News and comments from the Capital of the United States (and other places in the World) in English and Italian. Video, pictures, Music (pop and classic). Premio internazionale "Amerigo".
Translate
Passeggero coperto di cacca
Momenti di panico a bordo di un piccolo jet regionale in volo tra Houston e Omaha. Un passeggero e' uscito dalla toilette coperto di feci suscitando la reazione disgustata delle altre persone. E' intervenuto l'unico assistente di volo, un giovane che ha rimediato un pugno in un occhio, cercando di calmare e di mettere a sedere il passeggero in evidente stato di esaltazione mentale. Alla fine , con l'aiuto di altri volenterosi l'energumeno e' stato bloccato e assicurato ad un sedile. La FAA, l'ente governativo per i voli civili, ha una lista con i nomi dei passeggeri che sono stati arrestati per avere dato in escandescenze a bordo di aerei. Ma il nome dell'uomo coperto di cacca non figura nell'elenco. Si sta accertando se fosse sottoposto a qualche cura per malattia mentale.
Super Euro e Sterlina
CRESCE LA FIDUCIA NEL SUPEREURO MA LA CITY SNOBBA LA MONETA UNICA...Cinzia Sasso per "la Repubblica" - Tra cinque anni l´euro sarà la valuta più importante del mondo. Lo dice un sondaggio realizzato dal Financial Times insieme al centro studi Harris e però la notizia non ha trovato spazio sui quotidiani inglesi. Lo stesso Ft - che pure a Londra ha messo in prima pagina altri contenuti del rapporto - l´ha pubblicata solo nella sua edizione tedesca, quasi che parlare di questo argomento, nella Gran Bretagna di oggi, gravemente toccata dalla crisi finanziaria ed economica, ma ancora molto orgogliosa dell´unicità della sua sterlina nonostante ormai il suo valore sia ormai quasi affiancato a quello dello snobbato euro, sia come parlare della corda in casa di un impiccato.
Il sondaggio, che ha coinvolto numerosi paesi europei, indica che il 70 per cento degli spagnoli, due terzi dei francesi, il 58 per cento dei tedeschi e il 62 degli italiani sono fortemente o in parte convinti che l´euro possa sostituire il dollaro sulla scena mondiale entro il 2014. Un´opinione, sottolinea lo studio, condivisa anche dal 48 per cento degli americani.
Tra pochi giorni, il primo di gennaio, l´euro festeggerà il suo decimo compleanno, è attualmente la seconda valuta mondiale dopo il dollaro e rappresenta ormai il 27 per cento delle riserve valutarie a livello globale.
Il sondaggio, che ha coinvolto numerosi paesi europei, indica che il 70 per cento degli spagnoli, due terzi dei francesi, il 58 per cento dei tedeschi e il 62 degli italiani sono fortemente o in parte convinti che l´euro possa sostituire il dollaro sulla scena mondiale entro il 2014. Un´opinione, sottolinea lo studio, condivisa anche dal 48 per cento degli americani.
Tra pochi giorni, il primo di gennaio, l´euro festeggerà il suo decimo compleanno, è attualmente la seconda valuta mondiale dopo il dollaro e rappresenta ormai il 27 per cento delle riserve valutarie a livello globale.
Crisi mondiale e cocaina
5 - GARATTINI: USO COCAINA IN FINANZA PUO' AVER INFLUITO SULLA CRISI...(Adnkronos) - L'uso di cocaina da parte di operatori del mondo della finanza puo' aver avuto un ruolo nel dispiegarsi della crisi che ha colpito i mercati. A spiegarlo all'ADNKRONOS e' il direttore dell'Istituto di scienze farmacologiche Mario Negri di Milano, Silvio Garattini. Uno dei principali effetti dello stupefacente, ricorda, e' l'alterazione della percezione del rischio, la cui valutazione e' una componente essenziale del lavoro dei professionisti grazie ai quali funzionano i mercati dei capitali. E' possibile che, in casi singoli, le decisioni siano state alterate dagli effetti dello stupefacente, che incide sulla capacita' di valutare correttamente il rapporto tra costi e benefici.
Di certo la crisi finanziaria ha altre cause primarie, di natura strutturale, ma, afferma Garattini, "e' certamente possibile che in qualche caso siano state sottovalutate le difficolta', perche' la cocaina da' un senso di onnipotenza. Fornisce la sensazione di poter decidere e di poter fare qualsiasi cosa, indipendentemente da cio' che poi in effetti si puo' fare". La cocaina, continua il farmacologo, "da' una sensazione della realta' distorta, quindi puo' darsi che in qualche caso, se un operatore l'ha assunta in vicinanza di operazioni che doveva fare, sia stato influenzato".
Di certo la crisi finanziaria ha altre cause primarie, di natura strutturale, ma, afferma Garattini, "e' certamente possibile che in qualche caso siano state sottovalutate le difficolta', perche' la cocaina da' un senso di onnipotenza. Fornisce la sensazione di poter decidere e di poter fare qualsiasi cosa, indipendentemente da cio' che poi in effetti si puo' fare". La cocaina, continua il farmacologo, "da' una sensazione della realta' distorta, quindi puo' darsi che in qualche caso, se un operatore l'ha assunta in vicinanza di operazioni che doveva fare, sia stato influenzato".
Una trincea per Obama
(Bernardo Valli su Repubblica)
Spetta al nuovo presidente imporre un vero dialogo tra palestinesi e israeliani
BERNARDO VALLI
È proprio in questi giorni, anzi in queste ore, che i negoziati israelo-palestinesi più auspicati che annunciati dalla conferenza di Annapolis, organizzata da George W. Bush nel novembre 2007, avrebbero dovuto dare i primi frutti. È con un misto di sarcasmo e di collera che uno ricorda l'ultimo degli innumerevoli tentativi falliti di gettare le basi per una pace in Medio Oriente. Il fallimento di quei negoziati (in realtà mai cominciati) è adesso celebrato nel sangue. L'iniziativa lanciata con solennità dal presidente degli Stati Uniti nascondeva un bluff di cui tutti erano consapevoli, ben sapendo in cuor loro i presenti alla cerimonia di Annapolis (americani, arabi, palestinesi compresi, e israeliani) che non era consentita alcuna speranza. I due campi a confronto erano, e sono, frantumati al loro interno: vale a dire divisi in fazioni o partiti in aperta concorrenza e quindi incapaci di affrontare compatti un negoziato. È da questo dato che bisogna partire per capire come si è giunti al massacro cominciato sabato e ancora in corso. Il conflitto israelo-palestinese, uno dei più dolorosi della nostra epoca, è anche il più complesso. Va ben oltre il braccio di ferro tra due popoli che si contendono la stessa terra. Lo complicano le religioni, le culture, le opposte interpretazioni di fatti storici. "Due versioni divergenti della stessa storia" dice Elie Bernavi. Per tutto questo la terra tre volte santa suscita passioni roventi nei più remoti angoli del Pianeta. Ma adesso, dopo decenni di estenuanti tentativi, e di finte illusioni, è morta l'idea secondo la quale negoziati bilaterali tra israeliani e palestinesi potrebbero sfociare da soli in un accordo finale. È morta, o ibernata, perché le situazioni politiche in Israele e in Palestina non conoscono né l'una né l'altra la coerenza e la coesione indispensabili. L'obiettivo ideale di due Stati sopravvive, non può sparire, ma la sua realizzazione è affidata a eventi che è impossibile immaginare. O a forze depositarie di saggezza e di mezzi che non si sono ancora manifestate. Gli Stati Uniti hanno finora deluso. George W. Bush non è stato il solo a sottrarsi al compito. La soluzione dei due Stati resta, come un miraggio.
In campo palestinese il movimento nazionale vive le lacerazioni interne più profonde da quando Yasser Arafat ne prese le redini più di quarant'anni fa. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), una volta rappresentante unico e legittimo del suo popolo, dispone di scarso prestigio. Con la nascita e l'affermazione della corrente islamica incarnata da Hamas (vincitrice delle ultime elezioni) l'autorità dell'Olp è largamente contestata. Il suo principale movimento, il laico Al Fatah, un tempo ritenuto la principale forza riformatrice (ma anche la più corrotta e per questo sconfitta alle ultime elezioni), è in preda a lotte intestine, inasprite dalla secessione di Gaza, sotto il controllo di Hamas dal giugno 2007. La tenzone tra Hamas e Al Fatah è aperta e spietata, nonostante i tentativi di mediazione, in particolare attraverso personaggi egiziani. La decisione di Hamas di rompere la tregua e di intensificare i tiri di missili artigianali sui vicini territori israeliani tendeva con tutta probabilità a convincere il governo di Gerusalemme ad attenuare il rigore del blocco decretato nel gennaio scorso. Comunque a smuovere una situazione divenuta insostenibile per il milione e mezzo di uomini e donne ingabbiati a Gaza. Se questo era il calcolo si è rivelato sbagliato. Un altro obiettivo ben visibile era ed è di creare all'interno del campo palestinese una forte opposizione ad Abu Mazen, leader di Al Fatah e presidente dell'Autorità Palestinese installata a Ramallah, in Cisgiordania, il cui mandato scade nei prossimi giorni di gennaio. La repressione su Gaza accende gli animi della popolazione di Cisgiordania, occupata dall'esercito israeliano e amministrata dall'Autorità palestinese. E fa apparire Abu Mazen, in buoni rapporti col governo di Gerusalemme, un collaborazionista. Giusta o ingiusta, l'accusa rischia di funzionare. Ecco la prova, dicono i suoi avversari: se l'esercito israeliano dovesse nelle prossime ore o giorni mettere fine con la forza alla secessione di Gaza, l'Autorità Palestinese di Abu Mazen si accoderebbe e ritornerebbe al seguito degli occupanti. L'instabilità cronica del sistema politico israeliano costituisce l'altro versante della paralisi quasi strutturale. I governi di Gerusalemme arrivano di rado alla fine dei loro mandati e quindi dei loro progetti riguardanti i rapporti con i palestinesi. Il caso estremo è l'assassinio nel novembre 1995 del primo ministro Yitzhak Rabin, promotore degli accordi di Oslo, che riconobbero per la prima volta un'autonomia palestinese. Il caso più recente sono le dimissioni di Ehud Olmert, in seguito ad accuse di corruzione, il quale resta primo ministro in esercizio fino alle elezioni anticipate del 10 febbraio. La nascita di coalizioni in cui i piccoli partiti possono dettar legge, rende i governi terribilmente fragili. Inoltre l'enorme squilibrio militare, che separa Israele dai suoi avversari, è un'arma a doppio taglio. Dà fiducia ma non spinge al compromesso, che, come dice Amos Oz, è un elemento essenziale dell'esistenza umana. I militari sono i garanti della sicurezza e la sicurezza chiede il rispetto del vecchio principio del "muro di ferro", da opporre ai nemici per disilluderli dall'idea di poter piegare Israele. L'influenza dei coloni installati nei territori occupati costituisce un ulteriore ostacolo. Donna stimata ed equilibrata, Tzipi Livni, attuale ministro degli Esteri, è candidata primo ministro del suo partito (Kadima) alle elezioni di febbraio. Se lei e il ministro della difesa Ehud Barak avessero dato, o dessero, prova di debolezza rischierebbero di perdere la gara con Benjamin Netanyahu, che corre per il Likud, il partito dei falchi. Ma il calendario ricorda un altro appuntamento di grande importanza: l'ingresso alla Casa Bianca, il 20 gennaio, del nuovo presidente. Non si poteva riservare a Barack Obama, come cerimonia inaugurale del suo mandato, il bagno di sangue di Gaza. La repressione israeliana è stata comunque approvata in anticipo dallo stesso Obama. Durante la visita in Israele, nel luglio scorso, egli disse infatti: "Se qualcuno lancia dei missili sulla mia casa dove la notte dormono le mie due figlie, io faccio qualsiasi cosa per fermarlo". Tra le priorità di Obama (oltre la crisi economica, l'Iraq e l'Afghanistan) c'è adesso anche il conflitto israelo-palestinese, che sembrava relegato nell'ombra. E spetta proprio al presidente degli Stati Uniti, di cui Israele è il principale alleato in Medio Oriente, ed anche qualcosa di più, riproporre, anzi imporre, l'idea di un vero dialogo tra palestinesi e israeliani. Idea per ora morta o ibernata. La difficoltà per Obama, come per i suoi predecessori, anche democratici, consisterà nel sapere e potere essere un arbitro deciso e imparziale.
Spetta al nuovo presidente imporre un vero dialogo tra palestinesi e israeliani
BERNARDO VALLI
È proprio in questi giorni, anzi in queste ore, che i negoziati israelo-palestinesi più auspicati che annunciati dalla conferenza di Annapolis, organizzata da George W. Bush nel novembre 2007, avrebbero dovuto dare i primi frutti. È con un misto di sarcasmo e di collera che uno ricorda l'ultimo degli innumerevoli tentativi falliti di gettare le basi per una pace in Medio Oriente. Il fallimento di quei negoziati (in realtà mai cominciati) è adesso celebrato nel sangue. L'iniziativa lanciata con solennità dal presidente degli Stati Uniti nascondeva un bluff di cui tutti erano consapevoli, ben sapendo in cuor loro i presenti alla cerimonia di Annapolis (americani, arabi, palestinesi compresi, e israeliani) che non era consentita alcuna speranza. I due campi a confronto erano, e sono, frantumati al loro interno: vale a dire divisi in fazioni o partiti in aperta concorrenza e quindi incapaci di affrontare compatti un negoziato. È da questo dato che bisogna partire per capire come si è giunti al massacro cominciato sabato e ancora in corso. Il conflitto israelo-palestinese, uno dei più dolorosi della nostra epoca, è anche il più complesso. Va ben oltre il braccio di ferro tra due popoli che si contendono la stessa terra. Lo complicano le religioni, le culture, le opposte interpretazioni di fatti storici. "Due versioni divergenti della stessa storia" dice Elie Bernavi. Per tutto questo la terra tre volte santa suscita passioni roventi nei più remoti angoli del Pianeta. Ma adesso, dopo decenni di estenuanti tentativi, e di finte illusioni, è morta l'idea secondo la quale negoziati bilaterali tra israeliani e palestinesi potrebbero sfociare da soli in un accordo finale. È morta, o ibernata, perché le situazioni politiche in Israele e in Palestina non conoscono né l'una né l'altra la coerenza e la coesione indispensabili. L'obiettivo ideale di due Stati sopravvive, non può sparire, ma la sua realizzazione è affidata a eventi che è impossibile immaginare. O a forze depositarie di saggezza e di mezzi che non si sono ancora manifestate. Gli Stati Uniti hanno finora deluso. George W. Bush non è stato il solo a sottrarsi al compito. La soluzione dei due Stati resta, come un miraggio.
