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Tutto quello che manca nell’auto elettrica rispetto a una termica (e i vantaggi economici per le industrie)


By Marco Mussini 







Facciamo un esperimento: prendiamo una comune auto termica, per esempio una compatta con motore turbodiesel omologato Euro 6 e proviamo ora a togliere un pezzo alla volta, tutto quello che non serve avere su un’auto elettrica.

Scorrete via via un pezzo dopo l’altro, e vi renderete presto conto di quanto sia più semplice costruire un’auto elettrica rispetto a una tradizionale a gasolio o benzina. Ma iniziamo l’elenco dei componenti superfui.

Serbatoio carburante



Pompa carburante



Sensore livello serbatoio carburante



Filtro gasolio



Filtro aria

Filtro olio



Pompa olio

Monoblocco



Testata



Serie 16 valvole



Serie 4 pistoni



Albero motore

Alberi a camme



Serie 16 punterie idrauliche



Cinghia di distribuzione



Tendicinghia



Volano bimassa



Pompa dell’acqua



Radiatore



Elettroventola radiatore

Serie iniettori



Pompa di iniezione

Common rail



Turbocompressore con geometria variabile e valvola waste gate

Intercooler



Catalizzatore

Filtro antiparticolato



Serbatoio additivo antiinquinamento AdBlue (urea)



Sensore SCR



Sonda lambda



Valvola EGR



Silenziatore di scarico



Cambio di velocità



Frizione



Motorino di avviamento



Cosa ci resta?

Arrivati a questo punto si penserà che quello che resta è un rottame, uno scheletro inutilizzabile buono solo per la rottamazione.

Invece è qualcosa a cui manca concettualmente poco per diventare un’auto elettrica: in sostanza una batteria, almeno un motore elettrico e una centralina di controllo.

Possibile? Un’elettrica ottenuta aggiungendo qualche pezzo a uno scheletro di auto termica spogliato di così tanti sistemi e componenti?
La semplicità di un’auto elettrica

Concettualmente sì, perchè un’auto elettrica è intrinsecamente molto, ma molto più semplice da costruire, riparare e manutenere rispetto a un’auto termica. (Se non fosse per il costo ancora elevato delle batterie, costerebbe sicuramente meno).

La tecnologia sviluppata per i motori, le trasmissioni, la formulazione chimica dei carburanti, il controllo delle emissioni, l’abbattimento del particolato, gli accorgimenti motoristici per migliorare le prestazioni e ridurre i consumi… Tutto questo know how, risultato di oltre un secolo di ricerche, studi, prove e investimenti, non serve più su un’auto elettrica.

Questo significa anche che le Case oggi impegnate nella progettazione e produzione di auto termiche, finora protette dall’arrivo di nuovi concorrenti dall’imponente quantità di conoscenze ed esperienze (e brevetti) impossibili da reinventare in breve tempo, in prospettiva, per lo sviluppo delle auto elettriche, saranno improvvisamente private dello scudo protettivo di cui hanno finora goduto e risulteranno esposte come mai prima d’ora alla concorrenza di nuovi soggetti.
Cosa si può mutuare dalle conoscenze derivate dall’auto termica

Per realizzare un’auto elettrica le conoscenze riciclabili dal bagaglio di know how usato per le auto tradizionali sono essenzialmente quelle telaistiche, aerodinamiche ed ergonomiche.

Sulle altre competenze si riparte da zero, ad armi pari, e sarebbe bene che le Case “tradizionali”, i Governi dei loro Paesi e i territori interessati dall’occupazione che generano non dormissero sugli allori.

Si vede già ora che le nuove Case impegnate sulle elettriche hanno caratteristiche, ubicazione e competenze completamente diverse da quelle di una classica industria automobilistica.
Nuovi contro vecchi costruttori, la sfida entra nel vivo

Ragionano con una logica da start-up, tipica del mondo tecnologico, e non hanno da gestire la lenta agonia di un business preesistente dai margini risicati e dal mercato saturo (piuttosto rischiano di non raggiungere l’attivo per troppo tempo a causa della lenta crescita del mercato delle elettriche, ma questo è un altro problema).

Possono così concentrare tutte le proprie energie all’innovazione sui nuovi prodotti, che hanno a bordo sempre più ingegneria informatica (fra l’altro le implementazioni più avanzate di guida autonoma, guarda caso, sono sulle auto elettriche) e sempre meno ingegneria meccanica classica.

Il caso di Tesla è emblematico: l’azienda è nata da zero nel 2003, il quartier generale è a Palo Alto in California (e non a Detroit e dintorni); è già così avanzata da vendere componenti per powertrain elettrici a Mercedes e da avere una partnership per lo sviluppo delle auto elettriche con il leader indiscusso delle ibride, Toyota.

Il fondatore e ispiratore, il sudafricano Elon Musk naturalizzato canadese e statunitense, laureato in fisica e in economia, ha una solida cultura informatica. Fondatore di PayPal, oltre all’avventura sull’auto elettrica e sulla Gigafactory, Musk si occupa anche di vettori orbitali (SpaceX), pensa al trasporto passeggeri in tubi ad aria compressa (Hyperloop), ha interessi nell’energia solare (SolarCity) e nell’intelligenza artificiale (OpenAI).

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