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Gay Talese: “Circo, dramma, suspense. L’America di oggi è come un serial show”

inviato a New York

L’America sta vivendo una fase di ipocrisia che ha pochi precedenti
nella sua storia». Non fatelo neppure cominciare a discutere l’era del
trumpismo, altrimenti l’inventore del «New Journalism» Gay Talese
vi travolgerà. 
Quando era stato eletto, lei aveva detto che Trump rappresentava l’essenza degli Usa. Lo pensa ancora?  

«Certo. Incarna tutto ciò che i giornalisti cresciuti nel privilegio e nel culto della correttezza politica disprezzano, e quindi non riescono a vedere». 

Cioè?  

«Un uomo egotistico e rude. Non di strada, ma che viene dalla strada. Dai cantieri edili di suo padre, dove gli operai sudano, imprecano e guardano le donne. Chi lavora nei media, ha studiato nelle università d’elite, fa l’avvocato a Washington, non ha la minima idea di come sia il mondo reale. Loro erano affezionati al professore di decoro Barack Obama, che aveva trasformato la Casa Banca in una classe di Harvard. Presidente ideale, padre ideale, che aveva scelto di essere nero, perché era nato da una donna bianca ma aveva deciso di sposare una nera. Intelligente, anche lei laureata a Princeton. Ora invece si ritrovano un presidente “redneck” e fornicatore. Tanti altri lo sono stati, dai fratelli Kennedy a Martin Luther King. L’Fbi lo sapeva, ma allora non si diceva. Da Trump però non si accettano simili comportamenti, e sperano che a salvarli ci pensi il procuratore Mueller. Lo vedono come Mosè. È una follia, perché è un uomo pieno di pregiudizi. Come Hoover, capo dell’Fbi ai tempi di Kennedy e King. Come tutti gli uomini dell’Fbi». 

Perciò secondo lei regna l’ipocrisia?  

«Totale ipocrisia. Trump è una figura favolosamente fallace. Uno sfacciato newyorchese, come Giuliani o il suo avvocato Cohen. Viene da un mondo di costruttori, ruffiani, fornicatori. Intorno a lui è nata un’industria di odiatori, oscuri giornalisti diventati celebrità. Lo criticano ma è la loro fortuna. Senza di lui avrebbero il blocco dello scrittore». 

Però New York, con la California, è il cuore della resistenza.  

«Perché è una città di liberal, gente istruita che fa un sacco di soldi ma non lo dice. I valori di Trump invece si identificano con la ricchezza. Lui la ostenta, e forse non è neppure vera, visto che nasconde la dichiarazione dei redditi. A New York per un uomo così possono avere simpatia solo gli operai e i poveracci». 

Questo forse spiega l’avversione dei giornalisti per Trump, ma perché non hanno capito i suoi elettori?  

«Sono giovani, intellettuali, vogliono stare vicino a persone intelligenti. Si vestono come se stessero ancora al college. Non vogliono passare il tempo con gente noiosa, ignorante, maleducata e paranoica, com’è l’americano medio. L’americano che non vive sulle due coste non fa nulla di interessante, tranne quando ammazza qualcuno o muore. Però è risentito perché fatica a vivere, e non sa neppure se riuscirà ad offrire un’esistenza migliore ai suoi figli. Chi può pagare le scuole private da 40.000 dollari all’anno, oltre agli avvocati e ai gangster di Wall Street? Oggi la storia americana è questa: caos, dramma, suspense. Un serial show che si svolge davanti a noi, giorno e notte». 

Trump sta riuscendo a cambiare l’America?  

«È il primo presidente che ha accettato di vedere il leader nordcoreano, ha tagliato le tasse, sta realizzando cose significative. Nonostante debba combattere ogni giorno con chi vuole distruggerlo. Forse non si aspettava di vincere, ma ora che ha vinto sta facendo quello che aveva promesso». 

Ha pagato una pornostar per tacere sulla loro relazione. Perché i suoi elettori gli perdonano tutto?  

