Sfida a Cina e Usa – La coesione che serve per rilanciare l’Europa
Articolo di Romano Prodi su
Il Messaggero del 27 aprile 2024
Da ormai qualche anno l’industria europea si sente
sotto assedio. La Cina e gli Stati Uniti, pur con differenti metodi e strumenti, guadagnano quote di mercato ed emergono nelle nuove tecnologie. Dal lato cinese, alla prolungata prova di forza nei beni tradizionali, si è aggiunta una
formidabile conquista dei nuovi prodotti, che ha portato a un quasi monopolio nell’immenso settore delle nuove energie e a una presenza massiccia in campi raffinati, in precedenza fortemente presidiati dall’industria europea, come i prodotti intermedi della chimica o della meccanica strumentale. Le proteste settoriali si sono trasformate in un allarme generale quando ci si è resi conto della quasi imbattibilità, nei prezzi e nella tecnologia, dell’industria cinese delle
auto elettriche e delle batterie.
Un problema drammatico non solo per l’importanza del settore, ma anche per la scelta europea di arrivare in tempi stretti verso l’uso esclusivo dell’auto elettrica, mettendo fuori gioco i motori a combustione interna, cioè
tutta la nostra industria automobilistica.
La reazione dei produttori europei si sta concentrando su una difficile rincorsa tecnologica, accompagnata da dazi all’importazione abbastanza elevati da
bloccare il dominio della Cina che, anche per la
politica di sussidi adottata dal governo, già ora è diventata il primo produttore mondiale di automobili.
Vedremo come si evolveranno le cose perché non è ancora chiara la strategia delle imprese cinesi riguardo alla costruzione di impianti produttivi in Europa.
E’ vero che lo sforzo delle industrie europee sta crescendo, ma il livello dei prezzi delle auto elettriche è talmente elevato che si sta producendo una tensione fra produttori e consumatori, già oggi molto più lenti di ogni previsione nell’acquisto di auto elettriche, troppo costose rispetto alle auto tradizionali.
Riguardo alla concorrenza americana il problema si concentra soprattutto sulla politica dei
crescenti sussidi pubblici all’industria. Una politica non certo assente anche nel vecchio continente, ma che, in Europa, viene adottata dai singoli paesi e, quindi, non solo dipende dalla loro capacità finanziaria, ma si dimostra non in grado di affrontare i problemi della ricerca, dell’innovazione e delle stesse economie di scala.
Una tradizionale
risposta europea, concentrata su sussidi e dazi, non può essere sufficiente e nemmeno efficace per affrontare la sfida che ci viene dai
due giganti. Occorre quindi che anche noi ci presentiamo come un gigante. Ed è questo l’obiettivo del
Rapporto di Enrico Letta che il Consiglio europeo
ha accolto con favore lo scorso 17 aprile.
Esso propone alcuni strumenti fondamentali per realizzare un vero mercato unico europeo, in modo da mettere in atto una politica all’altezza dei tempi.
Questo obiettivo può essere fortemente avvicinato creando
un vero mercato unico almeno in tre settori fondamentali, la competenza dei quali è ora frammentata nei singoli paesi. Una frammentazione che rallenta pesantemente investimenti, produttività, ricerca e progresso tecnologico. L’obiettivo del Rapporto è creare un mercato europeo nell’energia, nel complesso sistema delle telecomunicazioni e nel mercato dei capitali, in modo da realizzare una strategia costruttiva e non semplicemente difensiva.
Non vi è bisogno di sottolineare le asimmetrie esistenti
nel settore dell’energia, dove la differenza di costo con gli Stati Uniti è tale da spingere le imprese leader della chimica tedesca a trasferirsi negli Usa. Minore attenzione è invece dedicata alle
telecomunicazioni, dove i gestori europei sono frammentati, inefficienti e privi delle risorse necessarie per progredire in un campo che
presidia la nuova economia. Basti pensare che in Cina vi sono 467 milioni di utenti per ogni operatore, mentre ne contiamo 105 milioni negli Stati Uniti e solo 5 milioni in Europa.
Di importanza forse ancora maggiore è il mercato dei capitali (chiamato più correttamente Unione dei Risparmi e degli Investimenti). Ogni anno emigrano dall’Europa, principalmente verso gli Stati Uniti, 330 miliardi di nostri risparmi, che vengono poi in gran parte utilizzati dai fondi americani per comprare le nostre imprese e fare emigrare le nostre start-up.
E’ inoltre evidente che, solo con il rafforzamento di questi tre grandi pilastri dell’economia europea, si potranno rendere più efficienti tutti i settori produttivi, cominciando dalla difesa per finire con la digitalizzazione. E si potranno
mobilitare le risorse pubbliche e private, condizione essenziale per avere un ruolo tra i protagonisti della nuova economia.
Non possiamo infatti pensare di mettere in atto una
transizione globale, che costerà moltissimo, senza creare le strutture organizzative in grado di preparare le opportune risorse umane e finanziarie.
E non si tratta, naturalmente, di una rivoluzione di poco conto perché è ovviamente necessario imporre, in tutti e tre questi settori,
un’autorità europea di proposta, di ordinamento e di sorveglianza.
E’ quindi chiaro che, per raggiungere questi obiettivi, si dovranno spostare risorse umane e materiali dai singoli paesi verso l’UE.
E fa invece un certo effetto constatare che, in vista delle prossime elezioni europee, non ci si ponga (almeno nel nostro paese) il problema di inviare a Bruxelles le persone più idonee per
affrontare questi compiti e che si preferiscano candidati che intendono marciare verso orizzonti utopici e indefiniti, o verso la direzione opposta e antistorica di frammentare quello che invece deve essere unito.