In campo palestinese il movimento nazionale vive le lacerazioni interne più profonde da quando Yasser Arafat ne prese le redini più di quarant'anni fa. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), una volta rappresentante unico e legittimo del suo popolo, dispone di scarso prestigio. Con la nascita e l'affermazione della corrente islamica incarnata da Hamas (vincitrice delle ultime elezioni) l'autorità dell'Olp è largamente contestata. Il suo principale movimento, il laico Al Fatah, un tempo ritenuto la principale forza riformatrice (ma anche la più corrotta e per questo sconfitta alle ultime elezioni), è in preda a lotte intestine, inasprite dalla secessione di Gaza, sotto il controllo di Hamas dal giugno 2007. La tenzone tra Hamas e Al Fatah è aperta e spietata, nonostante i tentativi di mediazione, in particolare attraverso personaggi egiziani. La decisione di Hamas di rompere la tregua e di intensificare i tiri di missili artigianali sui vicini territori israeliani tendeva con tutta probabilità a convincere il governo di Gerusalemme ad attenuare il rigore del blocco decretato nel gennaio scorso. Comunque a smuovere una situazione divenuta insostenibile per il milione e mezzo di uomini e donne ingabbiati a Gaza. Se questo era il calcolo si è rivelato sbagliato. Un altro obiettivo ben visibile era ed è di creare all'interno del campo palestinese una forte opposizione ad Abu Mazen, leader di Al Fatah e presidente dell'Autorità Palestinese installata a Ramallah, in Cisgiordania, il cui mandato scade nei prossimi giorni di gennaio. La repressione su Gaza accende gli animi della popolazione di Cisgiordania, occupata dall'esercito israeliano e amministrata dall'Autorità palestinese. E fa apparire Abu Mazen, in buoni rapporti col governo di Gerusalemme, un collaborazionista. Giusta o ingiusta, l'accusa rischia di funzionare. Ecco la prova, dicono i suoi avversari: se l'esercito israeliano dovesse nelle prossime ore o giorni mettere fine con la forza alla secessione di Gaza, l'Autorità Palestinese di Abu Mazen si accoderebbe e ritornerebbe al seguito degli occupanti. L'instabilità cronica del sistema politico israeliano costituisce l'altro versante della paralisi quasi strutturale. I governi di Gerusalemme arrivano di rado alla fine dei loro mandati e quindi dei loro progetti riguardanti i rapporti con i palestinesi. Il caso estremo è l'assassinio nel novembre 1995 del primo ministro Yitzhak Rabin, promotore degli accordi di Oslo, che riconobbero per la prima volta un'autonomia palestinese. Il caso più recente sono le dimissioni di Ehud Olmert, in seguito ad accuse di corruzione, il quale resta primo ministro in esercizio fino alle elezioni anticipate del 10 febbraio. La nascita di coalizioni in cui i piccoli partiti possono dettar legge, rende i governi terribilmente fragili. Inoltre l'enorme squilibrio militare, che separa Israele dai suoi avversari, è un'arma a doppio taglio. Dà fiducia ma non spinge al compromesso, che, come dice Amos Oz, è un elemento essenziale dell'esistenza umana. I militari sono i garanti della sicurezza e la sicurezza chiede il rispetto del vecchio principio del "muro di ferro", da opporre ai nemici per disilluderli dall'idea di poter piegare Israele. L'influenza dei coloni installati nei territori occupati costituisce un ulteriore ostacolo. Donna stimata ed equilibrata, Tzipi Livni, attuale ministro degli Esteri, è candidata primo ministro del suo partito (Kadima) alle elezioni di febbraio. Se lei e il ministro della difesa Ehud Barak avessero dato, o dessero, prova di debolezza rischierebbero di perdere la gara con Benjamin Netanyahu, che corre per il Likud, il partito dei falchi. Ma il calendario ricorda un altro appuntamento di grande importanza: l'ingresso alla Casa Bianca, il 20 gennaio, del nuovo presidente. Non si poteva riservare a Barack Obama, come cerimonia inaugurale del suo mandato, il bagno di sangue di Gaza. La repressione israeliana è stata comunque approvata in anticipo dallo stesso Obama. Durante la visita in Israele, nel luglio scorso, egli disse infatti: "Se qualcuno lancia dei missili sulla mia casa dove la notte dormono le mie due figlie, io faccio qualsiasi cosa per fermarlo". Tra le priorità di Obama (oltre la crisi economica, l'Iraq e l'Afghanistan) c'è adesso anche il conflitto israelo-palestinese, che sembrava relegato nell'ombra. E spetta proprio al presidente degli Stati Uniti, di cui Israele è il principale alleato in Medio Oriente, ed anche qualcosa di più, riproporre, anzi imporre, l'idea di un vero dialogo tra palestinesi e israeliani. Idea per ora morta o ibernata. La difficoltà per Obama, come per i suoi predecessori, anche democratici, consisterà nel sapere e potere essere un arbitro deciso e imparziale.
Giancarlo Elia Valori su Gaza
Medio Oriente: Elia Valori condanna Hamas e chiede misure umanitarie per i civili palestinesi
In un messaggio all'ambasciatore di Israele in Italia, Gideon Meir, il presidente dell'Associazione "Israele 60", Giancarlo Elia Valori, ha espresso la solidarietà al popolo ebraico e confermato la ferma condanna alle azioni terroristiche di Hamas, sottolineando che gli effetti di questi efferati atti "danneggiano gli interessi e le legittime aspirazioni del popolo palestinese, scavando un fossato fra due società civili destinate a vivere fianco a fianco".
Dopo aver sostenuto con forza il diritto all'autodifesa da parte di Israele dalle prepotenti aggressioni terroristiche, il professor Valori ha chiesto all'ambasciatore Meir di farsi interprete presso il suo Governo "affinché durante le operazioni militari si evitino perdite di vite umane tra l'incolpevole popolazione palestinese, che nulla a che a fare con gli attentatori di Hamas, e faccia inoltre il possibile sia per alleviare le sofferenze e migliorare rapidamente le condizioni sanitarie e abitative di quella popolazione, sia per facilitare l'accesso ai soccorsi umanitari internazionali".
Con lo stesso animo, il professor Valori, ha concluso con l'auspicio che "le manifestazioni promosse dall'Associazione 'Israele 60' possano essere apportatrici di un valido sostegno diretto non solo a piegare quella sottocultura che inneggia all'odio e alla violenza contro l'amico popolo ebraico, ma anche all'affermazione dei valori di libertà, rispetto e tolleranza, che sono conquiste da difendere nell'esclusivo interesse d'una civiltà a misura d'uomo, idonea a concepire e rendere la cultura della pace il vero tesoro dei popoli evoluti, liberi e democratici".
ISRAELE 60
Associazione Culturale – 00198 Roma – Via Clitunno, 5
In un messaggio all'ambasciatore di Israele in Italia, Gideon Meir, il presidente dell'Associazione "Israele 60", Giancarlo Elia Valori, ha espresso la solidarietà al popolo ebraico e confermato la ferma condanna alle azioni terroristiche di Hamas, sottolineando che gli effetti di questi efferati atti "danneggiano gli interessi e le legittime aspirazioni del popolo palestinese, scavando un fossato fra due società civili destinate a vivere fianco a fianco".
Dopo aver sostenuto con forza il diritto all'autodifesa da parte di Israele dalle prepotenti aggressioni terroristiche, il professor Valori ha chiesto all'ambasciatore Meir di farsi interprete presso il suo Governo "affinché durante le operazioni militari si evitino perdite di vite umane tra l'incolpevole popolazione palestinese, che nulla a che a fare con gli attentatori di Hamas, e faccia inoltre il possibile sia per alleviare le sofferenze e migliorare rapidamente le condizioni sanitarie e abitative di quella popolazione, sia per facilitare l'accesso ai soccorsi umanitari internazionali".
Con lo stesso animo, il professor Valori, ha concluso con l'auspicio che "le manifestazioni promosse dall'Associazione 'Israele 60' possano essere apportatrici di un valido sostegno diretto non solo a piegare quella sottocultura che inneggia all'odio e alla violenza contro l'amico popolo ebraico, ma anche all'affermazione dei valori di libertà, rispetto e tolleranza, che sono conquiste da difendere nell'esclusivo interesse d'una civiltà a misura d'uomo, idonea a concepire e rendere la cultura della pace il vero tesoro dei popoli evoluti, liberi e democratici".
ISRAELE 60
Associazione Culturale – 00198 Roma – Via Clitunno, 5
Quando il pilota dorme...
Solo a quasi un anno di distanza si e' venuti a sapere per quale ragione il volo 1002 della Go! Airline diretto all'aeroporto di Hilo nelle Hawaii il febbraio scorso ha superato di 30 miglia lo scalo senza rispondere per quasi venti minuti alle disperate chiamate dei controllori di volo convinti che si trattasse di un dirottamento o di un incidente aereo.
Niente di tutto questo: i due piloti, uno di 53 anni e l'altro di 23, stavano schiacciando un sonnellino complice, come hanno dichiarato , il caldo sole delle Hawaii che entrava in cabina, e probabilmente qualche liquore di troppo. L'aereo era affidato all'autopilota. Quando si sono svegliati dal letargo hanno realizzato che avevano superato di un bel po' l'aeroporto di destinazione.
Sono stati licenziati dalla compagnia e la FAA gli ha ritirato la licenza di volo.
I piloti dei volti transoceanici si annoiano da morire. E se la compagnia non e' attrezzata con la sostituzione in volo di altri colleghi ai comandi, cadono spesso nelle braccia di Morfeo.
Molti ricorderanno lo sciopero-protesta delle assistenti di volo dell'Alitalia che si rifiutavano di preparare il lettino per il comandante che doveva riposare su lunga tratta.
Niente di tutto questo: i due piloti, uno di 53 anni e l'altro di 23, stavano schiacciando un sonnellino complice, come hanno dichiarato , il caldo sole delle Hawaii che entrava in cabina, e probabilmente qualche liquore di troppo. L'aereo era affidato all'autopilota. Quando si sono svegliati dal letargo hanno realizzato che avevano superato di un bel po' l'aeroporto di destinazione.
Sono stati licenziati dalla compagnia e la FAA gli ha ritirato la licenza di volo.
I piloti dei volti transoceanici si annoiano da morire. E se la compagnia non e' attrezzata con la sostituzione in volo di altri colleghi ai comandi, cadono spesso nelle braccia di Morfeo.
Molti ricorderanno lo sciopero-protesta delle assistenti di volo dell'Alitalia che si rifiutavano di preparare il lettino per il comandante che doveva riposare su lunga tratta.
Happy New Year, Gaza!
La reazione israeliana ai missili lanciati da Hamas, con le centinaia di morti e di feriti a seguito delle incursioni aeree, ripropone in termini drammatici il problema della sopravvivenza di Israele in un contesto come quello medioorientale da sessanta anni attraversato da sussulti di guerra.
Nasce, secondo la stessa stampa di Gerusalemme, e aumenta, la paura tra i cittadini israeliani che si sia arrivati sull'orlo di un precipizio con conseguenze di deflagrazione inimmaginabili.
A cominciare dalla 'bomba' domestica costituita dagli arabi, cittadini di Israele, che sono ormai apertamente schierati con le posizioni di Hamas e degli oltranzisti palestinesi. Tra questi sara' facile trovare qualche fanatico pronto a farsi saltare in un mall o in un caffe'. Per non parlare dei costanti rifornimenti di armi e missili forniti dagli iraniani attraverso tunnels scavati con l'Egitto e della minaccia costituita dagli Hesbollah libanesi (anch'essi intimamente legati all'Iran) che hanno allevato migliaia di miliziani palestinesi. Ecco perche' i giorni che ci separano dalla inauguration di Barack Obama potrebbero vedere intensificare gli attacchi degli israeliani contro i palestinesi sino a raggiungere gli obiettivi degli impianti nucleari iraniani, piano al quale gli israeliani lavorano da anni. Potrebbe essere questo l'ultimo regalo dell'agonizzante amministrazione Bush alla lobby ebraica prima che intervenga la politica diplomatica del nuovo presidente.
Nasce, secondo la stessa stampa di Gerusalemme, e aumenta, la paura tra i cittadini israeliani che si sia arrivati sull'orlo di un precipizio con conseguenze di deflagrazione inimmaginabili.
A cominciare dalla 'bomba' domestica costituita dagli arabi, cittadini di Israele, che sono ormai apertamente schierati con le posizioni di Hamas e degli oltranzisti palestinesi. Tra questi sara' facile trovare qualche fanatico pronto a farsi saltare in un mall o in un caffe'. Per non parlare dei costanti rifornimenti di armi e missili forniti dagli iraniani attraverso tunnels scavati con l'Egitto e della minaccia costituita dagli Hesbollah libanesi (anch'essi intimamente legati all'Iran) che hanno allevato migliaia di miliziani palestinesi. Ecco perche' i giorni che ci separano dalla inauguration di Barack Obama potrebbero vedere intensificare gli attacchi degli israeliani contro i palestinesi sino a raggiungere gli obiettivi degli impianti nucleari iraniani, piano al quale gli israeliani lavorano da anni. Potrebbe essere questo l'ultimo regalo dell'agonizzante amministrazione Bush alla lobby ebraica prima che intervenga la politica diplomatica del nuovo presidente.
Film d'azione pericolosi!
