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I Romani e il Divino Amore


Ci sarà pure una ragione per cui i romani veri e residenti a Roma, non sono molto simpatici al resto degli altri connazionali nelle altre regioni.

Sarà che dipende dalle tonnellate di vernacolo romanesco delle serie televisive .

O dalla immagine entrata nella storia del costume che ci ha dato quel capolavoro del " Marchese del Grillo" che coincide perfettamente con il " Ma che ce importa, ma che ce frega" che fanno dell'uomo romano un essere privo di scrupoli morali , veloce nel disincagliarsi usando ogni mezzo illegittimo dalle difficolta' quotidiane fino a conquistare a pieno titolo ' Il Roma ladrona".

E dire che quanto a moralita' la media nazionale non e' che sia tra le migliori.
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Ma c'è un aspetto che viene ignorato dai critici delle altre regioni ed è il fatto che ogni Romano è fondamentalmente legato al Divino Amore.

Per capire di cosa stiamo scrivendo invitiamo il nostro lettore a spendere un paio di minuti con quanto descritto dalle Missionarie della Divina Rivelazione.



a cura delle Missionarie della Divina Rivelazione
La Madonna del Divino Amore “fa le grazie a tutte l’ore”

In località Castel di Leva, tra la via Ardeatina e la via Appia Antica, sorge un luogo tanto caro alla devozione dei romani, il Santuario della Madonna del Divino Amore. Ogni sabato, a partire dal primo sabato dopo Pasqua, si svolge il pellegrinaggio notturno lungo 14 Km; la processione di fedeli parte da porta Capena e si snoda attraverso la via Appia Antica fino al Quo Vadis, poi imbocca la via Ardeatina per arrivare al Santuario. Mano a mano che si esce dalla città, le strade si fanno più oscure e tortuose, ma tra lo scorrere delle “Ave Maria” del santo Rosario, si ode il ritornello gioioso, strillato a squarciagola dai pellegrini: “Ave e sempre Ave, la Madonna del Divino Amore, fa le grazie a tutte l’ore e noi l’andiamo a visitar”.

La storia del Santuario è legata a un’antica immagine mariana, che mostra la Vergine in trono con il Bambino Gesù; la Madre e il Figlio si guardano teneramente, tra due angeli in alto adoranti con il turibolo, mentre in alto la colomba dello Spirito Santo stende le sue ali per avvolgerli con la sua Grazia. Il dipinto, che si trovava su un’alta torre di cinta del Castello dei Leoni (nel tempo detto Castel di Leva), fu realizzato dalla scuola romana di Pietro Cavallini tra il XIII e il XIV secolo d.C.. La zona, che era di proprietà dell’abbazia di San Paolo, nel 1295 passò alla famiglia dei Savelli, che fece costruire il castello.

Per molti secoli la “Madonna del Divino Amore” stette in silenzio, nella brulla e desolata campagna romana. Ogni sera, ai piedi della torre, i pastori si riunivano per recitare il Santo Rosario.

Il primo miracolo avvenne in un pomeriggio di primavera del 1740. Un pellegrino si era smarrito nella desolata campagna romana, appena vide la torre, con passo veloce cercò di entrare nel centro abitato, ma all’improvviso, mentre già si trovava all’ombra della torre, la sua corsa fu arrestata da una turba di cani inferociti, che lo circondarono, pronti a sbranarlo. Il pellegrino, angosciato, alzò lo sguardo al cielo e i suoi occhi incontrarono gli occhi della Vergine, posta sulla torre, ed egli, come un misero condannato a morte, gridò la sua supplica accorata: “Madonna mia, grazia!”. Le bestie inferocite, pronte a straziare la loro preda, quasi obbedendo a un comando misterioso, di colpo si arrestarono, risparmiando la vita al povero pellegrino. Finalmente accorsero i pastori e attoniti videro il prodigio accaduto, il pellegrino gioioso riprese la strada per Roma. Non si sa il nome del miracolato, ma il fatto prodigioso ben presto si diffuse in tutta Roma e iniziarono fin da subito i pellegrinaggi di numerose folle, che accorrevano notte e giorno a Castel di Leva, per gridare anche loro la propria accorata supplica alla Madonna del Divino Amore: “Madonna mia, grazia!”.

Nel 1742, accertata la veridicità dell’indole miracolosa dell’effige, fonte di miracoli e grazie, si decise di staccare l’affresco dalla torre per riporlo in una chiesa. Ben presto, nel 1745 fu costruito un santuario ad opera dell’architetto campano, Filippo Raguzzini.

La chiesa e l’altare maggiore furono solennemente dedicati al Divino Amore, il 31 maggio del 1750, durante il Giubileo. Intervenne per la solenne celebrazione, il Vescovo di Padova, il Cardinale Carlo Rezzonico, che nel 1758 salirà al soglio pontificio, con il nome di Clemente XIII.

