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Economie mondiali pigre e la variabile elezioni in Europa e USA


L’andamento pigro mondiale e la variabile elezioni in Europa e USA

Articolo di Romano Prodi nello speciale “L’Italia che Verrà” su Il Messaggero del 22 dicembre 2023

Abbiamo di fronte a noi un anno del tutto particolare. L’economia mondiale continuerà nel suo leggero declino, ma a dominare sarà la politica. Il quadro economico non ci porterà quindi verso una recessione, come molti prevedevano, ma verso un prolungamento dell’andamento pigro oggi presente sia a livello mondiale che in tutti i grandi protagonisti dell’economia globale. A livello mondiale la crescita sarà leggermente inferiore al 3%, con una differenza, spiegabile e logica, fra i paesi più sviluppati che si limiteranno a crescere intorno all’1,4% e i paesi invia di sviluppo che arriveranno vicino al 4%.

Quest’ultimo è un livello appena inferiore a quello dell’anno in corso e quindi apparentemente discreto, ma non certo in grado di venire incontro alle loro necessità, soprattutto in considerazione dell’aumento demografico che, seppure in calo, manifesta in questi paesi livelli di crescita ancora molto elevati.

Ritornando alle economie sviluppate, si tratta di una situazione che gli economisti, per evitare la parola recessione o stagnazione, chiamano di “atterraggio morbido”. Il che si traduce in un po’ meno dell’1,5% di crescita negli Stati Uniti e un’Europa che arranca al di sotto dell’1%, soprattutto perché la Germania tarda ancora a riprendersi. Non ci si deve quindi sorprende che, in questo quadro, la Banca d’Italia abbia abbassato le previsioni di crescita del nostro paese per il 2024, portandole dallo 0,8 allo 0,6%. La buona notizia è che i tassi di interesse hanno finito di aumentare e sembrano preparare una leggera tendenza alla diminuzione, prima negli Stati Uniti e, in seguito, in Europa. Questo in conseguenza del fatto che l’inflazione appare maggiormente sotto controllo, anche se in tempi più lunghi rispetto a quelli previsti.

Tuttavia è meglio toglierci per sempre dalla testa l’illusione che i tassi di interesse possano ritornare a orientarsi verso lo zero. Il lungo periodo di tassi minimi, se non addirittura negativi, è un evento assolutamente anomalo, che non ha alcuna possibilità di ripetersi, almeno per un periodo di tempo molto lungo.

Il quadro che abbiamo di fronte presenta quindi prospettive non favorevoli all’aumento degli investimenti che sono necessari per tenere il passo con le nuove tecnologie che, a partire dall’Intelligenza Artificiale, stanno sconvolgendo i modelli produttivi sia nel settore industriale che nei servizi. La politica industriale di tutti i grandi paesi si orienterà quindi sempre più verso l’aumento degli incentivi pubblici alle imprese. Una politica destinata non solo ad attirare le iniziative generate dai cambiamenti della concorrenza e dal “reshoring”, ma dedicata soprattutto a promuovere l’applicazione delle nuove tecnologie che stanno riorganizzando l’intera società, dalle attività produttive alla Pubblica Amministrazione, dall’insegnamento alla ricerca. Si tratta di una nuova fase nella quale la concorrenza fra i diversi paesi si affiancherà, con importanza sempre maggiore, alla concorrenza fra le imprese. Una fase quindi nella quale le nazioni che hanno le tasche più profonde hanno maggiori possibilità di successo. Il che costituisce un problema di non scarsa importanza per il nostro paese che dispone di risorse non solo non paragonabili alle risorse cinesi e americane, ma anche a quelle della maggioranza dei paesi europei.



Assai più variegato ed imprevedibile si presenta invece il quadro politico, in cui si dovrebbe finalmente porre termine ai due grandi conflitti in corso. L’anno prossimo sarà però un anno di elezioni e questo renderà ancora più difficile il raggiungimento degli accordi necessari per iniziare gli attesi processi di pace. Avremo infatti elezioni in una sessantina di paesi, che raggiungono i quattro miliardi di abitanti, cioè esattamente la metà dell’umanità. Non solo noi europei voteremo per eleggere il nuovo Parlamento, ma voterà anche l’India e soprattutto gli Stati Uniti, paese determinante per gli equilibri mondiali. Se i due candidati che, molto probabilmente, si contenderanno la presidenza americana si presentano uniti nel sostenere la politica di Israele nei confronti della Palestina, le differenze di veduta fra Trump e Biden e fra democratici e repubblicani, riguardo alla guerra di Ucraina, appaiono sempre più evidenti. Le decisioni prese nelle scorse settimane dimostrano che, nella politica americana, è molto più facile trovare un accordo per aumentare le risorse dedicate a Israele che non la proposta di accrescere i finanziamenti all’Ucraina. Il tutto mentre gli impegni del bilancio federale destano sempre maggiori preoccupazioni proprio nell’anno preelettorale, nel quale i governi sono soliti dirigere le risorse nella direzione che porta consensi tra gli elettori che, in generale, non ritengono certo prioritari gli aiuti a paesi lontani. Dato che le elezioni americane si svolgeranno solo nel prossimo novembre, e che quindi il nuovo presidente si insedierà nel gennaio del 2025, si potrebbe pensare che l’appuntamento elettorale dovrebbe avere una scarsa influenza sugli eventi del prossimo anno. La realtà è invece del tutto diversa.

La campagna elettorale comincerà fra poche settimane e le analisi sulle previsioni di voto influenzano già da ora i comportamenti dei parlamentari che debbono decidere sui finanziamenti all’Ucraina. Bisogna inoltre tenere conto che quest’incertezza americana non può che rafforzare le posizioni politiche che, in Europa, sono riluttanti a sostituire le esitazioni americane con un crescente sostegno economico e militare all’Ucraina da parte dei paesi europei. Senza contare che molti osservatori pensano che un maggiore sforzo in favore dell’Ucraina potrebbe incidere direttamente sulle elezioni europee, favorendo le forze politiche che esprimono una crescente avversità nei confronti di un aumento dell’impegno militare ed economico nel conflitto in corso.

Intanto la guerra di Ucraina si sta trasformando sempre più in una guerra di trincea, con morti e feriti che si contano ormai in centinaia di migliaia e con devastazioni che vanno oltre ogni possibile calcolo. Le incertezze politiche dell’anno elettorale rendono quindi sempre meno possibili i pur timidi tentativi di mediazione dei quali si era ripetutamente parlato in passato. La fine della guerra è diventata solo una speranza, senza alcuna concreta prospettiva di una soluzione politica.

Il quadro economico del prossimo anno, certamente non brillante, offre tuttavia un orizzonte in qualche modo gestibile. Il quadro politico appare invece sempre più incerto e quindi pericoloso. Le previsioni sull’economia del 2024 non sono quelle che speravamo, ma tendono a rendere improbabili eventi pesantemente negativi. La politica del prossimo anno appare invece sempre più incerta, come un grande punto interrogativo, al quale i grandi protagonisti sono sempre meno in grado di dare una risposta.



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