Intervista a Lucio Caracciolo, su La Stampa, (via Dagospia)
La globalizzazione è l'ideologia dell'egemonia americana. Grandiosa utopia che promette di integrare il mondo nel mercato ed entrambi nell'America. Non negli Stati Uniti. Nell'American way of life, marchio e sostanza dell'impero a stelle e strisce. Impero non della ma per la libertà, […] annuncio della vocazione espansionista coltivata dalle élite statunitensi. Mercato, mondo e benigno impero universalista compressi in equazione semplice. Identità. Santissima Trinità oggi ridotta in formula a «ordine basato sulle regole».
Globale in quanto americano e viceversa. Sistema-mondo in crisi di credibilità nel suo stesso centro, di qui per estensione nel pianeta. Crisi aggravata perché investe la più potente Chiesa moderna, la più religiosa fra le potenze.
[…] La crisi di una nazione così speciale apre una transizione egemonica. Fase storica senza ritorno, perché avvia il collasso di un sistema o la sua radicale trasformazione per successivi adattamenti. […] La transizione egemonica in corso potrebbe mutare in nuova stagione dell'impero americano, pur completamente rivisitato? Arduo ma possibile. A condizione di dotarsi di un limes. Di fare l'impero. Punto.
Ma prima serve cogliere le ragioni della crisi e adattarsi alla soglia senza tentare di forzarla. Non è vincendo la terza guerra mondiale che gli Stati Uniti possono brillare di nuova luce. Perché amministrare le macerie di Cina, Russia e chissà chi altro – noi italiani inclusi - è prospettiva poco invidiabile, posto che certo l'America non ne uscirebbe intonsa.
Parrebbe ovvio. Non lo è affatto per i decisori di Washington che pubblicamente calendarizzano la guerra contro Pechino verso la fine del decennio. Né per Xi Jinping, che programma il ritorno a casa di Taiwan per il 2049, se serve con la forza. E servirà, a meno di cambio di regime in una delle due Cine o rinuncia pechinese a rischiare la pelle per rimpatriare l'isola ribelle.
[…] La deflazione del potere egemone genera inflazione delle paure collettive. Espressa nella tirannia delle piccole decisioni o tragedia dei beni comuni: cumulo di scelte frenetiche di soggetti singoli, fuori contesto, volte al presunto interesse immediato, che sfocia in esiti non voluti. La geopolitica obbliga a investire nella soluzione dei conflitti, a meno di considerarne l'analisi mero gioco intellettuale.
In tre punti. Primo. La cosiddetta globalizzazione ci lascia in eredità uno squilibrio senza precedenti tra finanza ed economia reale. Come stabilito da Giovanni Arrighi nei suoi studi sulle transizioni egemoniche, le espansioni finanziarie su scala sistemica scatenano la competizione interstatale per il capitale mobile.
Perciò assumono dimensioni geopolitiche. Investono tutti gli aspetti del potere, bruti e gentili. Redistribuiscono ricchezza e povertà, così stimolando la gara per il capitale liquido. Circolo vizioso. La finanziarizzazione è per l'egemone «segnale dell'autunno» (Braudel).
[…] Preannuncio di probabile fine regime per crollo del sistema egemonico, travolto dal caos. Tempo di gestazione del successore, se vi sarà. […]
Siamo lontani dalla transizione sistemica verso un nuovo ordine internazionale. L'autunno s'annuncia lungo, a meno di schianti nell'architettura a stelle e strisce o di suoi ingegnosi restauri.
Conclusione: troppo disordine sotto il cielo della produzione di denaro per mezzo di denaro.
Secondo. L'impero americano cogestiva al suo zenit un universo di tre miliardi di umani, divisi in tre grandi famiglie. La sua, la sovietica e la galassia dei non allineati. Quest'ultima adibita a campo di gioco dei due imperi, dove sfogare e allenare i rispettivi bracci armati. Triade relativamente ordinata.
Con i due poli a svolgere medesima funzione sistemica, usando l'altro come legittimazione di sé e partner di fatto nella manutenzione dell'equilibrio. […] Oggi che siamo oltre otto miliardi e ci avviamo ai dieci previsti per fine secolo, la riduzione della complessità, misura ultima della potenza, è sartoria improba, non ricamabile con le sottili eleganze della guerra fredda.
[…] I numeri indicano ai bianchi il destino di esigua minoranza non necessariamente protetta. I due imperi del mezzo secolo di Pax Americana, indissolubilmente apparentata alla Pax Sovietica in logica binaria, valgono in versione allargata forse un sesto dell'umanità, in decrescita. Conclusione: troppi umani e troppo diversi per un solo capo.
Terzo. La peculiarità dell'impero a stelle e strisce è (stata) l'attrazione del suo soft power. Musica, cinema, letteratura e arti americane seducevano persino gli avversari. […] Oggi l'America non si piace più. Come può affascinare gli altri? Conclusione: l'egemonia dolce non è più crisma del Numero Uno. Doloroso, ma vero: l'America globale non è possibile. Prepariamoci a convivere con una lunga stagione di caos. E a cambiare il modo in cui stiamo al mondo. L'era della beata irresponsabilità è scaduta.
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