di Cosimo Risi
La novella ha per protagonista la dodicenne Rachele Luzzatto di una benestante famiglia del Nord Italia. Il padre, ebreo non praticante, le proibisce di recitare la parte di Maria nella recita scolastica: già troppi Ebrei abbiamo sacrificato agli Italiani, complici dei Tedeschi, per cederne un’altra sia pure per finta. Il nonno paterno le confessa che scampò alla deportazione riparando in una canonica e camuffandosi da vice parroco. La nonna materna è atea: non esiste alcun Dio per gli Ebrei né per i Cristiani, siamo tutti esseri umani.
Rachele è alla vigilia del Bat Mitzvah, studia l’ebraico per recitare la formula di rito per il passaggio all’età adulta. Non ha preclusioni verso i Cristiani, in Italia l’atmosfera è impregnata della ricorrenza natalizia, di cui gradisce i doni anche se non è la sua. Ama il panettone e la pizza, trascura la kasherut ma evita di mangiare i salumi di maiale (almeno fino al Bat Mitzvah, l’ammonisce la madre).
La figlia unica è l’ultimo lavoro di Abraham Yehoshua: “un libro di addio, un libro di commiato da me come scrittore”. Lo dichiara a Yediot Ahronot: il vecchio tumore si è ripresentato aggressivo, da laico affronta il destino con un misto di sollievo e rassegnazione.
Gli feci da interprete alla buona in alcune occasioni. Gli organizzatori dei convegni lo invitavano senza pensare che il suo italiano non gli consentiva di seguire le conversazioni informali. Gli traducevo l’essenziale in francese.
A Viareggio, giugno 2006, mi chiese di sottrarlo ad una cena per assistere al secondo tempo di Italia–Ucraina, Mondiali di Germania. Vincemmo, lui esultò con noi, la nostra Squadra era la sua. Si meravigliò del chiasso, a suo parere esagerato per un successo intermedio. Gli spiegai che Viareggio era la patria di Marcello Lippi, il genius loci. Pronosticò che avremmo vinto il Campionato.
Yehoshua appartiene alla schiera degli intellettuali impegnati, un’abitudine in disuso da noi e ancora viva nel suo Paese. Era acceso sostenitore della soluzione due popoli – due stati. La separazione dietro a confini riconosciuti sarebbe stata la chiave per la convivenza fra Israeliani e Palestinesi. La perdurante occupazione dei Territori era una minaccia alla pace e una ferita alla natura democratica dello Stato d’Israele.
Da qualche tempo Yehoshua ha cambiato opinione. La formula non è più viabile. La diffusione degli insediamenti rompe l’unità geografica della futura Palestina. Le due comunità sono così intrecciate fra loro sul campo che separarle sarebbe più difficile che integrarle in qualche modo.
Gaza e Cisgiordania non sono territorialmente contigue ed hanno dirigenze politiche divergenti. L’Autorità Palestinese non celebra più le elezioni dal 2006, l’ultima tornata, in programma nel 2021, è stata rinviata sine die.
Il lungo Governo Netanyahu ha derubricato la questione palestinese dall’agenda regionale, la priorità andava al caso iraniano. Gli Accordi di Abramo del 2020 hanno cementato la convergenza fra Israele e alcuni paesi sunniti del Golfo, sullo sfondo è il comune timore verso l’Iran come potenza nucleare.
L’attuale Governo Bennett – Lapid si muove lungo la stessa linea, con alcuni gesti spettacolari. La visita di Yair Lapid a Rabat per inaugurare la sede diplomatica, la missione di Naftali Bennett ad Abu Dhabi e il colloquio con il leader arabo più significativo, il Principe Ereditario Mohammed bin Zayed Al Nayan.
Yehoshua propende per la soluzione unitaria dello stato bi-nazionale. Quale sia il percorso concreto è da vedere. I problemi non mancano. Anzitutto è da considerare il timore degli Ebrei che il divario demografico con gli Arabi li renda estranei nel paese da loro costruito nel 1948. Haaretz lancia una sorta di sondaggio sul modello istituzionale: confederazione a tre con la Giordania, federazione, regime alla sudafricana, eccetera.
Nuove storie accadono in Terra Santa. Mansour Abbas, il leader islamista della United Arab List alla Knesset, dichiara che “Israele è nato come stato ebraico e tale resterà”. La frase è pronunciata in arabo, in risposta ad un giornalista arabo, davanti al pubblico di Tel Aviv. La Lista sostiene il Governo Bennett dall’esterno, qualcuno fra i suoi critica Abbas per non aver avuto il coraggio di accettare un incarico ministeriale.
L’autorevolezza di Yehoshua è tale che l’idea genera la discussione. Non è l’uscita dell’intellettuale in cerca del momento di celebrità. La vera gloria gli verrebbe solo dall’Accademia svedese. Mai un Nobel per la letteratura è stato assegnato ad uno scrittore israeliano.
di Cosimo Risi
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