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Polonia e Ucraina erano, forse sono tuttora....



Alberto Pasolini Zanelli
La Polonia e l’Ucraina erano, forse sono tuttora, i due Paesi più affratellati d’Europa. Al punto da confondere i propri destini e, qualche volta, le proprie scelte. Polonia e Ucraina, questa volta, si sono comportate da sorelle che prendono strade apparentemente opposte, obbedendo ad impulsi analoghi. Non è propriamente un caso che siano andati alle urne lo stesso giorno, intera la prima nella sua orgogliosa sovranità, frantumata la seconda nella lotta per mantenerla ora che è di nuovo minacciata. Varsavia rinnovava il Parlamento, Kiev la sua forma analoga e abnorme. I polacchi avevano oscillato nelle loro scelte, dopo il recupero dell’indipendenza da un dominio di Mosca che non era stato soltanto quello sovietico ma si estendeva all’indietro fino a una conquista russa risalente agli anni precedente alla Rivoluzione Francese. L’Ucraina l’indipendenza e la sovranità non le aveva in pratica mai godute in pace, se non durante qualche guerra civile. In forme diverse, erano rimaste nel ventre di Mosca, zarista o comunista. Su di lei si erano abbattute rivolte e repressioni. Fino il giorno del miracolo, al crollo dell’Impero sovietico, all’occasione nazionale. E Varsavia era ridiventata capitale di frontiera, ma non più sola come negli anni fra le due guerre, bensì antemurale dell’alleanza militare almeno teoricamente più potente della storia del mondo con l’America e l’Europa alle spalle.
Doveva essere abbastanza per tenere a freno la Russia, ma così non è accaduto. Da entrambe le parti dell’ex Muro si è giocato probabilmente troppo al rialzo, ciò cui ha contribuito il “revanscismo” prevalentemente propagandistico di Vladimir Putin e da parte occidentale la tentazione di continuare la Guerra Fredda o almeno ad assorbirne i frutti. Così si è parlato di installazioni di missili e di altre forme di riarmo in connessione con la crisi siriana ma anche e soprattutto, su scala minore ma molto più “intima”, di quella in Ucraina. Che è più complicata, se si vuole, ma anche per ora sotto un maggiore controllo. L’Occidente è più compatto in tale contesto che non nel Medio Oriente, ma è tuttavia divisibile fra visione americana e una europea. L’Europa predilige quasi sempre i compromessi, anche e soprattutto quando il gioco delle forze e delle aspirazioni è particolarmente complesso. È così che una nazione come la Polonia, fra le più compatte d’Europa come sentimenti, si trova ad essere perfino lei divisa da contrasti tattici. Che la portano, a differenza che su posizioni tradizionalmente concilianti, a una dura dialettica contraddittoria: dieci anni fa Varsavia fu conquistata e retta dall’estrema destra. Poi venne una oscillazione in senso moderato, quasi centrista. Adesso, quando si è tornati a fare i conti, il tentativo di Ewa Kopacz all’insegna del “semplice buon senso di una donna polacca”, ha trovato i suoi limiti e l’estrema destra ha avuto la sua rivincita in misura compatta e indiscutibile. Aumenteranno dunque le pressioni da Varsavia per un rafforzamento militare nell’area e nei Paesi direttamente confinanti, soprattutto l’Ucraina ma anche la Lituania: le regioni prese in esame già anni fa sotto la presidenza Bush per l’installazioni di missili antimissile teoricamente giustificati con un pericolo di attacco improbabilmente diretto dell’Iran nell’area baltica.
Il voto contemporaneo degli ucraini è stato meno compatto e più solcato da preoccupazioni anche contraddittorie. I polacchi hanno votato quasi tutti uguali da Varsavia a Lublino, da Cracovia a Lodz. Gli ucraini hanno “confessato” anche nell’immettere la scheda nell’urna di essere diversi. I più hanno scelto nelle aree critiche, quelle in cui da qualche tempo non si spara quasi più ma si potrebbe ricominciare in ogni momento, la via “moderata” o perfino savia dell’astensione, soprattutto su freschi campi di battaglia come Donetsk. I filorussi (che sono poi per prima cosa russofoni e poi definiti anche dall’identità religiosa) vi hanno mostrato comunque la propria forza. I nazionalisti ucraini, particolarmente attorno alla capitale Kiev, hanno seguito appassionatamente la linea nazionale. Le altre minoranze, alcune del mainstream come l’europeissima Leopoli, già austro-ungarica e soprattutto, forse esemplarmente, la poliglotta Odessa, capitale letteraria dell’Ucraina, fatta crescere per ordine di uno zar da coloni di tanti Paesi fra cui tanti italiani e tanti ebrei, guidata nei suoi primi passi da un governatore di nome francese quanto Richelieu e immortalata, in quel gioiello cinematografico di Eisenstein, La corazzata Potemkin, nell’angoscia della carrozzina di bimbo che rotola giù per la scala “rivoluzionaria”.
Pasolini.zanelli@gmail.com