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Quella tremenda puzza di lezzo


"Dai, Lalli, mettiti il cappottino che dobbiamo andar fuori…"

"Fuori dove, nonna?"

"A vedere come sta lo zio Dante, il fratello del nonno, che è tanto che non abbiamo sue notizie e so che non stava bene…"

Emma indossò il soprabito, si aggiustò il cappellino nero con la veletta e preso per la mano il nipote uscirono dal mezzanino in Borgo Pinti.

Ci sarebbe voluto una mezz'ora di camminata per raggiungere l'abitazione dello zio Dante nel vicolo dei Tintori in borgo San Frediano, l'altra parte di Firenze al di là dell'Arno considerata la meno frequentabile, quasi una repubblica a sé stante, vuoi per la miseria estesa, vuoi per il pericolo di essere derubati e menati, se non di più, quando qualcuno si avventurava nei vicoli specialmente sul far della sera.

Non è che nonna Emma si ricordasse bene dove si trovava quel vicolo dei Tintori perché l'ultima volta che c'era stata dovevano essere passati almeno cinque anni.

Arrivata a borgo San Frediano domandò a qualcuno se poteva darle l'indicazione e fu aiutata da un giovane male in arnese ma incredibilmente educato che si fece in quattro per non solo indicare la direzione ma anche per fare insieme una parte del tragitto.

"Avrebbe da darmi qualcosa signora?"

Nonna Emma, non si aspettava questa richiesta, frugò nel borsellino e tiro' fuori una moneta che porse al giovane che dopo un grazie frettoloso giro' i tacchi per ritornare indietro.

Erano arrivati di fronte al numero 18 del vicolo dei Tintori.

C'erano due porte, la prima che conduceva alla casa patrizia ed infatti si vedeva che i pomoli e il campanello erano lucidati.

Accanto più che una porta c'era un ingresso a quella doveva essere una carbonaia ed infatti un po' più in là c'era una specie di fessura attraverso la quale chi portava carbone infilava le palate del nero combustibile.

Nonna Emma provò a spingere quella porta tutta sbreccata e sudicia per le tante mani altrettanto sudice che l'avevano spinta.

"Si può entrare ?"

"Chi siete…?", Chiese una voce arrochita di donna .

Nonna Emma aveva aperto la porticina ma non si azzardava ad entrare, teneva per mano il nipote di sette anni che guardava con attenzione cosa c'era dietro quella porta.

"Sono Emma la cognata di suo marito…"

"Oh, Emma non l'avevo riconosciuta… Venite dentro e perdonate quello che vedete…"

Emma e il ragazzino scesero tre scalini sdrucciolevoli ed entrarono in una caverna nera che definire stamberga sarebbe stato poco.

Sulla sinistra c'era un tavolo con tre sedie scompagnate e la paglia che scendeva giù lungo le gambe.

Un po' più in là un acquaio sul quale era posto un fornello ad acetilene

Nel mezzo della stanza c'era una specie di pulpito con numerosi attrezzi per lavorare il legno e dietro era appoggiata la scultura di un Cristo adagiato, appena abbozzata.

Più in là sulla destra c'era una specie di nicchia con un letto, meglio dire un materasso di paglia, sul quale giaceva un uomo.

C'era un'aria irrespirabile con un puzzo di lezzo terribile che ti entrava dentro i polmoni.

"Cara Emma, lo vedete in quali condizioni siamo, Dante sta praticamente tutto il giorno a letto perché gli fa male la gamba e se riesce a trovare la bottiglia, allora sono dolori…!"

Dei due fratelli Leo era il maggiore. Dante aveva sempre dimostrato un grande talento nel lavorare il legno. Sino dall'infanzia aveva lavorato nelle botteghe di borgo San Frediano specializzate nei lavori di modanatura e recupero della mobilia antica.

Ma, a differenza di Leo, non aveva alcuna bramosia di lasciare quel quartiere per andare nella Firenze altolocata al di là dell'Arno.

Poi ci si era messa di mezzo la chiamata della prima guerra mondiale.

Dante sul Carso era stato ferito ad una gamba, una brutta ferita che aveva rischiato di andare a finire in cancrena e per fortuna un medico dell'ospedale da campo era riuscito a salvargli la gamba.

Dante riceveva una misera pensione che spesso buttava via per soddisfare il suo bisogno di alcolizzato cronico mentre Emilia, sua moglie, non sapeva come tirare avanti in mezzo a tanta miseria.

Poi era nata Arianna ma si era subito capito che quella figlia aveva dei problemi.