Questo signore (si fa per dire, con buona pace del Lombroso) si chiama James Joseph Cialella. L'altro giorno in un cinema di Philadelphia mentre assisteva alla proiezione di "The Curious Case of Benjamin Button" il nuovo film di Brad Pitt, ha imposto ai suoi parenti di non parlare. Siccome qualche parola veniva ancora scambiata nonostante il suo invito perenetorio, si e' alzato, ha estratto una P38 e ha sparato al padre che faceva scudo con il suo corpo.
Il padre, per fortuna e' stato colpito ad un braccio, gli spettatori si sono dati alla fuga e Mr. Cialella e' stato catturato dalla polizia con una sfilza di reati contestati. Buone Feste!
Pochi soldi, pochi acquisti. Molti soldi, pochi acquisti
RadioRai GR3
Qui Washington di Oscar Bartoli
“Comprate, comprate, abbiate fiducia”. L’invito che alcuni capi di stato rivolgono alle loro genti non sembra che abbia avuto effetto sui cittadini, almeno considerando gli americani. Appena passato il Natale i dati mostrano un calo marcato negli acquisti. In termini di anno, dicembre su dicembre, le grandi catene commerciali lamentano sensibili diminuzioni nelle vendite nonostante i forti sconti che sono stati praticati. I grandi retailers di lusso si credeva che fossero un’eccezione rispetto alla massa: chi ha soldi continua a spenderli. Ed invece non è stato così. Il settore ‘luxury’ ha registrato un calo del 35% rispetto all’anno scorso e questo interessa molto le aziende italiane che sono specializzate nella gioielleria, confezioni sofisticate, superauto. Anche il prezzo della benzina, che in alcuni stati si avvicina al dollaro a gallone per la benzina normale, non ha influito sulle vendite di auto e tanto meno sugli spostamenti di milioni di persone nel periodo natalizio, giornate compromesse oltretutto da un tempo inclemente in molte aree. I tre big di Detroit sono con l’acqua alla gola e gli analisti sono scettici nella loro ripresa nonostante il pacco di miliardi stanziato da Bush a spese del contribuente. Anche le grandi case asiatiche che si sono insediate negli stati del sud della federazione hanno problemi. Per la prima volta nella sua storia Toyota denuncia una drammatica flessione, Honda si è ritirata dalla Formula Uno. Per le strade di Washington sono sempre più numerose le Smart. E si tratta di una rivoluzione copernicana nella cultura americana dell’auto sempre più grossa e sempre più potente.
Qui Washington di Oscar Bartoli
“Comprate, comprate, abbiate fiducia”. L’invito che alcuni capi di stato rivolgono alle loro genti non sembra che abbia avuto effetto sui cittadini, almeno considerando gli americani. Appena passato il Natale i dati mostrano un calo marcato negli acquisti. In termini di anno, dicembre su dicembre, le grandi catene commerciali lamentano sensibili diminuzioni nelle vendite nonostante i forti sconti che sono stati praticati. I grandi retailers di lusso si credeva che fossero un’eccezione rispetto alla massa: chi ha soldi continua a spenderli. Ed invece non è stato così. Il settore ‘luxury’ ha registrato un calo del 35% rispetto all’anno scorso e questo interessa molto le aziende italiane che sono specializzate nella gioielleria, confezioni sofisticate, superauto. Anche il prezzo della benzina, che in alcuni stati si avvicina al dollaro a gallone per la benzina normale, non ha influito sulle vendite di auto e tanto meno sugli spostamenti di milioni di persone nel periodo natalizio, giornate compromesse oltretutto da un tempo inclemente in molte aree. I tre big di Detroit sono con l’acqua alla gola e gli analisti sono scettici nella loro ripresa nonostante il pacco di miliardi stanziato da Bush a spese del contribuente. Anche le grandi case asiatiche che si sono insediate negli stati del sud della federazione hanno problemi. Per la prima volta nella sua storia Toyota denuncia una drammatica flessione, Honda si è ritirata dalla Formula Uno. Per le strade di Washington sono sempre più numerose le Smart. E si tratta di una rivoluzione copernicana nella cultura americana dell’auto sempre più grossa e sempre più potente.
Natale a Washington
Gr2 Mattino
Natale di guerra per milioni americani che vivono nei distretti industriali toccati pesantemente dalle riduzioni di personale. Ma anche i dipendenti pubblici non dormono sonni tranquilli. A cominciare da quelli della California. Il Governatore Schwarzenegger ha dichiarato che se non interviene il governo federale, il più importante stato della federazione andrà in bancarotta. Quanto ai 600mila che vivono a Washington, la maggioranza ha tirato i remi in barca. La tradizionale paranoia consumistica è quest’anno molto ridimensionata: la gente compra solo cose utili e alimentari. C’è però una minoranza che freme d’impazienza. Sono i professionisti dei party, quelli che non sono felici se non sono invitati a qualche evento importante. I biglietti d’invito per i venti gala annunciati per l’inaugurazione della presidenza Obama ancora non sono arrivati ed è tutta una corsa a conoscere la gente giusta al posto giusto. Quanto al presidente eletto, ha destato ammirazione la sua foto ripresa alla Hawaii che lo mostra con un fisico tirato e in gran forma. Circola comunque il dubbio di come sia stato possibile ad un paparazzo di fotografarlo sulla spiaggia. E se fosse stato un cecchino?
Per il GR2
Oscar Bartoli
Washington DC
Natale di guerra per milioni americani che vivono nei distretti industriali toccati pesantemente dalle riduzioni di personale. Ma anche i dipendenti pubblici non dormono sonni tranquilli. A cominciare da quelli della California. Il Governatore Schwarzenegger ha dichiarato che se non interviene il governo federale, il più importante stato della federazione andrà in bancarotta. Quanto ai 600mila che vivono a Washington, la maggioranza ha tirato i remi in barca. La tradizionale paranoia consumistica è quest’anno molto ridimensionata: la gente compra solo cose utili e alimentari. C’è però una minoranza che freme d’impazienza. Sono i professionisti dei party, quelli che non sono felici se non sono invitati a qualche evento importante. I biglietti d’invito per i venti gala annunciati per l’inaugurazione della presidenza Obama ancora non sono arrivati ed è tutta una corsa a conoscere la gente giusta al posto giusto. Quanto al presidente eletto, ha destato ammirazione la sua foto ripresa alla Hawaii che lo mostra con un fisico tirato e in gran forma. Circola comunque il dubbio di come sia stato possibile ad un paparazzo di fotografarlo sulla spiaggia. E se fosse stato un cecchino?
Per il GR2
Oscar Bartoli
Washington DC
Romano Prodi sui lavori della Coomissione ONU per l'Africa
Care amiche e cari amici,
siamo ormai prossimi alle feste natalizie e alla fine del 2008.
Innanzitutto i miei auguri per un Natale sereno e per l'anno nuovo affinche' le difficolta' del presente non cancellino la speranza.
La fine dell'anno coincide anche con il termine che il Consiglio di sicurezza dell'Onu - su proposta del segretario Ban Ki Moon - aveva posto al lavoro della Commissione speciale Unione Africana-Nazioni Unite da me presieduta per indicare e valutare le possibilita' di supporto alle operazioni di peacekeeping in Africa da parte della Comunita' internazionale.
Sono stati mesi di lavoro intenso, condotto non solo presso la sede generale dell'Onu a New York ma anche ad Addis Abeba, capitale dell'Etiopia e sede dell'Unione Africana e in giro per il mondo visitando i rappresentanti dei paesi piu' interessati a favorire la diffusione della pace nel continente africano.
Lo spirito che mi ha guidato e' lo stesso che ispira la nostra
Fondazione: il valore del dialogo, della pace, della cooperazione con l'obiettivo da perseguire tenacemente: la difesa del bene comune, di tutti gli individui, a maggior ragione nelle zone e nei paesi più in difficolta'.
Per darvi un'idea dello spirito del nostro impiegno, di seguito vi invio alcuni passaggi della prefazione al rapporto finale consegnato lo scorso 12 dicembre al vertici ONU:
« Non c'e' pace ancora in tante parti dell'Africa.
Dal Corno d'Africa ai grandi laghi fino alle regioni piu' occidentali i conflitti hanno ormai un carattere endemico. Nuove minacce continuano a minare la stabilita' politica sebbene nel recente passato ci siano stati progressi sia nel cammino verso la pace che nella crescita economica.
Il costo del conflitto si manifesta in milioni di morti. Per di piu'
l'insicurezza generale blocca lo sviluppo economico creando allo stesso tempo un notevole carico finanziario sulle spalle della comunita' internazionale.
I problemi della distruzione delle infrastrutture, le minacce ambientali, i grandi trasferimenti, le malattie testimoniano che le conseguenze dei conflitti sono piu' dannose e durature del conflitto stesso.
Sebbene questo non sia un problema solo africano, in Africa e' sentito in maniera piu' acuta.
Inoltre in Africa il numero e la portata delle problematiche indicano che non attirano l'attenzione che meriterebbero. Conseguentemente molti tentativi della comunita' internazionale di combattere la poverta' spesso non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, un problema peggiorato poi da altre questioni, come la mancanza di governance efficaci, la corruzione, protezioni politiche, educazione trascurata, oltre ad un sistema sanitario e di servizi sociali inadeguato che perpetua un circolo vizioso di poverta' e violenza.
Sebbene lo sforzo militare puo' essere parte di una potenziale soluzione, la pace nel continente africano non puo' essere raggiunto soltanto attraverso l'impiego di forze militari.
E' necessario avviare strategie a lungo termine a livello continentale, nazionale ma soprattutto locale che supporti gli sforzi dei leader politici nello sviluppo di governance efficaci e nello sviluppo della stabilità essenziale. Solo allora si potranno incontrare i bisogni della gente e fermare definitivamente il circuito impazzito della violenza ».
Ora sara' il Consiglio di sicurezza dell'Onu ad esaminare il rapporto e trarre le dovute conseguenze.
Quanto a me e al gruppo di esperti che ho avuto il privilegio di guidare desidero solo sottolineare lo spirito che ci ha guidati fin qui. Come detto, e' lo stesso della Fondazione che presiedo e nei confronti della quale avete manifestato interesse. La mia speranza e'
dare un contributo al processo di pace nel mondo. Una responsabilita' a cui non si puo' sfuggire.
Grazie di esserci.
Buon natale a tutti!
Romano Prodi
http://www.romanoprodi.it/
http://www.fondazionepopoli.org/
siamo ormai prossimi alle feste natalizie e alla fine del 2008.
Innanzitutto i miei auguri per un Natale sereno e per l'anno nuovo affinche' le difficolta' del presente non cancellino la speranza.
La fine dell'anno coincide anche con il termine che il Consiglio di sicurezza dell'Onu - su proposta del segretario Ban Ki Moon - aveva posto al lavoro della Commissione speciale Unione Africana-Nazioni Unite da me presieduta per indicare e valutare le possibilita' di supporto alle operazioni di peacekeeping in Africa da parte della Comunita' internazionale.
Sono stati mesi di lavoro intenso, condotto non solo presso la sede generale dell'Onu a New York ma anche ad Addis Abeba, capitale dell'Etiopia e sede dell'Unione Africana e in giro per il mondo visitando i rappresentanti dei paesi piu' interessati a favorire la diffusione della pace nel continente africano.
Lo spirito che mi ha guidato e' lo stesso che ispira la nostra
Fondazione: il valore del dialogo, della pace, della cooperazione con l'obiettivo da perseguire tenacemente: la difesa del bene comune, di tutti gli individui, a maggior ragione nelle zone e nei paesi più in difficolta'.
Per darvi un'idea dello spirito del nostro impiegno, di seguito vi invio alcuni passaggi della prefazione al rapporto finale consegnato lo scorso 12 dicembre al vertici ONU:
« Non c'e' pace ancora in tante parti dell'Africa.
Dal Corno d'Africa ai grandi laghi fino alle regioni piu' occidentali i conflitti hanno ormai un carattere endemico. Nuove minacce continuano a minare la stabilita' politica sebbene nel recente passato ci siano stati progressi sia nel cammino verso la pace che nella crescita economica.
Il costo del conflitto si manifesta in milioni di morti. Per di piu'
l'insicurezza generale blocca lo sviluppo economico creando allo stesso tempo un notevole carico finanziario sulle spalle della comunita' internazionale.
I problemi della distruzione delle infrastrutture, le minacce ambientali, i grandi trasferimenti, le malattie testimoniano che le conseguenze dei conflitti sono piu' dannose e durature del conflitto stesso.
Sebbene questo non sia un problema solo africano, in Africa e' sentito in maniera piu' acuta.
Inoltre in Africa il numero e la portata delle problematiche indicano che non attirano l'attenzione che meriterebbero. Conseguentemente molti tentativi della comunita' internazionale di combattere la poverta' spesso non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, un problema peggiorato poi da altre questioni, come la mancanza di governance efficaci, la corruzione, protezioni politiche, educazione trascurata, oltre ad un sistema sanitario e di servizi sociali inadeguato che perpetua un circolo vizioso di poverta' e violenza.
Sebbene lo sforzo militare puo' essere parte di una potenziale soluzione, la pace nel continente africano non puo' essere raggiunto soltanto attraverso l'impiego di forze militari.
E' necessario avviare strategie a lungo termine a livello continentale, nazionale ma soprattutto locale che supporti gli sforzi dei leader politici nello sviluppo di governance efficaci e nello sviluppo della stabilità essenziale. Solo allora si potranno incontrare i bisogni della gente e fermare definitivamente il circuito impazzito della violenza ».
Ora sara' il Consiglio di sicurezza dell'Onu ad esaminare il rapporto e trarre le dovute conseguenze.
Quanto a me e al gruppo di esperti che ho avuto il privilegio di guidare desidero solo sottolineare lo spirito che ci ha guidati fin qui. Come detto, e' lo stesso della Fondazione che presiedo e nei confronti della quale avete manifestato interesse. La mia speranza e'
dare un contributo al processo di pace nel mondo. Una responsabilita' a cui non si puo' sfuggire.
Grazie di esserci.
Buon natale a tutti!
