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Come era prevedibile....


Come era prevedibile Silvio Berlusconi non sarà il prossimo Presidente della Repubblica. La grande operazione mediatica condotta in questi mesi ha disvelato la sua vera natura: si è trattato di un bluff colossale con cui il Cavaliere ha astutamente cercato di alzare il prezzo del suo ritiro. 

Solo gli accoliti più devoti non riuscivano a capire che il vero intento di Berlusconi era quello di condizionare le prossime partite ritagliandosi un ruolo in grado di farlo giocare a tutto campo, da par suo, da grande mattatore qual è sempre stato. 

La partita del Quirinale era una partita già chiusa, come tutti sapevano fingendo di non saperlo. A Berlusconi non interessava, pertanto, riaprire una partita già persa in partenza. 

In questo senso, l'avvento di Mario Draghi ha dato vita ad una fase politica del tutto inedita che annovera una serie di peculiarità che finiranno, inevitabilmente, per incidere sull'impianto istituzionale del paese. 

Draghi passerà da Palazzo Chigi al Quirinale senza l'intermezzo vissuto da Carlo Azeglio Ciampi che fu eletto Presidente della Repubblica solo dopo essere stato Presidente del Consiglio. 

Qualcuno ha sollevato dubbi in ordine alla legittimità costituzionale di questo passaggio benché, sul tema, la nostra Costituzione non preveda alcuna norma ostativa. In verità, le perplessità più rilevanti hanno per oggetto le implicazioni politiche di questa conversione di ruoli che obbliga i partiti ad un'anomalia senza precedenti. 

In queste ore, infatti, gli incontri tra i leader non vertono tanto sulla elezione del prossimo capo dello Stato quanto sulla composizione del prossimo governo. In modo sconsolante e, perfino, inverecondo, la politica italiana sta certificando in queste ore il proprio fallimento perché si trova impantanata non solo sulla scelta “coatta” del Quirinale ma, perfino, sull'impossibilità di sciogliere le Camere.

Ciò per svariate ragioni. La sinistra non ha interesse ad andare alle urne perché il Pd dovrà dipanare il nodo gordiano della coesistenza tra movimento 5 Stelle e renziani. 

Non solo. La leadership di Giuseppe Conte all'interno della coalizione di centro-sinistra non appare più scontata, come fino a qualche mese fa, per cui Enrico Letta ha bisogno di tempo per meglio puntellare l'alleanza e per individuare il profilo di un leader di alto lignaggio. 

Sull'altro versante, senza Berlusconi, risulta difficile trovare una figura in grado di far coesistere tre forze culturalmente antagoniste. 

Non dimentichiamo, infatti, che per decenni il centro-destra è riuscito a coniugare l'anima europeista di Forza Italia, l'anima localista della Lega e quella nazionalista di Fratelli d'Italia. 

Il vero cemento di questa alleanza è sempre stato Silvio Berlusconi che ha avuto la capacità di trasformare in cultura di governo la domanda di potere politico che proveniva da quei settori della società civile che non hanno mai sopportato l'invadenza dello Stato e del fisco, la pubblica amministrazione, la sinistra, i sindacati, la magistratura. 

Grazie al carisma e alla potenza di fuoco delle sue televisioni, il Cavaliere ha chiamato a raccolta una parte del paese inaugurando una contrapposizione ideologica che, come un fiume carsico, era sempre stata presente nella nostra società ma che, all'epoca della prima Repubblica, la Democrazia Cristiana aveva sapientemente saputo addomesticare e sterilizzare. 

Senza Silvio Berlusconi, la destra italiana non appare in grado di prendere le redini del paese semplicemente perché non è in grado di sciogliere le contraddizioni interne e, soprattutto, quelle antinomie identitarie che dicevamo. 

Pertanto, a parte Giorgia Meloni, nessuna forza politica ha davvero intenzione di andare al voto per cui, ribadiamo, le trattative in corso vertono principalmente sulla configurazione del prossimo esecutivo che Mario Draghi, nella nuova veste di Capo dello Stato, tenterà di modellare imponendo la conferma dei “suoi” tecnici. 

I partiti non avranno la forza di opporsi perché, inutile nasconderlo, ci sarà da approntare tutte quelle riforme che l'Europa ci chiede in cambio dei 222 miliardi che il nostro paese si è impegnato a spendere. 

Pertanto, siamo nel pieno di un passaggio storico da cui dipendono il rilancio e le sorti future della nostra economia. 

La politica sa che non possiamo sbagliare, per questo tende a defilarsi lasciando la barra a Mario Draghi, “dominus” assoluto di questa fase che non ha precedenti nella storia del nostro paese. 

Nessun uomo, infatti, ha mai potuto incidere, con tanta forza, non-solo nelle decisioni politiche ma perfino nella formazione degli organi dello Stato. 

Non dopo la pandemia, ma dopo Mario Draghi, nulla sarà come prima. Speriamo in bene.

Antonio Dostuni

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