoro nel nostro paese e quella degli altri paesi europei aumenterà.
Il problema del deficit pubblico diverrà perciò drammatico: al più tardi nel prossimo autunno, quando cioè si dovranno definire le previsioni per il prossimo anno.
L’aumento di queste spese e il tasso di crescita della nostra economia, che sarà in ogni caso attorno allo zero, sono una tenaglia alla quale non possiamo sottrarci se non con un cambiamento radicale della politica economica. Questo implica scegliere gli interessi di lungo periodo: obiettivo già difficile di per sé ma che il presente governo non sembra volere perseguire.