Guerre a pezzi: il dialogo Usa-Cina per evitare l’escalation
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 06 aprile 2024
Quando il 7 ottobre Hamas ha messo in atto la sua crudele ed efferata strage, la solidarietà nei confronti di Israele è stata immediata e largamente condivisa. A sei mesi di distanza questo prezioso patrimonio di simpatia e solidarietà è stato sperperato da una reazione ritenuta, in una prima fase, comprensibile e poi, progressivamente, giudicata sproporzionata.
Come conseguenza, Israele è spinto a combattere su una crescente molteplicità di fronti e, nello stesso tempo, a sentirsi sempre più isolato.
L’allontanamento dell’opinione pubblica mondiale nei confronti della strategia di Netanyahu ha raggiunto nei giorni scorsi il suo culmine per la triplice azione militare che ha riguardato il bombardamento dell’ambasciata iraniana a Damasco, la sanguinosa distruzione del più grande ospedale di Gaza e, se non bastasse, l’uccisione dei sette volontari che cercavano di portare cibo agli affamati abitanti della città ormai in macerie.
Una escalation di tale rilevanza e di tale insensata ambizione politica da essere accompagnata da diffuse e crescenti manifestazioni di dissenso all’interno dello stesso Israele.
Non vi è tuttavia dubbio che cercherà di danneggiare l’Occidente utilizzando tutte le possibili guerre per procura, come sta facendo con le incursioni degli Huthi nel Mar Rosso e prenderà di mira, con i suoi poco costosi ma micidiali droni le centinaia di basi americane e gli interessi occidentali, non solo in Medio Oriente, ma in aree sempre più vaste. Con mezzi limitati riuscirà a provocare grandi danni a molti: una strategia destinata ad allontanare sempre più Israele dai suoi stessi alleati, dato che nessuno vuole trasformare l’attuale guerra mondiale a pezzi in una guerra mondiale globale.
Un caso ancora più emblematico è quello della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha recentemente proposto l’immediata cessazione delle ostilità a Gaza.
Questa proposta è passata con voto favorevole proprio perché gli Stati Uniti, invece di schierarsi con Israele come sempre avevano fatto, non hanno votato contro, ma si sono astenuti. Tuttavia, subito dopo, il governo americano si è precipitato a chiarire che il testo approvato non aveva valore vincolante.
Sono rimasti però scontenti anche gli altri membri del Consiglio di Sicurezza e quasi tutti i paesi del Sud del mondo. I primi nel vedere vanificata la risoluzione da loro presa e gli altri in quanto si è adottata una politica incoerente.
Si è infatti praticamente deciso che le risoluzioni dell’ONU sono operative quando si tratta di colpire l’Iran e la Russia, ma non lo sono quando si tratta di operare contro Israele.
In particolare Israele, se vuole proteggere insieme se stesso e l’ebraismo nel mondo, ha tutto l’interesse ad adottare una politica diversa da quella che ha contribuito ad aumentare una pericolosa ondata di ingiustificabile antisemitismo.
L’unico elemento positivo di questa congiuntura internazionale che sta continuamente peggiorando, consiste nel fatto che, dopo l’incontro del novembre scorso a San Francisco, Biden e Xi Jinping si tengono regolarmente in contatto telefonico e i loro collaboratori civili e militari continuano a dialogare con una certa regolarità.
Ben difficilmente tutto questo porterà a una rapida fine dei conflitti, ma renderà di certo meno probabile che i diversi pezzi delle guerre in corso si congiungano fra di loro, portando la tragedia a livello mondiale.
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