A scuola non riusciva a convivere con le altre bambine ed era stata espulsa più volte.

Poi, raggiunta la  pubertà, i problemi erano aumentati perché Arianna era una povera ragazza che cercava solo di essere coperta da qualche uomo. E lì, in borgo San Frediano, le occasioni non mancavano certamente.

Arianna veniva presa da crisi di forsennata violenza, più volte aveva percosso la madre e il padre che era stato costretto a nascondere gli attrezzi del suo lavoro per evitare che la figlia potesse infierire ancora di più su di loro.

Grazie ad un intervento del dirigente dell'associazione fiorentina veterani di guerra era stato possibile liberare un posto nel manicomio di San Salvi.

Arianna, nonostante i pesanti sedativi e l'elettroshock, aveva passato mesi e mesi inchiavardata in un letto con una camicia di forza.

Poi, sembra che i suoi violenti accessi si fossero calmati ed era stata liberata dai suoi legami e inserita si fa per dire nella comunità di malati di mente.

Emilia di rado riusciva a risparmiare qualche moneta per prendere il tram e poi a piedi per andare a vedere quella figlia che non era più figlia ma era un essere ignoto che non la riconosceva, si pisciava addosso facendo incazzare gli infermieri che dovevano poi ripulire la sala e la colpivano con gli spazzoloni.

"E voi, Emma, che mi raccontate…? Chi è questo bambino?"

Emma cominciò a dire con un certo affanno di aver "rubato" alla madre naturale a Roma quel bambino nato da un matrimonio impossibile con il figlio Sergio che di problemi ne aveva dati.

Quanto al piccolo Emma sperava che almeno lui potesse ricompensarla di tutti i dolori, preoccupazioni, ansie che i figli le avevano dato.

"Leo è prigioniero degli inglesi in Africa, invalido perché cadendo da cavallo gli si è rotta la spina dorsale, Sergio anche lui prigioniero da anni spostato da un campo all'altro ora in America, pensate voi, in un campo di criminali-sapete quelli che hanno ucciso qualche compagno o qualche agente-e lui l'hanno messo lì solo perché non ha voluto rinunciare al giuramento fatto a Mussolini e al re.Perché un giuramento è un giuramento e bisogna mantenerlo ad ogni costo se uno vuole rispettare se stesso. Io penso, aggiunse nonna Emma, che forse avrebbe potuto rinunciare a tanto orgoglio patriottico e tornare qui da noi, perché io non so come tirare avanti…"

Mentre nonna Emma parlava, Emilia si era alzata e presa una scodella di metallo l'aveva riempita con una boccia di alcol denaturato che aveva posto in mezzo alla sala-tugurio.

Strofinò un fiammifero e incendio' l'alcol della scodella.

"Lo devo fare di nascosto per combattere il freddo perché se quello si accorge dell'alcol rischia di berlo e così va all'altro mondo. Che vita, cara la mia Emma…"

Quel fetore, il puzzo di lezzo sembrava essere aumentato.

A Emma mancava il fiato e l'Emilia, quasi a giustificarsene, disse che lei ormai ci si era abituata, ma che poi aveva perso anche la voglia di fare le pulizie.

Il pagliericcio era umido di piscio, pieno di insetti, gran parte del fetore veniva dal bugliolo posto in un angolo e che lei avrebbe dovuto scaricare nella fogna sulla strada.

Ormai non c'era più nulla da dirsi, Emma si alzò dalla sedia spagliata, prese per la mano il nipote, spiccico' un affrettato grazie-arrivederci, sventolò la mano destra verso il cognato che sino ad allora non aveva manifestato alcun interesse per quei quasi parenti e aveva sottolineato il suo ronfare con qualche roboante peto.

"Nonna, non ce la facevo a respirare, quella puzza tremenda…"

"Hai visto da solo che anche nella miseria e nella povertà ci sono, come dire, diverse classi. Noi siamo poveri però non rinunciamo a vivere in una maniera civile, per quanto ciò sia possibile. Loro poveretti sono arrivati all'ultimo girone della loro miseria… Non dimenticare questo terribile puzzo di lezzo perché e' il fetore di esistenze ormai in cancrena, quando marcisce una gamba e bisogna tagliarla. Hai capito cosa voglio dire?"

Il ragazzino annuì abbassando la testa, respirando a pieni polmoni l'aria del vicolo dei Tintori e strinse forte la mano della nonna che stava dirigendosi verso il ponte per superare l'Arno e tornare nella loro Firenze.

Oscar

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Oscar,
Un gran bel senso dell'umore veramente ce l'hai.😊
Luigi Giacchino

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