«Se gli uomini non guardassero le donne non ci sarebbe più la popolazione mondiale, e neppure la civiltà. È così. Gli uomini devono essere aggressivi. Non dico stupratori o assassini, ma almeno non deboli. Invece ora, con il movimento #MeToo, abbiamo tutti questi uomini condannati all’inferno. Alcuni se lo meritano, tipo Harvey Weinstein, ma in mezzo ci è finito anche Tom Brokaw, l’amato autore della “Generazione più Grande”. Se in questo Paese avessimo la regola che solo i santi possono essere eletti alle cariche pubbliche, nessuno verrebbe eletto. Gli americani perdonano Trump perché è come loro. Una moglie ordinaria sa che a fine giornata suo marito va con gli amici a guardare le spogliarelliste e a gonfiarsi di birra. Magari non è lo stile celebrato il venerdì sera alle riunioni del Rotary, ma è la vita vera. Oggi solo gli scrittori di fiction hanno il coraggio di raccontare la realtà, che siano Roth, Franzen, Carol Oates, o chi preferite. I romanzieri ti dicono come sono gli uomini, le donne, gli adulteri. I giornalisti no: criticano gli altri ma dimenticano la sporcizia che hanno in casa. L’America oggi è così: un circo. Forse non una caccia alle streghe, ma certamente una fase di ipocrisia che ha avuto pochi paralleli». 

Sui temi razziali Trump non sta dividendo il Paese?  

«Ma perché, Obama cosa ha fatto per i neri? Chicago, la sua città, è la capitale del caos. Come dice Kanye West, i neri sanno che i democratici non hanno migliorato le loro vite». 

E le migrazioni? Il muro? Gli ispanici?  

«La città più razzista in America è New York. Non siamo a Birmingham nel 1965, ma abbiamo le scuole segregate: i ricchi vanno in quelle private, i poveri in quelle pubbliche. Poi c’è la segregazione edilizia, perché non ci piace stare con chi non è come noi. Gli americani predicano l’eguaglianza e la giustizia, ma non la praticano. Se avessimo onestà e integrità, aboliremmo le scuole private per garantire che tutti vengano istruiti nello stesso modo. Un’altra cosa che rimpiango è la leva militare. Metteva nella stessa camerata i laureati di Harvard e gli operai, mescolando davvero l’America, ma i ricchi l’hanno cancellata». 

Come finirà questo reality show, commedia, tragedia o successo?  

«Se Trump fosse ucciso - e molti non se ne dispiacerebbero - o Mueller trovasse abbastanza porcherie per l’impeachment, i giornalisti dovrebbero trovarsi un altro lavoro. Al suo posto andrebbe Pence, che è l’uomo onorevole più noioso al mondo». 

Ma a parte il giornalismo?  

«Ci ho pensato a lungo, e non vedo come Trump possa sopravvivere. Però ogni giorno sembra che la sua casa sia in fiamme, e lui sopravvive. Se fa la pace in Corea, magari vince anche il Nobel». 

Quindi lei lo appoggia?  

«Assolutamente no. Non condivido dove sta portando il Paese, ma questo non significa ignorare che lo sta portando dove vuole». 

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Questo sì che è parlar chiaro.

Invece, i giornalisti nostrani mediamente o si schierano o non sanno scrivere o non sanno fare informazione né tantomeno opinione.

E il popolo attende che il coniglio Premier esca dal cappello di… ? Mattarella ha rivendicato il diritto alla sua nomina rispolverando pure Einaudi ma credo che il suo sia poco più di un diritto di ratifica o di veto se proprio non approva: vedremo, dopo il voto non ci resta che aspettare e sperare, soprattutto che quel lumicino di ripresa non si spenga nuovamente. Dispiace che gentiluomini come Letta prima e Gentiloni adesso debbano sempre finire così, anche perché Renzi e il partito davvero non li sostengono – e perciò alla prossima tornata elettorale sono destinati a scomparire o quasi. L’unico che esce sempre vittorioso è B. ora è stato pure giudicato reintegrabile.

Vedremo, appunto.
Lucilla S.
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Caro Oscar,

Ritengo che quest'intervista di Mastrolilli sia una delle migliori in assoluto che tu abbia pubblicato. Certo Talese è un Unus ex Pluribus, ma mi ha colpito il quadro che fa della nazione: realistico ed amaro, con una netta separazione tra il mondo dorato dei ricchi e degli intellettuali di Harward ed il resto. Interessante la sua analisi su Trump, la prima che leggo così schietta e cruda. Mi ha colpito in particolare l'accostamento che fa di Hoover col Procuratore Mueller. Credo anche che abbia colpito nel segno affermando che  Trump incarni l'americano del popolo e non dell'elite: rude, grossolano, con le mani sporche di grasso, di calcina, di terra e ad essi si rivolge con successo. E' poi amara l'analisi della Stampa, anche se in parte condivisibile. Purtroppo di essa abbiamo il peggio in Italia.

Oscar, complimenti. Credo che l'intervista sia meritoria di diffusione sui grandi canali di distribuzione. Ti ringrazio per avercela "regalata".

Un abbraccio

Aldo