Romano Prodi
http://www.romanoprodi.it/
http://www.fondazionepopoli.org/
Fare posto ai giovani...
Obama e la North Korea
(dal discorso dell'ambasciatore Lee al Rotary Club di Washington)
"Clearly, one of the key issues affecting the region – and indeed, in many respects, the world – is the North Korea’s nuclear ambition.
In early October this year, the U.S. and North Korea reached a tentative agreement on verification measures so that the accuracy and thoroughness of North Korea’s declarations could be authenticated. However, at the recently-concluded round of Six-Party Talks in Beijing, the North Koreans went back on their word and refused to agree to what they had said in October.
For reasons known only to themselves and which seem to defy all logic, the North Koreans missed a golden opportunity to move toward a peaceful and mutually acceptable solution to this continuing problem.
Perhaps they are calculating that there will be a better climate with a new Administration. I believe that would be a serious mistake on their part.
Throughout the campaign, President-elect Obama spoke in support of the Six-Party Talks. He also spoke of his intention to engage in direct diplomacy with the North Korean president, which we would welcome if doing so could make real progress on this issue.
In fact, President Lee recently has went out of his way to say that “It would be a good thing” for Mr. Obama to meet with Kim Jong-il if such a meeting could get North Korea closer to abandoning its nuclear programs.
This issue is not going away, and will, I am certain, be at the top of the agenda of the new Administration."
"Clearly, one of the key issues affecting the region – and indeed, in many respects, the world – is the North Korea’s nuclear ambition.
In early October this year, the U.S. and North Korea reached a tentative agreement on verification measures so that the accuracy and thoroughness of North Korea’s declarations could be authenticated. However, at the recently-concluded round of Six-Party Talks in Beijing, the North Koreans went back on their word and refused to agree to what they had said in October.
For reasons known only to themselves and which seem to defy all logic, the North Koreans missed a golden opportunity to move toward a peaceful and mutually acceptable solution to this continuing problem.
Perhaps they are calculating that there will be a better climate with a new Administration. I believe that would be a serious mistake on their part.
Throughout the campaign, President-elect Obama spoke in support of the Six-Party Talks. He also spoke of his intention to engage in direct diplomacy with the North Korean president, which we would welcome if doing so could make real progress on this issue.
In fact, President Lee recently has went out of his way to say that “It would be a good thing” for Mr. Obama to meet with Kim Jong-il if such a meeting could get North Korea closer to abandoning its nuclear programs.
This issue is not going away, and will, I am certain, be at the top of the agenda of the new Administration."
Pessimismo realista del Vicepresidente eletto Biden
Biden: U.S. Economy in Danger of 'Absolutely Tanking'
"Vice President-Elect Joe Biden said the U.S. economy is in danger of "absolutely tanking" and will need a second stimulus package in the $600-billion to $700-billion range.
"The economy is in much worse shape than we thought it was in," Biden told me during an exclusive interview -- his first since becoming vice president-elect-- to air this Sunday on "This Week with George Stephanopoulos."
"There is no short run other than keeping the economy from absolutely tanking. That's the only short run," Biden told me."
ABC News Chief Washington Correspondent and "This Week" Host George Stephanopoulos
"Vice President-Elect Joe Biden said the U.S. economy is in danger of "absolutely tanking" and will need a second stimulus package in the $600-billion to $700-billion range.
"The economy is in much worse shape than we thought it was in," Biden told me during an exclusive interview -- his first since becoming vice president-elect-- to air this Sunday on "This Week with George Stephanopoulos."
"There is no short run other than keeping the economy from absolutely tanking. That's the only short run," Biden told me."
ABC News Chief Washington Correspondent and "This Week" Host George Stephanopoulos
Holiday sex
McClatchy Washington Bureau
Christmas season is peak for mating
Frank Greve McClatchy Newspapers
WASHINGTON — 'Tis the season for making whoopee.
The Christmas-New Year's period produces a year-high spike in sexual activity and conceptions in the United States, according to biorhythm researchers and makers of sex-related products.
They attribute the increase to holiday leisure and New Year's resolutions to have children. New Year's irresolution fueled by alcohol and partying is another contributing factor.
"Right before New Year's Eve is our highest sales peak," said David Johnson, group product manager for Trojan brand condoms, the leading U.S. seller.
As expected, the holiday urge surge also expresses itself as a peak in U.S. births in September, according to David Lam of the University of Michigan's Population Studies Center in Ann Arbor.
Holiday intimacies aren't just an American rite, according to Gabriele Doblhammer of the Max Planck Institute for Demographic Research in Rostock, Germany. Heavy Christmas-New Year's sex "is characteristic of all Christian cultures in which it has been evaluated," she and co-researcher Joseph Lee Rogers found.
A quartet of British public health researchers went so far as to liken the Christmas-New Year's period to a "festival on fertility" in a 1999 article in the Journal of the Royal Society of Medicine.
Such festivals, they wrote, are "associated with increased opportunities for socializing and a generally more hedonistic approach to life."
Recognizing the risks entailed, the British Health Education Authority once ran a condom ad before New Year's with the tag line: "Just in case old acquaintances aren't quite forgot."
What about the notion that spring is the season of love?
Among partners chronically pressed for time, intimacy flourishes in the rare leisure of three-day weekends, analysts said.
Accordingly, the long July Fourth, Memorial Day and Labor Day weekends also produce spikes in condom sales, Trojan's Johnson said.
So does the run-up to Valentine's Day, he added.
"And before Mother's Day, there's a small peak."
The centrality of holidays to the timing of conceptions in the United States is relatively new, Till Roenneberg, of the Institute for Medical Psychology at the University of Munich, said in an interview.
Until the 1930s, fluctuations in temperature, sunlight and humidity yielded much larger seasonal fluctuations in U.S. conception, he said. They still do in less developed countries.
In industrialized countries, Roenneberg continued, people increasingly are shielded from sunlight by indoor work and from temperature and humidity variations by heating and air conditioning.
Once the natural fluctuations, which influence human sperm and egg quality, are muted, lesser factors such as three-day weekends become visible, he said.
Roenneberg's findings derive from studies of birth date trends in 166 regions of the globe. The data come from as early as 1669 and total more than 3,000 years of human experience.
Christmas season is peak for mating
Frank Greve McClatchy Newspapers
WASHINGTON — 'Tis the season for making whoopee.
The Christmas-New Year's period produces a year-high spike in sexual activity and conceptions in the United States, according to biorhythm researchers and makers of sex-related products.
They attribute the increase to holiday leisure and New Year's resolutions to have children. New Year's irresolution fueled by alcohol and partying is another contributing factor.
"Right before New Year's Eve is our highest sales peak," said David Johnson, group product manager for Trojan brand condoms, the leading U.S. seller.
As expected, the holiday urge surge also expresses itself as a peak in U.S. births in September, according to David Lam of the University of Michigan's Population Studies Center in Ann Arbor.
Holiday intimacies aren't just an American rite, according to Gabriele Doblhammer of the Max Planck Institute for Demographic Research in Rostock, Germany. Heavy Christmas-New Year's sex "is characteristic of all Christian cultures in which it has been evaluated," she and co-researcher Joseph Lee Rogers found.
A quartet of British public health researchers went so far as to liken the Christmas-New Year's period to a "festival on fertility" in a 1999 article in the Journal of the Royal Society of Medicine.
Such festivals, they wrote, are "associated with increased opportunities for socializing and a generally more hedonistic approach to life."
Recognizing the risks entailed, the British Health Education Authority once ran a condom ad before New Year's with the tag line: "Just in case old acquaintances aren't quite forgot."
What about the notion that spring is the season of love?
Among partners chronically pressed for time, intimacy flourishes in the rare leisure of three-day weekends, analysts said.
Accordingly, the long July Fourth, Memorial Day and Labor Day weekends also produce spikes in condom sales, Trojan's Johnson said.
So does the run-up to Valentine's Day, he added.
"And before Mother's Day, there's a small peak."
The centrality of holidays to the timing of conceptions in the United States is relatively new, Till Roenneberg, of the Institute for Medical Psychology at the University of Munich, said in an interview.
Until the 1930s, fluctuations in temperature, sunlight and humidity yielded much larger seasonal fluctuations in U.S. conception, he said. They still do in less developed countries.
In industrialized countries, Roenneberg continued, people increasingly are shielded from sunlight by indoor work and from temperature and humidity variations by heating and air conditioning.
Once the natural fluctuations, which influence human sperm and egg quality, are muted, lesser factors such as three-day weekends become visible, he said.
Roenneberg's findings derive from studies of birth date trends in 166 regions of the globe. The data come from as early as 1669 and total more than 3,000 years of human experience.
2009, pevisioni tremende
(dall'intervista a Bersani su Repubblica)
E da qui al congresso che succede nel Pd?
"Guardi, io ho una grande, grandissima preoccupazione. La crisi sarà acuta e non sarà breve. Da qui all'estate noi ci troveremo in una situazione assolutamente inedita, sul piano produttivo e su quello sociale. Qualcosa che non abbiamo mai visto, almeno quelli della mia generazione. Noi rischiamo che la fascia più colpita, giovani precari, lavoratori e piccoli imprenditori, vengano abbandonati o alla compassione della destra o a qualche rigurgito rabbioso di tipo populista. Io sento acutamente che c'è bisogno di noi. Per questo dobbiamo rimetterci in piedi ed essere forti. Un partito come il nostro, deve esserci".
E da qui al congresso che succede nel Pd?
"Guardi, io ho una grande, grandissima preoccupazione. La crisi sarà acuta e non sarà breve. Da qui all'estate noi ci troveremo in una situazione assolutamente inedita, sul piano produttivo e su quello sociale. Qualcosa che non abbiamo mai visto, almeno quelli della mia generazione. Noi rischiamo che la fascia più colpita, giovani precari, lavoratori e piccoli imprenditori, vengano abbandonati o alla compassione della destra o a qualche rigurgito rabbioso di tipo populista. Io sento acutamente che c'è bisogno di noi. Per questo dobbiamo rimetterci in piedi ed essere forti. Un partito come il nostro, deve esserci".
Presidenzialismo ovvero: Berlusconismo
(Da Repubblica)
Ieri sera Berlusconi ha lanciato l'ennesima provocazione: ha proposto l'elezione diretta del Capo dello Stato, cioè un plebiscito sul suo nome. Ha aggiunto che lo metterà in votazione tra qualche tempo. Si completerebbe così il disegno che da tempo porta avanti di uno stravolgimento costituzionale culminante nel cesarismo. Davanti ad un personaggio di questa natura non si capisce come possa nascere il Partito della libertà, cioè l'unione tra Forza Italia e An con dentro Fini che pochi giorni fa ha condannato il cesarismo mentre Bossi dichiarava: "Non vogliamo monarchie". O sono tutti ipocriti o sono tutti ammattiti. In queste condizioni il Pd e le altre forze di opposizione sono la sola diga che possa trattenere l'Italia in un quadro democratico europeo impedendo un'avventura con sbocchi autoritari. La grande crisi del 1929 produsse due soluzioni politiche nel mondo occidentale: quella democratica di Roosevelt e quella fascista e nazista. Le condizioni attuali non sono quelle di allora ma la scelta è ancora una volta questa. Noi italiani abbiamo già dato.
Eugenio Scalfari
Ieri sera Berlusconi ha lanciato l'ennesima provocazione: ha proposto l'elezione diretta del Capo dello Stato, cioè un plebiscito sul suo nome. Ha aggiunto che lo metterà in votazione tra qualche tempo. Si completerebbe così il disegno che da tempo porta avanti di uno stravolgimento costituzionale culminante nel cesarismo. Davanti ad un personaggio di questa natura non si capisce come possa nascere il Partito della libertà, cioè l'unione tra Forza Italia e An con dentro Fini che pochi giorni fa ha condannato il cesarismo mentre Bossi dichiarava: "Non vogliamo monarchie". O sono tutti ipocriti o sono tutti ammattiti. In queste condizioni il Pd e le altre forze di opposizione sono la sola diga che possa trattenere l'Italia in un quadro democratico europeo impedendo un'avventura con sbocchi autoritari. La grande crisi del 1929 produsse due soluzioni politiche nel mondo occidentale: quella democratica di Roosevelt e quella fascista e nazista. Le condizioni attuali non sono quelle di allora ma la scelta è ancora una volta questa. Noi italiani abbiamo già dato.
Eugenio Scalfari
Col denaro....
Questo proverbio cinese consolatorio e' dedicato a chi di soldi ne ha sempre di meno:
Col Denaro puoi comprare una casa, ma non una Famiglia.
Col Denaro puoi comprare un orologio, ma non il Tempo.
Col Denaro puoi comprare un letto, ma non il Sonno.
Col Denaro puoi comprare un libro, ma non la Conoscenza.
Col Denaro puoi pagare un medico, ma non puoi comprare la Salute.
Col Denaro puoi comprare una posizione, ma non il Rispetto.
Col Denaro puoi comprare il sangue, ma non la Vita.
Col Denaro puoi comprare il sesso, ma non l'Amore.
Col Denaro puoi comprare una casa, ma non una Famiglia.
Col Denaro puoi comprare un orologio, ma non il Tempo.
Col Denaro puoi comprare un letto, ma non il Sonno.
Col Denaro puoi comprare un libro, ma non la Conoscenza.
Col Denaro puoi pagare un medico, ma non puoi comprare la Salute.
Col Denaro puoi comprare una posizione, ma non il Rispetto.
Col Denaro puoi comprare il sangue, ma non la Vita.
Col Denaro puoi comprare il sesso, ma non l'Amore.
Questione morale in un Paese amorale?
Scorrendo la stampa italiana ti vengono i brividi. I commenti sugli ultimi scandali mediatici sono tutti all'insegna del "siamo tornati a 'Mani pulite' ". Oppure si tratta di un qualcosa di nuovo che si innesta in ambiente socio-politico caratterizzato da due poli al contrario degli Anni '90.
