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Sconfitta della politica?



Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"

Senatore Renzi, chiedere a Mattarella di ripensarci non è una sconfitta della politica?

«È la sconfitta di alcuni politici, non della politica. Apprezzo il salutare ripensamento di alcuni colleghi. Pensi a Salvini che nel 2015 twittava "Mattarella non è il mio presidente" e ora si intesta la rielezione. Oppure ai Cinque Stelle che volevano l'impeachment del presidente e adesso esultano come allo stadio. Il Parlamento di sovranisti e populisti elegge il presidente scelto da noi nel 2015: hanno perso loro, noi brindiamo».

Il bis di Mattarella, però, non era la sua prima opzione.

«Non lo era. Mattarella aveva chiesto di evitare il secondo mandato adducendo motivazioni serie. Aveva spiegato che la seconda rielezione consecutiva trasformava il precedente di Napolitano in una sorta di modifica alla costituzione sostanziale. Questa raffinata sensibilità istituzionale, propria di un galantuomo, è destinata a passare in secondo piano davanti allo show indecoroso di chi ha trasformato l'elezione del capo dello Stato in una sorta di X Factor.

Quando ho visto leader politici cercare candidati a caso, passando dal diplomatico al professore senza alcuna logica istituzionale mi sono preoccupato. E mi sono detto: meglio costringere Mattarella al bis che rimpiangere per sette anni le soluzioni strampalate last minute di qualche presunto leader».

Si riferisce a Salvini?

«In primis a lui, ma non solo a lui. Salvini ha scambiato la ricerca del presidente della Repubblica con la ricerca del super ospite a Sanremo: cercava il nome a effetto. Quando un pomeriggio il leader della Lega è sparito tre ore per andare a casa di Cassese, ho sperato che almeno gli tornasse utile la lezione di diritto che il professore avrà provato a dargli. Anche perché per me Cassese è in assoluto il migliore. E invece nulla, Salvini si è mosso senza logica. Una volta voleva l'accordo con Letta, poi con Conte, poi con Meloni, poi con noi. Alla fine è riuscito nel risultato di scontentare tutti, a cominciare dai suoi».

Salvini dice che su Elisabetta Belloni c'era l'accordo di Conte e di Letta.

«Di Letta non so. L'accordo di Conte invece c'era. La vera novità politica della settimana presidenziale è stata proprio il ritorno dei due compagni di viaggio del governo gialloverde. Salvini e Conte si sono spalleggiati. Io ho cercato di far saltare il loro patto non per antipatia personale, ma per una considerazione politica. I gialloverdi infatti hanno individuato due nomi su cui costruire una maggioranza assieme alla Meloni: il presidente del Consiglio di Stato Frattini prima e il direttore del Dis Belloni poi. Volevano un presidente espressione della coalizione giallo-verde-nera».

E perché non vi siete uniti anche voi?

«Per ragioni istituzionali: le tensioni geopolitiche tra Russia e Occidente non facevano di Frattini il miglior candidato, specie in un periodo come questo, visto la sua relazione con Mosca. E perché in una democrazia evoluta il capo dei servizi segreti non diventa presidente della Repubblica. Quando ho sceso le scale di Montecitorio e ho criticato in diretta tv la proposta di Salvini e Conte ero convinto che la Belloni sarebbe stata eletta, perché avevano i numeri per farcela.

E parte del Pd stava sposando quella scelta. Ma sarebbe stato uno sfregio alle istituzioni di questo Paese. Non ho paura di dirlo a voce alta, senza timori, con la serietà di chi è stato presidente del Consiglio e ricorda che prima delle amicizie bisogna rispettare le istituzioni. Ci ho messo la faccia, ma chi ha cultura istituzionale sa che era doveroso da parte mia farlo».

Secondo lei il governo esce indebolito? La legislatura arriverà fino al termine?

«Spero che Draghi riprenda il timone del governo con più forza. Che non significa ignorare il Parlamento ma sfidare la politica in positivo. Draghi non è indebolito. Ma il suo governo oggi può fare di più e meglio: sbloccare le infrastrutture, semplificare le regole della dad a scuola, mettere a terra i progetti del Pnrr, combattere in Europa la battaglia sul debito. Tutte cose che il premier farà, ne sono certo. E noi saremo al suo fianco. La legislatura durerà fino al 2023: mai avuto dubbi a tal proposito anche se Conte ha sognato di interromperla prima».

Ha ritrovato sintonia con Enrico Letta?

«Sui temi di fondo siamo sempre dalla stessa parte. Enrico si è tranquillizzato quando ha capito che non avrei mai fatto asse sulla Casellati. In tanti pensavano che avrei votato Casellati pur di diventare presidente del Senato. Ma io mi chiamo Matteo Renzi: combatto contro tutti per le mie idee, non per un tornaconto personale. Quando davanti a un caffè ho chiarito a Letta che non avrei mai accettato lo scambio di poltrone è cambiato il clima. E abbiamo lavorato meglio».

Forza Italia si è dissociata dal centrodestra, questo passaggio può essere foriero di novità?

«Sì. Il centrodestra non c'è più, ha detto Meloni. E non è che i Cinque Stelle siano messi meglio. Saranno mesi di cantieri all'interno dei vari schieramenti politici. Ma è prematuro immaginare che cosa accadrà. La conferma di Mattarella e di Draghi portano stabilità al Paese e questo paradossalmente consentirà l'evoluzione del quadro partitico».

Lei propone il presidenzialismo, che però mal si accorda con il proporzionale, verso cui invece sembra si vada.

«Dopo il 2016 non dovrei parlare più di riforme costituzionali e di legge elettorale: ogni giorno è sempre più chiaro che quella riforma unita alla legge elettorale con ballottaggio avrebbe dato stabilità al sistema e più forza al Paese. Tuttavia andare all'elezione diretta del presidente mi sembra una necessità rafforzata dallo show triste di questi giorni: che poi sia presidenzialismo all'americano o semipresidenzialismo alla francese, vedremo. Ma questo tema sarà oggetto della legislatura 2023-2028. Sulla legge elettorale, invece, si potrebbe fare nei prossimi mesi ma inciderà la volontà dei gruppi maggiori come Cinque Stelle e Lega che ad oggi sono dilaniati».

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