Per il santuario si alternarono anni di vitalità e di decadenza. Fu don Umberto Terenzi, prete romano, figlio spirituale di Don Orione che, dal 1930 fino al 1974, si prodigò per fare di quel luogo mariano il cuore della vita spirituale e sociale degli abitanti dell’agro romano, segnato dalla miseria e dalla malaria. Ben presto, grazie alla sua fede furono realizzate tante opere: un asilo, la stazione ferroviaria sulla linea Roma-Napoli, un ufficio postale, una stazione dei carabinieri, un presidio sanitario. Nel 1937, per l’accoglienza e la cura delle bambine orfane, prese vita la famiglia religiosa delle Figlie della Madonna del Divino Amore; anni dopo vide la luce anche la famiglia maschile degli Oblati figli della Madonna del Divino Amore. Oggi, sia i sacerdoti che le religiose del Divino amore sono presenti a Roma e in tante parti del mondo.

Nella primavera del 1944, i romani supplicarono la Vergine del Divino Amore perché la città fosse risparmiata dalla devastazione della guerra, in cambio promettevano di vivere secondo gli insegnamenti della Chiesa e di realizzare un nuovo santuario a Castel di Leva. Nel 1999 fu il Papa San Giovanni Paolo II a consegnare alla Madonna del Divino Amore la nuova Chiesa del Divino Amore.

Don Umberto Terenzi è stato dichiarato Servo di Dio dal Cardinale Ruini nel 1992 e nel 2004 si è aperta la causa di beatificazione. Egli ci lascia un insegnamento davvero semplice ed efficace per chi desidera mettersi al servizio dello Spirito Santo, ossia il Divino Amore, l’unica cosa da fare è «conoscere e far conoscere, amare e far amare la Madonna, costi quello che costi».
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Nel Santuario del Divino Amore è conservato un ex voto particolare: la "cuffia prodigiosa che per grazia della Madonna salvò da terribile morte i naufraghi caduti sui ghiacci del polo dalla disgraziata spedizione Nobile". Il radiotelegrafista Giuseppe Biagi, dopo 48 giorni di isolamento e sofferenze, riuscì a captare un segnale radio insperato, a seguito dello schianto del dirigibile Italia sul Polo Nord avvenuto il 25 Maggio 1928. Il "disperato voto del radiotelegrafista Biagi di donare la cuffia alla Madonna del Divino Amore, se fossero stati liberati dalla tremenda morte sui ghiacci" venne esaudito.

L'Italia fu un dirigibile militare italiano, del tipo semirigido, costruito allo Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Roma con la denominazione N-4 e completato nell'ottobre del 1927 su progetto dell'ingegnere e Generale del Genio della Regia Aeronautica Umberto Nobile.

Con convenzione del 6 dicembre 1927, il Ministero dell'Aeronautica mise a disposizione della Reale Società Geografica Italiana l'aeronave, nell'ambito di una spedizione scientifica al Polo Nord ideata, promossa e comandata dallo stesso Nobile. Il dirigibile fu quindi battezzato con il nome Italia, riprendendo il nome dell'Aeronave Italia, il primo dirigibile italiano progettato da Almerico da Schio. Il dirigibile lasciò l'hangar di Ciampino il 19 marzo 1928 per partire poi il 15 aprile dall'hangar di Baggio. Il successivo 25 maggio, dopo aver raggiunto il Polo, l'Italia precipitò sul pack, perdendo sui ghiacci polari parte della navicella di comando con 10 uomini dell'equipaggio, mentre altri 6 rimasero intrappolati all'interno dell'involucro che andò disperso con il suo carico umano. Dei sei uomini e del dirigibile non si seppe più nulla. La tragedia dell'Italia pose fine all'impiego operativo dei dirigibili militari italiani.
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Dopo la visita al santuario e le preghiere per ottenere una grazia, il romano tipo e famiglia si mettono intorno a un tavolo in una delle tante trattorie sorte come funghi intorno alla chiesa.

A conferma che a Roma, sia che si tratti di politica, affari oppure impegno religioso tutto si risolve con  una amatriciana.
Oscar
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Favolosa la chiusura “all’amatriciana”!
Franco Bernazzani
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o.sillitti@yahoo.it

Fri, Apr 5, 10:46 PM (8 hours ago)
to me
Molto bello, caro Oscar.
Una volta, quando ancora si partiva, a mezzanotte,  dall'obelisco di Axum, nei pressi della FAO, a porta Capena, l'ho fatto anch'io il pellegrinaggio notturno.  Molto suggestivo. 
Mi sa che, appena posso, lo rifarò. 
Un abbraccio e grazie mille 

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