Ebbene, alla vigilia del 2009, lo scenario italico si presenta con una maggioranza bulgara di consensi a Berlusconi ed al suo governo e con un Partito Democratico, dilaniato al suo interno, con un segretario generale che non sa come rimettere a posto i cocci e la cui elegante condotta politica e' stata equivocata in un Paese come quello italiano in cui il fioretto e' un'arma sconosciuta in politica e si va all'attacco degli avversari con lo spadone a due mani.
E quanto al corpo elettorale la societa' italiana e' piu' che mai divisa in coloro che stanno male, anzi malissimo e sono i percettori di reddito fisso, lavoratori e pensionati. E quelli che stanno bene, anzi benissimo, e hanno gonfiato la massa degli evasori totali, si permettono lussi da nababbi in un periodo di crisi accentuata, grazie al fatto che di tasse ne pagano poche o punte che hanno attivita' sottobanco mai dichiarate.
Quando parli con la gente ti riversano addosso palate di rabbia, depressione, scontento generalizzato, previsioni cupe per il futuro.
Salvo poi riservare l'applauso piu' convinto a chi non rispetta le regole, o se le fa a proprio piacimento, a chi segue sempre le scorciatoie, a chi frega gli altri che stanno in fila, a chi della prepotenza sociale fa un lavoro a tempo pieno. Tanto chi ti becca?
E se scoppia l'ennesimo scandaletto mediatico, sai bene che poi si sgonfia in una bolla di sapone, perche' siamo tutti figli di mamma e dobbiamo campare. Possibilmente bene.
Qui negli Stati Uniti il governatore dell'Illinois, al quale per una singolare regola della costituzione locale, spetta il compito di nominare un senatore per il posto lasciato libero dal presidente eletto Obama, e' stato registrato nelle sue telefonate compromettenti nelle quali chiedeva un 'rimborso spese' per appoggiare l'uno o l'altra.
Bene: questo signore se la sta passando molto male e finira' in galera come del resto e' successo ad altri suoi colleghi governatori, guarda caso, in prevalenza di Chicago, accusati di corruzione.
In un momento in cui milioni di americani sono senza lavoro o stanno per perderlo e non sanno dove sbattere la testa, le iniziative della magistratura inquirente americana non guardano in faccia nessuno. Anche se si tratta dei massimi livelli politici di uno stato della confederazione.
La differenza purtroppo tra l'Italia e l'America sta nella cultura parareligiosa prevalente: da noi un cattolicesimo solo di facciata all'insegna del "Tre Pater, Ave e Gloria", tanto poi si ricomincia a peccare con allegria.
Negli Stati Uniti una cultura protestante che, nonostante i tanti problemi di questa nazione, non adotta i pannicelli caldi del buonismo italico da rotocalco. Chi ha sbagliato deve pagare e subito. E da questo deriva la fiducia nelle istituzioni a cominciare dalla magistratura.
Riapertura di un importante Master
MASTER IN ECONOMIA E GESTIONE DELLA COMUNICAZIONE E DEI MEDIA
RIAPERTURA ISCRIZIONI - VII EDIZIONE
A.A. 2008-2009
Master annuale e singoli moduli
Sono riaperte le iscrizioni alla VII Edizione del Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media.
Su richiesta di alcuni laureati e tenuto conto che le sessioni invernali di laurea si tengono in alcune sedi da dicembre a febbraio e quindi dopo l’originale scadenza del Bando, il Consiglio del Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media ha deciso di riaprire i termini delle iscrizioni per consentire la possibilità di iscriversi ai neolaureati.
Le lezioni del Master cominceranno a marzo 2009, e sarà possibile iscriversi e frequentare l’intero Master oppure singoli moduli; per partecipare al processo di selezione ci si deve “pre-iscrivere” (termini dal 26 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009) sul sito www.economia.uniroma2.it/master/comunica&media - compilando l’apposita domanda di ammissione disponibile on line - e partecipare all’ultimo colloquio valutativo, che si terrà il 20 gennaio 2009, alle 11.00, presso la Sala Scacchi II piano, edificio B, della Facoltà di Economia (Roma, Via Columbia 2). Sarà l’occasione per i candidati per presentare personalmente il proprio curriculum vitae, spiegare le motivazioni che hanno portato alla scelta del corso di studi, confrontarsi fra loro e con la Direzione del Master.
Un anno di frequenza al Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media crea professionisti in grado di affrontare le tematiche economiche, manageriali, giuridiche e tecnologiche nel settore pubblico, privato, profit e non profit del mercato della comunicazione e dei media.
Il Master in “Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media”, fondato nel 2002 e quindi giunto alla VII edizione, è di I livello della durata complessiva di un anno. Completano la formazione dei giovani laureati workshop operativi organizzati con aziende (Cultur-e, Enel, Interferenze, La7, Rai Cinema, 3 Italia), uno stage di tre mesi (o un project work per chi lavora), presso aziende di spicco del settore media (televisioni, case cinematografiche, editori) e della comunicazione (agenzie, centri media, aziende committenti). Il Master ha la certificazione del sistema qualità (UNI EN ISO 9001-2000).
Ogni anno, sulla base dei risultati degli esami di primo quadrimestre, sono assegnati quattro premi di studio, messi a disposizione come rimborso delle quote d’iscrizione al Master dalle aziende partner.
Ad oggi hanno assicurato stages e placement del Master le seguenti aziende: Accenture, ABI, Bnl-Bnp Paribas, Banco alimentare del Lazio Onlus, Banco di Sardegna, Capitalia, Cattleya, Cinecittà Studios, Ega Congressi, Enea, Enel, Federculture, Fondazioni Italia, Fondazione Rosselli, Ikea, Interferenze, La7, Lottomatica, Mediaset, Metro, Minerv@, Pfizer, Politecnico della Cultura, Carrè Noir-Publicis, Rai, Rai Cinema, Rai Trade, Scuole Civiche di Milano, Comune di Ciampino, Comune di Milano, Sky, 20th Century Fox, Unicredit Banca, Vizeum, Walt Disney, Wind.
Il programma del Master comprende lo studio di numerose tematiche, organizzate in nove moduli tenuti da docenti universitari e da esperti e operatori del settore: Caratteri nazionali e internazionali dell’Industria della Comunicazione e dei Media, Economia dei Beni pubblici e dei Beni privati e Regolamentazione, Organizzazione e comunicazione, Tecnologie e processi produttivi, Analisi economica per le decisioni e Valutazione dei progetti, Corporate Finance & Corporate Governance, Editoria dei media: news, entertainment e sport, pubblicità e promotion, education. I settori: televisione e radio; stampa; web; cinema; spettacolo dal vivo, Il caso della comunicazione.
Il tutto è stato “costruito” tenendo conto dell’evoluzione delle teorie, dei metodi e degli strumenti dell’industria della comunicazione e dei media, con particolare riferimento al quadro socio-economico e del mercato del lavoro.
“Finora abbiamo avuto ottimi risultati – spiega Luigi Paganetto, Direttore del Master: il 49% degli studenti ha trovato infatti collocazione nel settore comunicazione di aziende, e il 51% in quello dei vari media (tv, cinema, web, carta stampata), a confermare l’intuizione iniziale di una proposta didattica e teorico-pratica ambivalente”.
Simonetta Pattuglia, Coordinatore del Corso, sottolinea infatti che “fra le mission del Master c’è quella di creare un sistema di rapporti stabili, anche finalizzato al placement, con le industrie private, le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni non profit che agiscono nel mercato della comunicazione e dei media. Siamo peraltro orgogliosi di ricordare che nell’ultima edizione il placement dei laureati del Master si colloca all’89% del totale degli iscritti”.
Il Master vede fra i Main Partner Enel, Lottomatica, Telecom, Sipra e RaiTrade, e fra i Partner ANEM, ANICA, FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana), Il Messaggero, Ericsson, Sky, Cinecittà Studios, Metro, Polizia di Stato, Rai, Rai Cinema, BNL-Bnp Paribas, Interferenze, CarrèNoir, Minerv@, Federculture, Ega Congressi, MondoWeb, Cultur-e, Il Denaro, Giffoni Media Service, Iperclub Vacanze.
Il Comitato tecnico-scientifico del Master è composto da Stefano Balassone Amministratore Delegato Interferenze; Fabio Belli Direttore Pianificazione Rai; Maurizio Braccialarghe Amministratore Delegato Sipra; Claudio Cappon Direttore Generale Rai; Gianluca Comin Direttore Relazioni Esterne Enel; Daniele D’Ambrosio Presidente Minerv@; Caterina D’Amico Amministratore Delegato RaiCinema; Giuliano Frosini Direttore European Relations & Public Affairs Lottomatica; Cherubina Habetswallner Responsabile Formazione e Comunicazione - Human Resources and Organization Telecom; Lamberto Mancini Direttore Generale Cinecittà Studios; Andrea Marcotulli, Direttore Generale ANICA, Marzio Mazzara Direttore Sede Roma Carrénoir; Roberto Napoletano, Direttore Il Messaggero; Giorgio Paoletti Human Resources Internal Communication Manager Sky; Paolo Romano Strategic Planner Y2K; Roberto Sgalla Esperto; Luigi Vianello Direttore Relazioni Esterne Mediobanca; Alessio Zagaglia Direttore Public & Economic Affairs, Ericsson.
RIAPERTURA ISCRIZIONI - VII EDIZIONE
A.A. 2008-2009
Master annuale e singoli moduli
Sono riaperte le iscrizioni alla VII Edizione del Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media.
Su richiesta di alcuni laureati e tenuto conto che le sessioni invernali di laurea si tengono in alcune sedi da dicembre a febbraio e quindi dopo l’originale scadenza del Bando, il Consiglio del Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media ha deciso di riaprire i termini delle iscrizioni per consentire la possibilità di iscriversi ai neolaureati.
Le lezioni del Master cominceranno a marzo 2009, e sarà possibile iscriversi e frequentare l’intero Master oppure singoli moduli; per partecipare al processo di selezione ci si deve “pre-iscrivere” (termini dal 26 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009) sul sito www.economia.uniroma2.it/master/comunica&media - compilando l’apposita domanda di ammissione disponibile on line - e partecipare all’ultimo colloquio valutativo, che si terrà il 20 gennaio 2009, alle 11.00, presso la Sala Scacchi II piano, edificio B, della Facoltà di Economia (Roma, Via Columbia 2). Sarà l’occasione per i candidati per presentare personalmente il proprio curriculum vitae, spiegare le motivazioni che hanno portato alla scelta del corso di studi, confrontarsi fra loro e con la Direzione del Master.
Un anno di frequenza al Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media crea professionisti in grado di affrontare le tematiche economiche, manageriali, giuridiche e tecnologiche nel settore pubblico, privato, profit e non profit del mercato della comunicazione e dei media.
Il Master in “Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media”, fondato nel 2002 e quindi giunto alla VII edizione, è di I livello della durata complessiva di un anno. Completano la formazione dei giovani laureati workshop operativi organizzati con aziende (Cultur-e, Enel, Interferenze, La7, Rai Cinema, 3 Italia), uno stage di tre mesi (o un project work per chi lavora), presso aziende di spicco del settore media (televisioni, case cinematografiche, editori) e della comunicazione (agenzie, centri media, aziende committenti). Il Master ha la certificazione del sistema qualità (UNI EN ISO 9001-2000).
Ogni anno, sulla base dei risultati degli esami di primo quadrimestre, sono assegnati quattro premi di studio, messi a disposizione come rimborso delle quote d’iscrizione al Master dalle aziende partner.
Ad oggi hanno assicurato stages e placement del Master le seguenti aziende: Accenture, ABI, Bnl-Bnp Paribas, Banco alimentare del Lazio Onlus, Banco di Sardegna, Capitalia, Cattleya, Cinecittà Studios, Ega Congressi, Enea, Enel, Federculture, Fondazioni Italia, Fondazione Rosselli, Ikea, Interferenze, La7, Lottomatica, Mediaset, Metro, Minerv@, Pfizer, Politecnico della Cultura, Carrè Noir-Publicis, Rai, Rai Cinema, Rai Trade, Scuole Civiche di Milano, Comune di Ciampino, Comune di Milano, Sky, 20th Century Fox, Unicredit Banca, Vizeum, Walt Disney, Wind.
Il programma del Master comprende lo studio di numerose tematiche, organizzate in nove moduli tenuti da docenti universitari e da esperti e operatori del settore: Caratteri nazionali e internazionali dell’Industria della Comunicazione e dei Media, Economia dei Beni pubblici e dei Beni privati e Regolamentazione, Organizzazione e comunicazione, Tecnologie e processi produttivi, Analisi economica per le decisioni e Valutazione dei progetti, Corporate Finance & Corporate Governance, Editoria dei media: news, entertainment e sport, pubblicità e promotion, education. I settori: televisione e radio; stampa; web; cinema; spettacolo dal vivo, Il caso della comunicazione.
Il tutto è stato “costruito” tenendo conto dell’evoluzione delle teorie, dei metodi e degli strumenti dell’industria della comunicazione e dei media, con particolare riferimento al quadro socio-economico e del mercato del lavoro.
“Finora abbiamo avuto ottimi risultati – spiega Luigi Paganetto, Direttore del Master: il 49% degli studenti ha trovato infatti collocazione nel settore comunicazione di aziende, e il 51% in quello dei vari media (tv, cinema, web, carta stampata), a confermare l’intuizione iniziale di una proposta didattica e teorico-pratica ambivalente”.
Simonetta Pattuglia, Coordinatore del Corso, sottolinea infatti che “fra le mission del Master c’è quella di creare un sistema di rapporti stabili, anche finalizzato al placement, con le industrie private, le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni non profit che agiscono nel mercato della comunicazione e dei media. Siamo peraltro orgogliosi di ricordare che nell’ultima edizione il placement dei laureati del Master si colloca all’89% del totale degli iscritti”.
Il Master vede fra i Main Partner Enel, Lottomatica, Telecom, Sipra e RaiTrade, e fra i Partner ANEM, ANICA, FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana), Il Messaggero, Ericsson, Sky, Cinecittà Studios, Metro, Polizia di Stato, Rai, Rai Cinema, BNL-Bnp Paribas, Interferenze, CarrèNoir, Minerv@, Federculture, Ega Congressi, MondoWeb, Cultur-e, Il Denaro, Giffoni Media Service, Iperclub Vacanze.
