Federico Rampini per www.corriere.it
Cina e Russia riescono a fare quello che sembra impossibile per l’Occidente: andare d’accordo contemporaneamente con l’Iran e con l’Arabia saudita, le due potenze rivali che si contendono l’egemonia sul Golfo Persico. Il viaggio di Xi Jinping in Arabia saudita lo ha dimostrato. Il principe Mohammed bin Salman (detto MbS: nella foto i due leader) lo ha ricevuto con tutti gli onori, malgrado gli ottimi legami fra la Repubblica Popolare e il regime degli ayatollah di Teheran (nemico giurato dei sauditi).
La visita di Xi a Riad ha segnato una nuova tappa nell’avvicinamento tra l’Arabia saudita e la Cina, all’insegna di interessi economici ed energetici che in futuro potranno assumere una dimensione anche strategico-militare. Il viaggio di Xi a Riad si è svolto in un momento in cui l’Arabia scoppia di salute, grazie al petrolio. L’ente energetico di Stato, Aramco, ha visto aumentare del 90% i suoi profitti quest’anno. Il bilancio pubblico di Riad ha un attivo di 27 miliardi di dollari. MbS sta consolidando la sua modernizzazione autoritaria, che ha qualche ingrediente in comune con il modello politico cinese.
Sotto il principe 37enne l’Arabia ha fatto dei veri progressi sui diritti delle donne; ha ridotto il potere del clero wahabita, reazionario. L’Arabia cerca di assomigliare a Dubai o punta a surclassare la città degli Emirati, visto che MbS ha in progetto un investimento da 500 miliardi per costruire nel deserto una metropoli che dovrebbe essere una vetrina di modernità.
L’Islam come lo intende MbS è funzionale ad un regime autoritario ma sempre più laico; le analogie non mancano con l’uso del confucianesimo da parte di Xi. I due leader condividono la stessa analisi sulla decadenza dell’Occidente. Entrambe, come ha scritto l’esperta di Arabia Karen Elliott House, «si considerano gli eredi di due civiltà antiche e orgogliose, superiori all’Occidente».
Tutti e due vogliono svolgere un ruolo crescente in un mondo multipolare. Non tollerano le prediche occidentali sui diritti umani, al punto che MbS ha avallato le persecuzioni degli uiguri musulmani perpetrate dal regime di Pechino. Tutti e due fanno ricorso a sofisticati sistemi di spionaggio digitale dei propri cittadini per reprimere il dissenso.
Sul piano concreto la visita di Xi ha segnato diversi successi: un insieme di accordi commerciali del valore iniziale di 29 miliardi. Huawei, il gigante delle telecom cinesi la cui espansione viene ostacolata in Occidente, avrà un ruolo importante per il cloud computing in Arabia. Un’azienda cinese costruirà una fabbrica di auto elettriche in Arabia. Un’altra fornirà batterie all’idrogeno “verde” per la futura smart city di MbS.
L’accordo più gravido di conseguenze potrebbe essere quello monetario e finanziario che coinvolge una società saudita di energia rinnovabile (Acwa Power) e l’istituto creditizio cinese Industrial and Commercial Bank of China (Icbc). Questo accordo sembra preludere a un uso crescente da parte delle banche saudite del sistema di pagamento internazionale Cips, il rivale cinese del Swift per operare trasferimenti di fondi tra banche.
Il dominio mondiale del Swift – che ha sede in Belgio ed è di fatto sotto il controllo americano – viene considerato da Pechino come una delle manifestazioni della supremazia del dollaro. Il Cips ha finora un ruolo minuscolo rispetto al Swift. Ma riuscire a coinvolgere i sauditi in un sistema di pagamenti internazionali sino-centrico e anti-americano, potrebbe accelerare anche l’uso del renminbi come moneta di pagamento per le importazioni di petrolio saudita da parte della Cina. Questo rientra nel progetto cinese di scalzare la leadership del dollaro, nel lungo termine. L’Arabia è il più grosso fornitore di petrolio per la Cina, e la Repubblica Popolare è a sua volta il singolo maggiore acquirente di greggio saudita.
La questione energetica è cruciale per spiegare le grandi manovre di avvicinamento tra Pechino e Riad. Sia Xi sia MbS riconoscono che il mondo dovrà ridurre la propria dipendenza dalle energie fossili per attenuare il cambiamento climatico. Ambedue però condividono una visione pragmatica del processo di transizione, sanno che delle energie fossili ci sarà ancora bisogno per decenni.
Di conseguenza, quando i sauditi parlano con i cinesi non sentono lo stesso linguaggio radicale dell’ambientalismo occidentale. Capiscono che il rapporto con la Cina sul petrolio rimarrà una certezza nel medio termine; mentre non riescono a fare programmi di ampio respiro e durata per quanto riguarda i legami con l’Occidente.
Di questo passo prima o poi la Cina vorrà passare dal terreno economico a quello militare. Per adesso l’Arabia saudita non può fare a meno degli americani per garantire la propria sicurezza. Né le forze armate cinesi sono in grado di sostituire a breve le flotte Usa come garanti della libertà di navigazione per le petroliere nel Golfo, nel Mar Rosso, nel Mediterraneo e nell’Oceano Indiano.
Ma Pechino ha già cominciato a fornire ai sauditi droni, tecnologie missilistiche, e dà un contributo per il programma nucleare di Riad. In futuro la Cina sarà interessata a dotarsi di una base navale nel Mar Rosso. Il futuro arriva presto.
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