di Guido Colomba
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(The Financial Review n 717) Domani il governatore della Banca d'Italia
incontra i vertici delle grandi banche italiane. Quale è lo stato dell'arte?
A quattro mesi di distanza dal vertice europeo di fine luglio resta invariato
il legame perverso tra il debito sovrano e le banche italiane. Un link che si
traduce in un maggior costo del credito rispetto ai concorrenti del Nord
Europa. L'intervento di Draghi a fine agosto con l'impegno illimitato ad
acquistare titoli di stato sul secondario ha sicuramente bloccato la
speculazione. Per il resto il presidente della Bce è stato chiaro: "Ora
tocca ai governi". Ma la querelle sul bilancio UE per il 2013-2020
mostra impietosamente la situazione reale. L'Italia versa all'Europa
comunitaria più di quanto riceva a vario titolo: il saldo è negativo per 4,5
miliardi. Nel frattempo il Regno Unito riceve un rebate di 6 miliardi di euro
ma alcuni paesi come Germania e Svezia rimborsano al governo di Londra meno
di Italia e Francia. Non basta. Con i tagli proposti al bilancio UE l'Italia
rischia di ricevere molto meno (si parla di circa 8-10 miliardi) rispetto al
passato. Con l'aggravante che l'inettitudine delle Regioni ad utilizzare i
fondi comunitari determina l'ulteriore rischio di perdere anche i vecchi
finanziamenti. Un problema che Monti non può risolvere senza correggere il
capitolo V della Costituzione: fu modificato undici anni fa dando maggiori
poteri, senza altrettanti controlli, alle Regioni. Una devolution che stiamo
pagando a caro prezzo. Da ciò emergono due verità. La prima è la necessità
che in sede europea continui l'opera meritoria di Monti, l'unico in grado di
difendere gli interessi italiani. La seconda si lega alle elezioni politiche
(e regionali) previste, ma non ancora confermate, nel marzo prossimo. Vi sono
molti rischi. Il primo riguarda l'attuazione dei molti provvedimenti varati
dal governo Monti ma in attesa dei regolamenti attuativi. Il Sole 24 Ore ha
calcolato che soltanto il 18,7%, su 482 provvedimenti, è giunto alla fase
attuativa. Ciò significa che si rischia di vanificare buona parte dei
tentativi riformisti del governo dei tecnici. Nel frattempo, nonostante i
sacrifici, il debito pubblico sfiora ormai i 2000 miliardi di euro
accompagnato da una produttività al palo da dieci anni (venti punti persi
rispetto a Germania e Francia). Un macigno che si autoalimenta poiché a molti
conviene mantenere i privilegi ottenuti. La seconda verità è quella politica.
Molti invocano (da Matteo Renzi a Luca Montezemolo, a Oscar Giannino) la
rottamazione della vecchia classe politica che ha governato il Paese in
questi ultimi 18 anni. Ed auspicano un Monti-bis. Ma c'è in scadenza anche
l'elezione a maggio del presidente della Repubblica mentre l'impianto di
norme e regolamenti resta invariato con gli effetti nefasti che abbiamo sotto
gli occhi. Napolitano è giustamente preoccupato. Per il governatore Visco il
problema si fa molto difficile. Quali sacrifici - come i rapporti di
copertura - si possono imporre alle banche? Come modificare la governance?
Gli Stati Uniti hanno già detto di voler rinviare Basilea tre. Il tema degli
emolumenti, più i bonus eccessivi pagati ai dirigenti delle banche e delle Fondazioni
- spesso dirette da politici della Prima Repubblica- stride penosamente (il
direttore degli Uffizi guadagna 1700 euro al mese) con una realtà molto
complessa. Non a caso il team del FMI è al lavoro a Roma e punta il dito sui
crediti non recuperabili superiori ai 100 miliardi più un costo della
raccolta penalizzato rispetto alla concorrenza europea ed una redditività
insoddisfacente. Tutto si lega. Di certo, problemi così complessi non possono
essere affidati alle vecchia casta politica il cui fallimento gestionale (non
ultimo il caso Monte dei Paschi) pesa gravemente sulle spalle degli italiani
onesti. (Guido Colomba) Edizione italiana - Copyright 2012
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