Il Comitato tecnico-scientifico del Master è composto da Stefano Balassone Amministratore Delegato Interferenze; Fabio Belli Direttore Pianificazione Rai; Maurizio Braccialarghe Amministratore Delegato Sipra; Claudio Cappon Direttore Generale Rai; Gianluca Comin Direttore Relazioni Esterne Enel; Daniele D’Ambrosio Presidente Minerv@; Caterina D’Amico Amministratore Delegato RaiCinema; Giuliano Frosini Direttore European Relations & Public Affairs Lottomatica; Cherubina Habetswallner Responsabile Formazione e Comunicazione - Human Resources and Organization Telecom; Lamberto Mancini Direttore Generale Cinecittà Studios; Andrea Marcotulli, Direttore Generale ANICA, Marzio Mazzara Direttore Sede Roma Carrénoir; Roberto Napoletano, Direttore Il Messaggero; Giorgio Paoletti Human Resources Internal Communication Manager Sky; Paolo Romano Strategic Planner Y2K; Roberto Sgalla Esperto; Luigi Vianello Direttore Relazioni Esterne Mediobanca; Alessio Zagaglia Direttore Public & Economic Affairs, Ericsson.
"Marketing Myopia"
Nell’ultimo trimestre la presenza pubblicitaria nei giornali americani è caduta del 18% pari a due miliardi di dollari. Nonostante l’aumento della popolazione le copie vendute negli ultimi 40 anni sono in costante calo. Eppure l’immagine dei principali quotidiani americani è in ascesa grazie ai siti che i giornali gestiscono da tempo. Per fronteggiare la crisi della stampa, che va di pari passo con quella economica del Paese, i giornali hanno attuato pesanti ristrutturazioni con alleggerimento del personale a cominciare dai giornalisti. Ma senza alcun particolare beneficio. Come fa notare il New Yorker, i quotidiani che hanno mantenuto la barra ferma, come il Wall Street Journal e USAToday stanno meglio della concorrenza. Viene spesso citato un famoso articolo pubblicato nel 1960 da Theodore Levitt dal titolo “Marketing Myopia” nel quale si portavano come esempio negativo le società ferroviarie, tutte focalizzate sul prodotto anziché sul consumatore. E incapaci perciò di fronteggiare il trasporto su gomma e gli aerei che presto hanno preso il sopravvento. Questo vale anche per l’informazione dove i giornali guardano alla carta stampata piuttosto che alla rete.
La colpa, secondo il settimanale americano, è del consumatore che ha tutto a disposizione, praticamente a costo zero, grazie alla diffusione di Internet. Ma quanto potrà ancora durare questa situazione? Il risveglio per il consumatore potrà essere amaro.
La colpa, secondo il settimanale americano, è del consumatore che ha tutto a disposizione, praticamente a costo zero, grazie alla diffusione di Internet. Ma quanto potrà ancora durare questa situazione? Il risveglio per il consumatore potrà essere amaro.
Madoff e la truffa del secolo
“Madoff scheme”
Un noto finanziere di New York, Bernard L. Madoff, sarebbe l’artefice della più grande truffa della storia, essendo riuscito a sottrarre decine di miliardi di dollari agli investitori. In quale maniera è stato condotto questo raggiro? I mass media nordamericani hanno proclamato all’unisono: attraverso un gigantesco “Ponzi scheme”.
Nella penisola molti si chiederanno: ma cos’è un “Ponzi scheme?” Gli italiani infatti ignorano che al ladruncolo Carlo Ponzi, nato in Italia e trapiantato in America, figura minore del Ghota dei criminali e personaggio del tutto sconosciuto in Europa, è stata attribuita in Nord America la paternità di un particolare piano truffaldino, sorta di catena di Sant’Antonio, che è alla base di tanti “bidoni”. La truffa col metodo “piramidale” in realtà esiste da sempre ed è inoltre condotta quasi sempre da non italiani, ma i mass media, in Nord America, sono stati attratti dal nome “Ponzi”, così sonoro, così italiano. É quello che è successo anche ai nomi Capone, Luciano, Gambino, Genovese, Giancana, che oggigiorno evocano istantaneamente la violenza dei bassifondi americani. I nomi dei mafiosi Arnold Rothstein, Jack “Legs” Diamond, “Bugsy” Moran, Dutch Schultz, Mickey Cohen, Louis Lepke, Ben Siegel e degli altri criminali eccellenti di un’epopea che Hollywood non ha creduto opportuno celebrare, non hanno invece demonizzato i cognomi Rothstein, Diamond, Moran, Schultz, Cohen, Lepke, Siegel. Tutt’altro. Ed ecco che Ponzi, criminale di secondo piano, morto in miseria in Brasile nel 1949, si è assicurato l’immortalità grazie all’espressione “Ponzi scheme”.
Il nome di Franklin Moses, il governatore della Carolina del Sud dei tempi andati, corrotto fino al midollo, non ha dato origine ad espressioni idiomatiche. Cosa volete: è proibito confondere il sacro col profano... Sono quindi pronto a scommettere che, come Moses, anche Madoff verrà furbescamente ignorato sia da Hollywood sia dai linguisti compilatori di dizionari angloamericani.
Claudio Antonelli
Montreal (Canada)
Un noto finanziere di New York, Bernard L. Madoff, sarebbe l’artefice della più grande truffa della storia, essendo riuscito a sottrarre decine di miliardi di dollari agli investitori. In quale maniera è stato condotto questo raggiro? I mass media nordamericani hanno proclamato all’unisono: attraverso un gigantesco “Ponzi scheme”.
Nella penisola molti si chiederanno: ma cos’è un “Ponzi scheme?” Gli italiani infatti ignorano che al ladruncolo Carlo Ponzi, nato in Italia e trapiantato in America, figura minore del Ghota dei criminali e personaggio del tutto sconosciuto in Europa, è stata attribuita in Nord America la paternità di un particolare piano truffaldino, sorta di catena di Sant’Antonio, che è alla base di tanti “bidoni”. La truffa col metodo “piramidale” in realtà esiste da sempre ed è inoltre condotta quasi sempre da non italiani, ma i mass media, in Nord America, sono stati attratti dal nome “Ponzi”, così sonoro, così italiano. É quello che è successo anche ai nomi Capone, Luciano, Gambino, Genovese, Giancana, che oggigiorno evocano istantaneamente la violenza dei bassifondi americani. I nomi dei mafiosi Arnold Rothstein, Jack “Legs” Diamond, “Bugsy” Moran, Dutch Schultz, Mickey Cohen, Louis Lepke, Ben Siegel e degli altri criminali eccellenti di un’epopea che Hollywood non ha creduto opportuno celebrare, non hanno invece demonizzato i cognomi Rothstein, Diamond, Moran, Schultz, Cohen, Lepke, Siegel. Tutt’altro. Ed ecco che Ponzi, criminale di secondo piano, morto in miseria in Brasile nel 1949, si è assicurato l’immortalità grazie all’espressione “Ponzi scheme”.
Il nome di Franklin Moses, il governatore della Carolina del Sud dei tempi andati, corrotto fino al midollo, non ha dato origine ad espressioni idiomatiche. Cosa volete: è proibito confondere il sacro col profano... Sono quindi pronto a scommettere che, come Moses, anche Madoff verrà furbescamente ignorato sia da Hollywood sia dai linguisti compilatori di dizionari angloamericani.
Claudio Antonelli
Montreal (Canada)
Preso a scarpate...
Mi chiedono molti lettori perche' non abbiamo commentato sino ad ora l'episodio che ha visto il presidente George W. Bush essere fatto oggetto del lancio delle scarpe da parte di un giovane giornalista iracheno.
"Eppure- ci dicono- il gesto ha scatenato una ondata di adesioni da parte della popolazione irachena ed e' stato seguito da centinaia di migliaia di persone che si sono sintonizzate su YouTube."
Come il nostro Lettore sa bene, siamo sempre stati poco indulgenti nei confronti di questo presidente e della sua amministrazione fatta in prevalenza di maneggioni e di improvvisati.
Questo episodio tuttavia, ci ha riempito di tristezza. Non tanto per il personaggio Bush che, oppresso da una sua inestricabile sfortuna, continua ad inanellare sconfitte e brutte figure una dietro l'altra.
Ma non disperiamoci per lui: si tratta di uno di quei fondamentalisti convinti che Dio e la ragione sono e dovranno essere sempre dalla loro parte. E che le accuse e le malevolenze del mondo intero non possono intaccare la loro adamantina sicumera di essere al disopra di tutto e di tutti perche' toccati da Dio.
Tristezza per noi americani (e parlo con il mio passaporto USA) perche' il lancio delle scarpe, offesa gravissima nella cultura araba, e' l'ulteriore conferma del basso livello di immagine che abbiamo in tutto il mondo.
La scia di morti che ci siamo lasciati in Iraq, i 700 miliardi di dollari che il contribuente americano ha speso, i proclami di avere portato la democrazia in una nazione che dopo sette anni di guerra si ritrova al punto di prima, bene: tutto questo ha ulteriormente affossato la percezione internazionale dell'America, la nazione che, con i suoi 500mila ragazzi sacrificati nella Seconda Guerra Mondiale, ci ha salvato dall'impero nazista, collegato con quello giapponese e con l'assistenza del 'cameriere' Mussolini che ha recitato anche in quella occasione il ruolo di "ragazzo, spazzola!" che noi italiani (e parlo con il passaporto italiano) amiamo spesso cucirci addosso.
Il presidente americano preso a scarpate, l'esultanza del mondo arabo sono la pietra tombale di una operazione (l'occupazione dell'Iraq) che e' stata condotta per consentire a Exxon e Chevron ed in via subordinata alla British Petroleum, di rimettere piede nel secondo serbatoio petrolifero del mondo. Quindi George W. Bush puo' davvero dire: "Mission accomplished!" Non ha fatto gli interessi degli americani, ma certo quelli delle corporations del petrolio che hanno totalizzato profitti record negli ultimi bilanci.
Due reverendi (padre e figlio) si prendono a cazzotti mediatici
(Questa storia pubblicata da USAToday sta facendo palpitare migliaia di credenti che affollano la Chrystal Cathedral della quale potete vedere un servizio nella sezione Video bar)
Robert Schuller's son leaves Crystal Cathedral
GARDEN GROVE, California (AP) — The Rev. Robert A. Schuller has resigned as senior pastor of the Crystal Cathedral in southern California two months after his father yanked him from the church's long-running Christian television program, Hour of Power.
Schuller, who resigned last month, plans to start his own ministry, according to a press release on the Crystal Cathedral's website. Juan Carlos Ortiz, founder of the Crystal Cathedral Hispanic Ministry, will take over as senior pastor until a permanent replacement is found.
"It is expected that Robert will make an announcement soon regarding plans for his new ministry," the Crystal Cathedral said in the press release. "The leadership and congregation wishes him all the best as his plans unfold."
The Crystal Cathedral, with its glittering landmark megachurch, was founded by Schuller's father, the Rev. Robert H. Schuller, who upon arriving in Southern California in 1955 gained attention when he began preaching from a drive-in movie theater in Orange County.
The upbeat Schuller, who stresses harnessing God's help through positive thinking, began broadcasting his weekly sermons on hisHour of Power program in 1970. He opened the Crystal Cathedral in 1980.
In a much heralded announcement nearly three years ago, he named his son to succeed him as the 10,000-member cathedral's senior pastor. He removed his son from the Hour of Power broadcasts in October, however, after the church said the younger Schuller had refused his father's requests to rotate the show's preaching duties with other ministers.
The church said "lack of shared vision" led to the split between the younger Schuller and his 82-year-old father.
The Crystal Cathedral is a part of the Reformed Church of America, of which the younger Schuller remains in good standing.
Another Reformed Church pastor, Rick Mysse, told the Los Angeles Times that Hour of Power has lined up more than two dozen speakers for the show, including prominent pastors like Lee Strobel and Bill Hybels.
Copyright 2008 The Associated Press.
Robert Schuller's son leaves Crystal Cathedral
GARDEN GROVE, California (AP) — The Rev. Robert A. Schuller has resigned as senior pastor of the Crystal Cathedral in southern California two months after his father yanked him from the church's long-running Christian television program, Hour of Power.
Schuller, who resigned last month, plans to start his own ministry, according to a press release on the Crystal Cathedral's website. Juan Carlos Ortiz, founder of the Crystal Cathedral Hispanic Ministry, will take over as senior pastor until a permanent replacement is found.
"It is expected that Robert will make an announcement soon regarding plans for his new ministry," the Crystal Cathedral said in the press release. "The leadership and congregation wishes him all the best as his plans unfold."
The Crystal Cathedral, with its glittering landmark megachurch, was founded by Schuller's father, the Rev. Robert H. Schuller, who upon arriving in Southern California in 1955 gained attention when he began preaching from a drive-in movie theater in Orange County.
The upbeat Schuller, who stresses harnessing God's help through positive thinking, began broadcasting his weekly sermons on hisHour of Power program in 1970. He opened the Crystal Cathedral in 1980.
In a much heralded announcement nearly three years ago, he named his son to succeed him as the 10,000-member cathedral's senior pastor. He removed his son from the Hour of Power broadcasts in October, however, after the church said the younger Schuller had refused his father's requests to rotate the show's preaching duties with other ministers.
The church said "lack of shared vision" led to the split between the younger Schuller and his 82-year-old father.
The Crystal Cathedral is a part of the Reformed Church of America, of which the younger Schuller remains in good standing.
Another Reformed Church pastor, Rick Mysse, told the Los Angeles Times that Hour of Power has lined up more than two dozen speakers for the show, including prominent pastors like Lee Strobel and Bill Hybels.
Copyright 2008 The Associated Press.
Rivoluzione storica nella massoneria di Washington DC
L'avvocato Kwame Acquaah, originario del Ghana e cittadino americano, e' il nuovo Gran Maestro della Grand Lodge of Washington DC.
