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La ricetta per fermare la “nuova” inflazione


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 05 dicembre 2021

Vi sono momenti di incertezza nei quali anche una semplice riflessione può servire a capire meglio cosa sta succedendo e cosa succederà nel futuro anche se, alla fine, le conclusioni dei nostri ragionamenti lasceranno forse lo stesso margine di incertezza.

Parliamo prima telegraficamente della realtà di oggi. La ripresa dell’economia, dopo la lunga depressione causata dal Covid, è ovunque sostanziosa e, almeno per il tempo presente, assai più forte in Italia che negli altri paesi.

Altrettanto forte è tuttavia, quasi in tutto il mondo, il processo inflazionistico (fanno per ora una temporanea eccezione la Cina e il Giappone).


L’inflazione negli Stati Uniti raggiunge oggi l’elevatissimo livello del 6,6% e corre anche nella zona Euro, dove tocca quasi la simbolica cifra del 5%, mentre l’obiettivo della BCE era il 2%.

Le banche centrali, di conseguenza, sono state poste di fronte alla concreta ipotesi di dovere applicare una politica restrittiva e di aumento dei tassi di interesse, con l’ovvia conseguenza di frenare l’inflazione, ma anche la ripresa.

Una decisione in tal senso si collocherebbe nella collaudata tradizione della gestione dei processi inflazionistici da parte delle banche centrali, anche se rimane ancora aperto il dibattito se il presente processo inflazionistico sia duraturo o solo temporaneo.

La decisione sugli interventi da adottare è resa oggi ulteriormente difficile dal fatto che l’inflazione in corso non è generata principalmente dall’aumento della domanda ma, anche e soprattutto, da una crisi di offerta.


Una crisi che ha origine nel settore dell’energia, ma che, in modo del tutto imprevisto, si accompagna alla scarsità di molte componenti essenziali per il funzionamento di settori produttivi di vitale importanza.

Un evento inatteso, causato dalla mancanza di materie prime e di componenti essenziali per il funzionamento dell’intero sistema economico. Non solo è impazzito il prezzo del gas e del petrolio, ma le imprese si trovano di fronte ad aumenti senza precedenti del costo dell’acciaio, dell’alluminio, del rame, dei semiconduttori, dei trasporti e di tanti altri componenti fondamentali per la produzione.

A questo punto riesce difficile pensare che l’inflazione sia un evento di breve durata, ma è altrettanto difficile combatterla applicando i rimedi tradizionali. La politica monetaria non è infatti lo strumento idoneo per frenare l’inflazione quando a provocarla è soprattutto una crisi dell’offerta.

Proprio riflettendo su quanto oggi sta accadendo nel mondo, il Governatore della Banca di Inghilterra ha saggiamente osservato che “la politica monetaria non è in grado di fornire al sistema economico una quantità aggiuntiva di gas, di semiconduttori o di autisti di autocarri”.

Come se la situazione non fosse sufficientemente intricata, a renderla più complessa è arrivato per ultimo Omicron, sulle cui conseguenze sul piano sanitario le case produttrici di vaccini hanno già cominciato a differenziasi tra di loro e, se non bastasse, ad esprimere ipotesi diverse da quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sulle conseguenze di Omicron non potevano naturalmente mancare le divergenze fra gli economisti.

Vi è infatti chi sottolinea l’ipotesi che la nuova variante provochi soprattutto una diminuzione della domanda e richieda, di conseguenza, uno stimolo all’economia, e chi invece pensa che, obbligando molti lavoratori a stare a casa, colpisca l’offerta e obblighi quindi a frenare l’eccesso di domanda.


Quando fra dieci giorni si riuniranno, i consigli della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea continueranno quindi a dissertare se l’inflazione sia temporanea o duratura e a divergere sulla politica da adottare ma, nel frattempo, i prezzi continueranno ad aumentare, non solo incidendo sui costi delle imprese, ma anche nei confronti del consumatore finale.

Gli aumenti si fanno sentire soprattutto sulle bollette del gas o dell’elettricità, ma cominciano a toccare tutti i prodotti di uso quotidiano, a partire dagli alimentari e finendo con le automobili.

Il che pone problemi non solo alle banche centrali. Anche i governi dei diversi paesi si trovano in grande difficoltà nel cercare di calmierare l’aumento dei prezzi e di redistribuirne in modo socialmente accettabile le conseguenze.


L’esempio di questo lo troviamo in Italia, dove le divergenze su come alleviare le conseguenze negative dell’aumento del costo dell’energia hanno prodotto la maggiore tensione che si è fino ad ora verificata nella coalizione che sostiene l’attuale governo.

Proprio nello stesso giorno in cui l’Istat certificava che la povertà assoluta era aumentata del 104% rispetto al 2010, è stato politicamente impossibile usare, anche se in misura modesta, lo strumento fiscale per alleviare le conseguenze negative nei confronti delle categorie più disagiate in conseguenza dell’aumento del prezzo di beni essenziali, come il gas e l’elettricità.

Mi rendo conto che, come peraltro avevo premesso, queste riflessioni non offrono certo gli strumenti per uscire dall’attuale incertezza. Mi auguro tuttavia che ci offrano almeno un piccolo aiuto per capire la complessità della situazione e per avere chiaro nella nostra mente che l’inflazione è un male difficile da combattere, e sempre ingiusto nei confronti dei più deboli.

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