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Carlo Calenda e' l'unico elemento di novita'


Carlo Calenda e' l'unico elemento di novita' che energe dalle votazioni comunali.

Essere riuscito ad avere una percentuaale di voti superiore a quella degli altrri partiti e' la dimostrazione che parlando direttamente con la gente dei loro problemi e proponendo soluzioni comprensibili e di immediata realizzazione si ottiene il consenso, nonostante il disorientamento che ha ormai travolto il corpo elettorale.
Di Calenda si parla solo per ipotizzare il suo appoggio a sostegno del candidato PD Gualtieri nel ballottaggio per Roma.
Nessun gran giornalista italiano si e' soffermato nell'analizzare come uno con pochi soldi, sbeffeggiato dall'intera classe dei politici professionisti sia riuscito ad ottenere un successo di adesioni di tali proprorzioni.
Teniamolo d'occhio questo 'giovane' perche' potrebbe essere l'elemento risolutivo per i milioni di liberali disillusi da i vari Berlusconi, Renzi, etc. e fino ad ora senza casa.
Oscar
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Laura Cesaretti per "il Giornale"

A quanto pare, onorevole Carlo Calenda, ora che lei ha preso il 20% per il Pd non è più di destra

«Il Pd mi pare sia abituato a spostare facilmente il confine tra destra e sinistra a seconda delle proprie convenienze».



Ma ora la vogliono, sia Gualtieri che Letta la corteggiano. Li ha sentiti?

«Nessuno dei due. Ma credo che il mio numero lo abbiano».



Letta la avverte che se lei non aiuta Gualtieri al ballottaggio, aiuta i fascisti di Fanpage.

«Hanno sempre questo unico argomento: se non ti sottometti, sei un fascista. Io voterò Gualtieri, ma al 20% ci sono arrivato parlando ai cittadini non come popolo ma come persone senzienti e proponendo soluzioni concrete ai problemi giganteschi di Roma. I loro voti non si spostano come valigie: se li vogliono, devono dare risposte che nel programma di Gualtieri mancano».

Lei comunque ha dato un giudizio molto negativo del candidato di centrodestra.

«Michetti è improponibile come sindaco: non sa mettere due parole in croce, non ha alcuna esperienza amministrativa, ha un programma raffazzonato messo insieme scopiazzando quelli di altre città. Non può gestire una metropoli complessa come Roma».

Meglio Gualtieri, quindi?

«Gualtieri è sicuramente meglio, e ha esperienza di governo assai maggiore. Ma Gualtieri rappresenta la stasi».

Nel senso di polizia segreta della Ddr?

«No, nel senso dell'immobilismo. Non dice nulla sul disastro delle municipalizzate ormai al servizio dei sindacati più che dei cittadini, nulla sulla necessità di fare i termovalorizzatori o di riorganizzare radicalmente i vigili urbani. Il mio programma su questi temi è chiaro, e su quello ho preso i voti: se li vogliono, possono attingere da lì. Io non farò comunque alleanze e sarò lealmente all'opposizione».

I Cinque stelle sono molto offesi dal suo veto contro di loro, e la riempiono di improperi.

«Sono dei bambini maleducati, non ho grande interesse a rispondergli o rieducarli. Hanno disintegrato Roma, non si può stare in un'alleanza con loro. E politicamente non esistono più: l'area liberaldemocratica ha preso nazionalmente il 3% più di loro; la mia lista a Roma ha preso quanto loro hanno preso in tutti i capoluoghi sommati. Sono tenuti in vita con la cannula dal Pd, non si capisce più perché».

La stella di Conte è tramontata?

«Dubito che sia mai sorta. Uno ascolta la sconvolgente banalità furbetta dei suoi discorsi e si chiede come abbia potuto gestire un paese».

A proposito di governo: Salvini pesta i piedi con Draghi, il Pd lo sfida a uscire dalla maggioranza. Lei teme una crisi?

«Io vedo un asilo infantile che alza i toni per militarizzare i propri elettori. Poi, per fortuna, c'è un adulto che lavora e governa. Se andasse in pensione o al Quirinale, i bambini scoprirebbero di non saper gestire il paese».

Si butterà nell'impresa di costruire un «centro» nazionale?

«Serve una forza liberal-riformista e pragmatica, che dia risposte alla grande domanda di politica seria nata dopo il Covid: proverò a costruirla girando l'Italia e organizzando un congresso a metà gennaio per lanciarla, sul modello di quello che abbiamo fatto a Roma. Cercando consensi alla vecchia maniera: presenza tra la gente, linguaggio diretto. Come ha fatto la destra, ma con tutt' altri contenuti».

Guarda anche a Forza Italia?

«Credo che anche i moderati del centrodestra siano interessati ad una nuova casa. Dubito che Berlusconi voglia svendere il lavoro politico di una vita in cui ha saputo raccogliere enormi consensi a due ragazzini litigiosi e incapaci di governare come Meloni e Salvini».

E Matteo Renzi?

«Renzi lo ho sentito, ma mi pare interessato più a gestire la battaglia parlamentare sul Quirinale che a costruire questo progetto insieme».

Letta dice che il nuovo bipolarismo è tra destra e sinistra, e in mezzo non c'è spazio per nulla.

«Non è così: il nuovo bipolarismo è quello tra persone serie e populisti o sovranisti poco seri, che non sanno affrontare i problemi immensi che ci stanno davanti. Il nuovo Ulivo di Letta è solo un'altra Unione con dentro tutto e il suo contrario, da Sel a Calenda, da Renzi ai grillini. Potrebbe anche vincere, ma il giorno dopo la maionese impazzirebbe e non sarebbe in grado di governare».
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Ben poche novità caro Bartoli.
L'Italia sta scendendo sempre più in basso.
Ma non da oggi: dal 1965.
Se siamo ancora vivi è perché eravamo abituati a volare ad alta quota (grazie agli etruschi, ai romani, al rinascimento ecc.).
Un caro saluto e cerchiamo di ritirare su questo bel paese,
Antonio Toniolo
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Caro Oscar,

è tutto sommato raro che tra liberali (quorum nos) si possa così dissentire sulla figura di un altro liberale, Carlo Calenda.

Io al contrario di te penso infatti che la brama di protagonismo che lo contraddistingue e con cui si iscrisse al PD tre anni orsono, ma solo per poterne uscire subito dopo (e così ecco a voi ben due notizie per la stampa!), sia l’ennesima illusione che un partitino come Azione possa – intendo su scala nazionale – fare meglio di altri. Perché Calenda è “impolitico”, non capisce la politica, arte della mediazione tra le complessità e gli interessi spesso contrapposti (e tutti legittimi!) dei cittadini, delle parti sociali, delle varie rappresentanze etc etc. Non sarebbe stato neanche un buon Sindaco di Roma: perché i manager - quale è certo lui per eccellenza di visione, capacità organizzativa e per competenze tecniche (l’ho potuto conoscere quand’ero in Luiss e lui in Confindustria) -  è bene che facciano il loro (sacro!) lavoro in azienda e solo lì.  Antonio D’amato, presidente di Confindustria (con il quale come sai ho direttamente collaborato), ha rischiato di essere un non gran presidente degli industriali. Sai perché? Perché intendeva la Confindustria come un’azienda. Ahi noi! E tu, che come me ci sei stato a lungo dentro, lo puoi capire benissimo. Ho preferito Prodi su tutti e ora sto dando fiducia a Letta. Per guidare un Paese o una Metropoli non ci vogliono – come ha detto il grande Bruno Visentini – né politici, né tecnici, bensì “politici di qualità con competenze tecniche di qualità”.

Abbracci

Sandro

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