Il 'maglietto', simbolo della responsabilita', gli e' stato passato da Akram Elias che ha concluso un anno di gran maestranza all'insegna di memorabili eventi internazionali organizzati nella Capitale degli Stati Uniti dove sono convenuti per un seminario mondiale piu' di mille gran maestri e gran segretari provenienti da tutte le parti del mondo.
La cerimonia di installazione del nuovo Gran Maestro (negli Stati Uniti le cariche massoniche durano un anno ad ogni livello) si e' tenuta nell'auditorium dello Scottish Rite Temple non sufficiente ad accogliere le centinaia di fratelli massoni che sono convenuti per celebrare e festeggiare il nuovo responsabile di una delle piu' importanti Gran Logge a livello internazionale.
Si deve ricordare che la Grand Lodge of Washington comprende al suo interno anche una decina di 'officine' bilingue ognuna delle quali svolge una intensa attivita' di raccordo con il paese di riferimento. Tra queste di particolare importanza Italia Lodge #2001 che e' divenuta il ponte massonico tra la capitale degli Stati Uniti e il Grande Oriente d'Italia.
All'installazione di Kwame Acquaah numerosa la presenza della delegazione della Gran Loggia DC di Prince Hall, l'obbedienza massonica degli African Americans. Nel salutare l'uscente Akram Elias, il gran maestro della Prince Hall ha detto: "Questo e' un momento storico per la nostra istituzione e voi state facendo la storia".
L'allusione era al fatto che per la prima volta sia stato eletto un nero a capo di una grande loggia di bianchi, proprio a pochi giorni dalla installation di Barak Obama, nuovo presidente degli Stati Uniti.
Ma il nome di Kwame Acquaah non viene fuori dal cappello di qualche prestigiatore. Il nuovo Gran Maestro nero ha inziato il suo cursus dall'ultimo gradino della 'line' della Grand Lodge sette anni fa ed ogni anno e' stato confermato alla 'stazione' superiore dalla assemblea dei Fratelli, fino a raggiungere la posizione di massimo rappresentante dei massoni di Washington.
I massoni americani ogni giorno investono 2 milioni di dollari in opere di beneficenza e nella gestione di cliniche ospedaliere specializzate in grandi ustioni, ortopedia e recupero dei bambini affetti da problemi di espressione e udito.
Il 'maglietto', simbolo della responsabilita', gli e' stato passato da Akram Elias che ha concluso un anno di gran maestranza all'insegna di memorabili eventi internazionali organizzati nella Capitale degli Stati Uniti dove sono convenuti per un seminario mondiale piu' di mille gran maestri e gran segretari provenienti da tutte le parti del mondo.
La cerimonia di installazione del nuovo Gran Maestro (negli Stati Uniti le cariche massoniche durano un anno ad ogni livello) si e' tenuta nell'auditorium dello Scottish Rite Temple non sufficiente ad accogliere le centinaia di fratelli massoni che sono convenuti per celebrare e festeggiare il nuovo responsabile di una delle piu' importanti Gran Logge a livello internazionale.
Si deve ricordare che la Grand Lodge of Washington comprende al suo interno anche una decina di 'officine' bilingue ognuna delle quali svolge una intensa attivita' di raccordo con il paese di riferimento. Tra queste di particolare importanza Italia Lodge #2001 che e' divenuta il ponte massonico tra la capitale degli Stati Uniti e il Grande Oriente d'Italia.
All'installazione di Kwame Acquaah numerosa la presenza della delegazione della Gran Loggia DC di Prince Hall, l'obbedienza massonica degli African Americans. Nel salutare l'uscente Akram Elias, il gran maestro della Prince Hall ha detto: "Questo e' un momento storico per la nostra istituzione e voi state facendo la storia".
L'allusione era al fatto che per la prima volta sia stato eletto un nero a capo di una grande loggia di bianchi, proprio a pochi giorni dalla installation di Barak Obama, nuovo presidente degli Stati Uniti.
Ma il nome di Kwame Acquaah non viene fuori dal cappello di qualche prestigiatore. Il nuovo Gran Maestro nero ha inziato il suo cursus dall'ultimo gradino della 'line' della Grand Lodge sette anni fa ed ogni anno e' stato confermato alla 'stazione' superiore dalla assemblea dei Fratelli, fino a raggiungere la posizione di massimo rappresentante dei massoni di Washington.
I massoni americani ogni giorno investono 2 milioni di dollari in opere di beneficenza e nella gestione di cliniche ospedaliere specializzate in grandi ustioni, ortopedia e recupero dei bambini affetti da problemi di espressione e udito.
Arte Rupestre
(Riceviamo da Dario Seglie, Pinerolo, e volentieri pubblichiamo)
I principi contenuti nella Carta Etica per l’Arte Rupestre -stabiliti dall’Assemblea del Congresso Mondiale di Arte Rupestre “NEWS95” svoltosi al Castello Reale del Valentino di Torino nel Settembre 1995 e firmati con cerimonia solenne nel Municipio di Pinerolo dai Delegati delle principali organizzazioni di ricerca a livello mondiale, costituiscono la base normativa fatta propria dall’IFRAO, International Federation of Rock Art Organizations, NGO che raccoglie i più importanti enti che si occupano di arte rupestre in tutto il mondo, regole quindi recepite dall’UNESCO grazie all’azione di collegamento internazionale svolta dal CeSMAP, Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica di Pinerolo nell’ambito delle suddette istituzioni.
Alla Carta Etica si ispirano i Codici Deontologici dei principali organismi di ricerca dell’arte rupestre. L’IFRAO, nell’Assemblea Generale svoltasi nel Luglio 2000 ad Alice Springs, Australia, ha promulgato un documento che può essere considerato una sorta di “regolamento generale” per disciplinare in dettaglio le ricerche nel campo.
In particolare viene richiamato il principio che -in ogni Paese- le ricerche devono essere attuate nel completo rispetto della legislazione vigente, federale, statale, regionale, e sviluppate in sintonia con le autorità preposte.
Occorre evidenziare come le direttive internazionali rilevino la inderogabilità di escludere ogni attività di scavo e di interferenza ambientale nei siti di arte rupestre, fatti salvi gli interventi previsti dal piano archeologico territoriale e puntualmente autorizzati.
Queste normative, peraltro esistenti anche nella legislazione di molti Stati, devono essere considerate di vitale importanza per i beni culturali e richiedono una osservanza diligente e scrupolosa.
Purtroppo si deve considerare -con rammarico- come le suddette prescrizioni siano trascurate ed infrante innumerevoli volte in tutti i continenti.
L’asportazione e dispersione di strati di deposito terroso in connessione con le rocce recanti petroglifi è stata attuata lungamente e largamente ad es. nei distretti alpini ed anche in Valcamonica, area di sommo interesse archeologico e paletnologico, dichiarata patrimonio intangibile dell’umanità ed inserita nella World Heritage List dall’UNESCO, fin dalla fine degli anni ’970.
In questa Valle, che sta diventando un modello di management dei beni culturali, grazie all’opera di indirizzo e coordinamento che sta attuando la Soprintendenza Archeologica della Lombardia, non senza difficoltà create anche dalla quantità ed eterogeneità degli enti territoriali presenti nell’area, gli interventi archeologici di scavo -in senso stretto- nei siti rupestri sono ancora oggi abbastanza scarsamente attuati.
Viceversa, in passato, le opere di sterramento tout court sono state realizzate in abbondanza, come regola dichiarata per mettere in luce le figure rupestri sepolte e, contemporaneamente, distruggendo irrimediabilmente i depositi che giacevano alla base, attorno e sopra le rocce incise, senza rilevare alcun dato geologico, pedologico, archeologico del sito, come conseguenza di una sostanziale banalizzazione e riduzione semplicistica degli obiettivi della ricerca che, anziché globale, a volte non raggiunge neppure la soglia della dignità scientifica.
Alcuni esempi di specifici –autorizzati e legittimi- interventi geologico-archeologici, attuati su depositi associati a monumenti rupestri alpini mettono in evidenza la fecondità e validità di queste azioni, con le quali si raccolgono quantità sorprendenti di dati che è possibile, doveroso e necessario raccogliere nei contesti di arte rupestre.
Per le Alpi Occidentali, ad esempio, gli scavi programmati ed attuati dal CeSMAP, sotto l’egida della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, nel sito di Roccio Velho in Val Chisone, Italia, hanno fornito molti dati sulla frequentazione antropica dell’area fin dall’Età del Rame.
Il furto, i vandalismi e la distruzione del patrimonio costituito dai siti di arte rupestre continuano ad essere perpetrati in varie parti del mondo, in ogni continente, anche in Europa ed in Italia.
Le responsabilità si collocano a vari livelli: internazionali, nazionali e locali ed in capo a varie categorie di persone: governanti, funzionari, ricercatori ed operatori, insegnanti, ecc.
L’ignoranza, l’indifferenza politica ed il carente senso civico sono il principale varco attraverso il quale avanza il vandalismo ed il trafugamento privato del patrimonio culturale della collettività.
Poiché i ricercatori costituiscono una élite, vi è una ragione in più perché il mondo della ricerca, in Europa come altrove, debba dimostrarsi coeso e coordinato, per continuare ad essere il paladino della conservazione e l’alfiere della conoscenza per le generazioni future.
Dario Seglie
IFRAO-UNESCO Liaison Officer; Direttore CeSMAP, Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica, Pinerolo; Politecnico di Torino, Dpt. Museografia
I principi contenuti nella Carta Etica per l’Arte Rupestre -stabiliti dall’Assemblea del Congresso Mondiale di Arte Rupestre “NEWS95” svoltosi al Castello Reale del Valentino di Torino nel Settembre 1995 e firmati con cerimonia solenne nel Municipio di Pinerolo dai Delegati delle principali organizzazioni di ricerca a livello mondiale, costituiscono la base normativa fatta propria dall’IFRAO, International Federation of Rock Art Organizations, NGO che raccoglie i più importanti enti che si occupano di arte rupestre in tutto il mondo, regole quindi recepite dall’UNESCO grazie all’azione di collegamento internazionale svolta dal CeSMAP, Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica di Pinerolo nell’ambito delle suddette istituzioni.
Alla Carta Etica si ispirano i Codici Deontologici dei principali organismi di ricerca dell’arte rupestre. L’IFRAO, nell’Assemblea Generale svoltasi nel Luglio 2000 ad Alice Springs, Australia, ha promulgato un documento che può essere considerato una sorta di “regolamento generale” per disciplinare in dettaglio le ricerche nel campo.
In particolare viene richiamato il principio che -in ogni Paese- le ricerche devono essere attuate nel completo rispetto della legislazione vigente, federale, statale, regionale, e sviluppate in sintonia con le autorità preposte.
Occorre evidenziare come le direttive internazionali rilevino la inderogabilità di escludere ogni attività di scavo e di interferenza ambientale nei siti di arte rupestre, fatti salvi gli interventi previsti dal piano archeologico territoriale e puntualmente autorizzati.
Queste normative, peraltro esistenti anche nella legislazione di molti Stati, devono essere considerate di vitale importanza per i beni culturali e richiedono una osservanza diligente e scrupolosa.
Purtroppo si deve considerare -con rammarico- come le suddette prescrizioni siano trascurate ed infrante innumerevoli volte in tutti i continenti.
L’asportazione e dispersione di strati di deposito terroso in connessione con le rocce recanti petroglifi è stata attuata lungamente e largamente ad es. nei distretti alpini ed anche in Valcamonica, area di sommo interesse archeologico e paletnologico, dichiarata patrimonio intangibile dell’umanità ed inserita nella World Heritage List dall’UNESCO, fin dalla fine degli anni ’970.
In questa Valle, che sta diventando un modello di management dei beni culturali, grazie all’opera di indirizzo e coordinamento che sta attuando la Soprintendenza Archeologica della Lombardia, non senza difficoltà create anche dalla quantità ed eterogeneità degli enti territoriali presenti nell’area, gli interventi archeologici di scavo -in senso stretto- nei siti rupestri sono ancora oggi abbastanza scarsamente attuati.
Viceversa, in passato, le opere di sterramento tout court sono state realizzate in abbondanza, come regola dichiarata per mettere in luce le figure rupestri sepolte e, contemporaneamente, distruggendo irrimediabilmente i depositi che giacevano alla base, attorno e sopra le rocce incise, senza rilevare alcun dato geologico, pedologico, archeologico del sito, come conseguenza di una sostanziale banalizzazione e riduzione semplicistica degli obiettivi della ricerca che, anziché globale, a volte non raggiunge neppure la soglia della dignità scientifica.
Alcuni esempi di specifici –autorizzati e legittimi- interventi geologico-archeologici, attuati su depositi associati a monumenti rupestri alpini mettono in evidenza la fecondità e validità di queste azioni, con le quali si raccolgono quantità sorprendenti di dati che è possibile, doveroso e necessario raccogliere nei contesti di arte rupestre.
Per le Alpi Occidentali, ad esempio, gli scavi programmati ed attuati dal CeSMAP, sotto l’egida della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, nel sito di Roccio Velho in Val Chisone, Italia, hanno fornito molti dati sulla frequentazione antropica dell’area fin dall’Età del Rame.
Il furto, i vandalismi e la distruzione del patrimonio costituito dai siti di arte rupestre continuano ad essere perpetrati in varie parti del mondo, in ogni continente, anche in Europa ed in Italia.
Le responsabilità si collocano a vari livelli: internazionali, nazionali e locali ed in capo a varie categorie di persone: governanti, funzionari, ricercatori ed operatori, insegnanti, ecc.
L’ignoranza, l’indifferenza politica ed il carente senso civico sono il principale varco attraverso il quale avanza il vandalismo ed il trafugamento privato del patrimonio culturale della collettività.
Poiché i ricercatori costituiscono una élite, vi è una ragione in più perché il mondo della ricerca, in Europa come altrove, debba dimostrarsi coeso e coordinato, per continuare ad essere il paladino della conservazione e l’alfiere della conoscenza per le generazioni future.
