Alberto
Pasolini Zanelli
Sono rientrati in
molti, non tutti, da un vertice G20 in un luogo fatato della Cina, ciascuno con
il suo sacchettino di delusioni. Apre la fila Barack Obama, cui nella città
“fatata” di Hangzhou sono capitate proprio di tutte. A cominciare dall’arrivo
quando si è trovato a scendere dall’aereo presidenziale non dalla solita scala
d’onore atteso da un tappeto rosso, bensì da un’uscita posteriore attraverso
una scaletta molto modesta su un tappetino. Naturalmente si è meravigliato di
questa violazione del protocollo per gli ospiti d’onore, ma non ha potuto né
voluto esprimere il proprio sconcerto. Quindi alla prima occasione si è
affrettato a dire che la violazione dell’etichetta era dovuta un po’ alla
confusione e un po’ alle preoccupazioni per la sua salute, in tempi rischiosi
come questo.
Una volta
arrivato, egli ha avuto, oltre alle sedute multiple con i rappresentanti di
venti Paesi, un lungo e intenso colloquio con il presidente cinese Xi Jinping,
denso di scambi di vedute e avaro di risultati. Si sono messi d’accordo, in
sostanza, solo su un programma di difesa della natura dagli eccessi della
industrializzazione e della crescita delle due massime potenze economiche del
mondo. Per il resto fumata nera, anche nell’ambizioso progetto commerciale, la Tpp,
la partnership attraverso li Pacifico, un progetto destinato a un rinvio senza
appuntamenti sul calendario. Figuriamoci il resto, il tentativo di accordarsi
sulla crisi nel mare del Sud della Cina, le isole, isolette e scogli che
Pechino vuole annettere basandosi sulla storia e che Washington vorrebbe che
rimanessero “libere”, appoggiandosi su una sentenza di una Conferenza
Internazionale di Diritti Marini. Pechino ha detto subito “no”, anzi lo ha
ripetuto a Hangzhou, in un’occasione mondana e festosa. Xi ci teneva da tempo a
fare del “suo” G20 una copia dei Giochi Olimpici. Pare abbia investito oltre
venti miliardi di euro, cioè il quadruplo di quelli spesi nelle Olimpiadi di
Rio de Janeiro. Gli ospiti, dopotutto, lo meritavano. Il G20 è costituito da
novanta Paesi ricchi, potenti o almeno di avanguardia, che rappresentano l’85
per cento della ricchezza planetaria e due terzi della popolazione mondiale. Fu
una creatura dell’emergenza, creato nei giorni della crisi finanziaria mondiale
del 2008, entrò subito in funzione e riuscì ad arginare il crollo dei mercati.
Anche se nelle successive edizioni non ha ripetuto una tale prodezza, ma
continua ad essere preso sul serio. Lo dimostra tra l’altro il fatto che il
documento approvato a Hangzhou consiste di oltre settemila parole, alcune delle
quali significative: per esempio il riconoscimento che i recenti “eccessi di
capacità produttiva” hanno avuto un impatto negativo sul commercio e sul
reddito dei lavoratori. Un’opinione condivisa, espressa alla vigilia del
vertice da un messaggio della “governatrice” del Fondo Monetario Internazionale
Christine Lagarde in cui si sostiene che “la combinazione di una bassa crescita
e di un forte aumento della diseguaglianza sta generando un clima politico in
cui si arenano le riforme”.
Qualcuno se l’è
presa direttamente con la Cina: il presidente della Commissione Europea
Jean-Claude Juncker l’ha criticata per “l’eccesso di capacità produttiva,
soprattutto per quanto riguarda l’acciaio, che Pechino produce “in una quantità
ormai inutile per tenere in funzioni gli altiforni e continua a vendere in
perdita abbattendo i prezzi e spazzando via l’industria europea”. Accanto ai
confronti e alle funzioni d’obbligo, il G20 ha avuto da offrire agli ospiti un
menu senza paragoni nella storia dei vertici: uno show colmo di canti e di
suoni, di danze e di delicati fuochi d’artificio, di visioni di raffinate. La
definizione della città come un Paradiso Terrestre e si è sforzata di
meritarlo, ripescando un passato millenario che la vide elogiata da Marco Polo
ma anche, molto più tardi, da Mao Zedong ed esibendo al massimo la sua
ricchezza moderna, visibile non solo all’occhio ma anche da piccole
informazioni curiose della sua recente prosperità. Una metropoli di nuovi
ricchi, in cui una delle offerte di lavoro è la funzione di maggiordomo. Una
“categoria” praticamente estinta in Occidente e risorta imperiosamente in un
Paese formalmente ancora comunista. I nuovi miliardari non trovano abbastanza
maggiordomi e allora li fanno crescere, invitando in Cina delle “scuole”
europee, fra cui la più pregiata pare essere l’International Butler Academy. In
molti sensi un vertice, da cui gli ospiti staranno portando a casa almeno dei
piaceri degli occhi e delle orecchie, anche se non sempre delle concrete
soddisfazioni politiche. Anche Obama, che è risalito in aereo dalla scaletta
principale. Con tappeto rosso.