Dario Seglie
IFRAO-UNESCO Liaison Officer; Direttore CeSMAP, Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica, Pinerolo; Politecnico di Torino, Dpt. Museografia
George & Laura e i dispettucci contro Obama
La Casa Bianca ha fatto sapere a Obama che non intende autorizzare il trasloco della sua famiglia nella Blair Hose richiesto per il 5 di gennaio per consentire alle figlie del presidente eletto di frequentare le nuove classi. La Blair House e' un insieme di quattro town houses per un totale di 14 suites, decine di bagni, camere per il personale di servizio, palestra, parrucchiere. In questo complesso a un passo dalla Casa Bianca vengono alloggiate personalita' in visita al presidente. Anche se l'amministrazione Bush si e' rifiutata di dare dettagli sugli impegni gia' presi per ospitare ospiti del presidente in visita a Washington, non risulta che in calendario siano previsti arrivi. Si tratta quidi di un dispetto che Bush e soci hanno voluto fare al presidente entrante. La Blair House sara disponibile per la famiglia Obama solo il 15 gennaio a pochi giorni dalla Installation.
Piove sulla stampa americana
Piove sul bagnato della stampa americana. Il New York Times ha la polmonite e ha ipotecato la nuova sede progettata da Renzo Piano.
Ma chi sta peggio è la Chicago Tribune Co. Sam Zell, uno tra gli uomini più ricchi d’America, l’anno scorso ha deciso di comprare il Gruppo che controlla il Chicago Tribune e il Los Angeles Times, oltre a televisioni, radio e la squadra dei Chicago Cubs.
Bene: oggi Sam Zell è ricorso al chapter 11 della bancarotta americana che corrisponde alla nostra amministrazione controllata.
Ma per sua sfortuna Sam Zell, il giorno dopo la dichiarazione di insolvenza, è balzato di nuovo sulle prime pagine dei media americani. Il procuratore generale Patrick Fitzgerald ha fatto mettere in catene il governatore dell’Illinois Rod Blagojevich che voleva vendere il posto senatoriale lasciato libero dal presidente Barack Obama.
Questo personaggio è un tipo che il Chicago Tribune ha messo sotto osservazione da tempo. Al punto che il governatore aveva chiamato Sam Zell, il proprietario, sollecitando il licenziamento immediato dell’autore di quegli articoli.
Da sempre i tentativi di mettere la mordacchia all’informazione libera da parte della politica, associata al potere economico, si succedono in ogni parte del mondo. Negli Stati Uniti, come si vede, grazie al funzionamento della giustizia, vanno a finire quasi sempre male.
Ma chi sta peggio è la Chicago Tribune Co. Sam Zell, uno tra gli uomini più ricchi d’America, l’anno scorso ha deciso di comprare il Gruppo che controlla il Chicago Tribune e il Los Angeles Times, oltre a televisioni, radio e la squadra dei Chicago Cubs.
Bene: oggi Sam Zell è ricorso al chapter 11 della bancarotta americana che corrisponde alla nostra amministrazione controllata.
Ma per sua sfortuna Sam Zell, il giorno dopo la dichiarazione di insolvenza, è balzato di nuovo sulle prime pagine dei media americani. Il procuratore generale Patrick Fitzgerald ha fatto mettere in catene il governatore dell’Illinois Rod Blagojevich che voleva vendere il posto senatoriale lasciato libero dal presidente Barack Obama.
Questo personaggio è un tipo che il Chicago Tribune ha messo sotto osservazione da tempo. Al punto che il governatore aveva chiamato Sam Zell, il proprietario, sollecitando il licenziamento immediato dell’autore di quegli articoli.
Da sempre i tentativi di mettere la mordacchia all’informazione libera da parte della politica, associata al potere economico, si succedono in ogni parte del mondo. Negli Stati Uniti, come si vede, grazie al funzionamento della giustizia, vanno a finire quasi sempre male.
Gran Torino
(Dal New York Times)
This movie has been designated a Critic's Pick by the film reviewers of The Times.
Warner Bros. Pictures
Clint Eastwood portrays a retired, bigoted Detroit autoworker in "Gran Torino."
December 12, 2008
Hope for a Racist, and Maybe a Country
By MANOHLA DARGIS
Published: December 12, 2008
Twice in the last decade, just as the holiday movie season has begun to sag under the weight of its own bloat, full of noise and nonsense signifying nothing, Clint Eastwood has slipped another film into theaters and shown everyone how it’s done. This year’s model is “Gran Torino,” a sleek, muscle car of a movie Made in the U.S.A., in that industrial graveyard called Detroit. I’m not sure how he does it, but I don’t want him to stop. Not because every film is great — though, damn, many are — but because even the misfires show an urgent engagement with the tougher, messier, bigger questions of American life.
Few Americans make movies about this country anymore, other than Mr. Eastwood, a man whose vitality as an artist shows no signs of waning, even in a nominally modest effort like “Gran Torino.” Part of this may be generational: Mr. Eastwood started as an actor in the old studio system, back when the major movie companies were still in the business of American life rather than just international properties. Hollywood made movies for export then, of course, but part of what it exported was an idea of America as a democratic ideal, an idea of greatness which, however blinkered and false and occasionally freighted with pessimism, was persuasive simply because Gene Kelly and John Wayne were persuasive.
While it’s easy to understand why the last eight years (or the last 50) have made it difficult to sell that idea to the world or even the country, it’s dispiriting that so many movies are disconnected from everyday experience, from economic worries to race. Pauline Kael used to beat up on Stanley Kramer, the director of earnest middlebrow entertainments like “Guess Who’s Coming to Dinner,” but at least these movies had a connection to real life or an idea about it. Ms. Kael also famously branded Don Siegel’s “Dirty Harry” as “deeply immoral,” even fascistic, but the film became a classic because of its ambiguous engagement with American violence and masculinity. Mr. Eastwood and a .44 Magnum did their bit too.
Dirty Harry is back, in a way, in “Gran Torino,” not as a character but as a ghostly presence. He hovers in the film, in its themes and high-caliber imagery, and of course most obviously in Mr. Eastwood’s face. It is a monumental face now, so puckered and pleated that it no longer looks merely weathered, as it has for decades, but seems closer to petrified wood. Words like flinty and steely come to mind, adjectives that Mr. Eastwood, in his performance as Walt Kowalski, expressively embodies with his usual lack of fuss and a number of growls. A former auto worker at Ford, Walt has just put his longtime wife in the ground when the story opens. From his scowl, it looks as if he would like to join her.
Instead he sits on his front porch chugging can after can of cheap beer in the company of his yellow Labrador, Daisy, watching the world at a safe distance with a squint and a stream of bitter commentary. Kept at bay, the remaining members of his family — including two sons with big houses, big cars, big waistlines — have no choice but to let him stew alone. Yet the rest of the world refuses to leave Walt be, despite his best efforts and grimace. The world first creeps into his peripheral vision, where a family of Hmong immigrants live in the rundown house next door; and then, through a series of unfortunate events, some artful and others creaking with scripted contrivance, it stages a life-altering home invasion.
Written by a newcomer, Nick Schenk, the story eases into gear with an act of desperation.Under violent threat from some Hmong gangbangers, the next-door neighbor’s teenage son, Thao (Bee Vang), tries and fails to steal Walt’s cherry 1972 Gran Torino, and in the bargain nearly loses his life to its angry, armed owner. Thao’s family, led by his mouthy, friendly sister, Sue (a very good Ahney Her), forces the teenager to do penance by working for Walt, an arrangement that pleases neither the man nor the boy. No one seems a more unlikely (or reluctant) father surrogate than Walt, a foulmouthed bigot with an unprintable epithet for every imaginable racial and ethnic group. Growling — often literally, “Grr, grr” — he resists the family’s overtures like a man under siege, walled in by years of suspicion, prejudice and habit.
Walt assumes his protector role gradually, a transformation that at first plays in an often broadly comic key. Mr. Eastwood’s loose, at times very funny performance in the early part of the film is one of its great pleasures. While some of this enjoyment can be likened to spending time with an old friend, Mr. Eastwood is also an adept director of his own performances and, perhaps more important, a canny manipulator of his own iconographic presence. He knows that when we’re looking at him, we’re also seeing Dirty Harry and the Man With No Name and all his other outlaws and avenging angels who have roamed across the screen for the last half-century. All these are embedded in his every furrow and gesture.
These spectral figures, totems of masculinity and mementos from a heroic cinematic age, are what make this unassuming film — small in scale if not in the scope of its ideas — more than just a vendetta flick or an entertainment about a crazy coot and the exotic strangers next door. As the story unfolds and the gangbangers return and Walt reaches for his gun, the film moves from comedy into drama and then tragedy and then into something completely unexpected. We’ve seen this western before, though not quite. Because this isn’t John Wayne near the end of the 20th century, but Clint Eastwood at the start of the still-new 21st, remaking the image of the hero for one more and perhaps final time, one generation of Americans making way for the next.
That probably sounds heavier than I mean, but “Gran Torino” doesn’t go down lightly. Despite all the jokes — the scenes of Walt lighting up at female flattery and scrambling for Hmong delicacies — the film has the feel of a requiem. Melancholy is etched in every long shot of Detroit’s decimated, emptied streets and in the faces of those who remain to still walk in them. Made in the 1960s and ’70s, the Gran Torino was never a great symbol of American automotive might, which makes Walt’s love for the car more poignant. It was made by an industry that now barely makes cars, in a city that hardly works, in a country that too often has felt recently as if it can’t do anything right anymore except, every so often, make a movie like this one.
Warner Bros. Pictures
Clint Eastwood portrays a retired, bigoted Detroit autoworker in "Gran Torino."
December 12, 2008
Hope for a Racist, and Maybe a Country
By MANOHLA DARGIS
Published: December 12, 2008
Twice in the last decade, just as the holiday movie season has begun to sag under the weight of its own bloat, full of noise and nonsense signifying nothing, Clint Eastwood has slipped another film into theaters and shown everyone how it’s done. This year’s model is “Gran Torino,” a sleek, muscle car of a movie Made in the U.S.A., in that industrial graveyard called Detroit. I’m not sure how he does it, but I don’t want him to stop. Not because every film is great — though, damn, many are — but because even the misfires show an urgent engagement with the tougher, messier, bigger questions of American life.
Few Americans make movies about this country anymore, other than Mr. Eastwood, a man whose vitality as an artist shows no signs of waning, even in a nominally modest effort like “Gran Torino.” Part of this may be generational: Mr. Eastwood started as an actor in the old studio system, back when the major movie companies were still in the business of American life rather than just international properties. Hollywood made movies for export then, of course, but part of what it exported was an idea of America as a democratic ideal, an idea of greatness which, however blinkered and false and occasionally freighted with pessimism, was persuasive simply because Gene Kelly and John Wayne were persuasive.
While it’s easy to understand why the last eight years (or the last 50) have made it difficult to sell that idea to the world or even the country, it’s dispiriting that so many movies are disconnected from everyday experience, from economic worries to race. Pauline Kael used to beat up on Stanley Kramer, the director of earnest middlebrow entertainments like “Guess Who’s Coming to Dinner,” but at least these movies had a connection to real life or an idea about it. Ms. Kael also famously branded Don Siegel’s “Dirty Harry” as “deeply immoral,” even fascistic, but the film became a classic because of its ambiguous engagement with American violence and masculinity. Mr. Eastwood and a .44 Magnum did their bit too.
Dirty Harry is back, in a way, in “Gran Torino,” not as a character but as a ghostly presence. He hovers in the film, in its themes and high-caliber imagery, and of course most obviously in Mr. Eastwood’s face. It is a monumental face now, so puckered and pleated that it no longer looks merely weathered, as it has for decades, but seems closer to petrified wood. Words like flinty and steely come to mind, adjectives that Mr. Eastwood, in his performance as Walt Kowalski, expressively embodies with his usual lack of fuss and a number of growls. A former auto worker at Ford, Walt has just put his longtime wife in the ground when the story opens. From his scowl, it looks as if he would like to join her.
Instead he sits on his front porch chugging can after can of cheap beer in the company of his yellow Labrador, Daisy, watching the world at a safe distance with a squint and a stream of bitter commentary. Kept at bay, the remaining members of his family — including two sons with big houses, big cars, big waistlines — have no choice but to let him stew alone. Yet the rest of the world refuses to leave Walt be, despite his best efforts and grimace. The world first creeps into his peripheral vision, where a family of Hmong immigrants live in the rundown house next door; and then, through a series of unfortunate events, some artful and others creaking with scripted contrivance, it stages a life-altering home invasion.
Written by a newcomer, Nick Schenk, the story eases into gear with an act of desperation.Under violent threat from some Hmong gangbangers, the next-door neighbor’s teenage son, Thao (Bee Vang), tries and fails to steal Walt’s cherry 1972 Gran Torino, and in the bargain nearly loses his life to its angry, armed owner. Thao’s family, led by his mouthy, friendly sister, Sue (a very good Ahney Her), forces the teenager to do penance by working for Walt, an arrangement that pleases neither the man nor the boy. No one seems a more unlikely (or reluctant) father surrogate than Walt, a foulmouthed bigot with an unprintable epithet for every imaginable racial and ethnic group. Growling — often literally, “Grr, grr” — he resists the family’s overtures like a man under siege, walled in by years of suspicion, prejudice and habit.
Walt assumes his protector role gradually, a transformation that at first plays in an often broadly comic key. Mr. Eastwood’s loose, at times very funny performance in the early part of the film is one of its great pleasures. While some of this enjoyment can be likened to spending time with an old friend, Mr. Eastwood is also an adept director of his own performances and, perhaps more important, a canny manipulator of his own iconographic presence. He knows that when we’re looking at him, we’re also seeing Dirty Harry and the Man With No Name and all his other outlaws and avenging angels who have roamed across the screen for the last half-century. All these are embedded in his every furrow and gesture.
These spectral figures, totems of masculinity and mementos from a heroic cinematic age, are what make this unassuming film — small in scale if not in the scope of its ideas — more than just a vendetta flick or an entertainment about a crazy coot and the exotic strangers next door. As the story unfolds and the gangbangers return and Walt reaches for his gun, the film moves from comedy into drama and then tragedy and then into something completely unexpected. We’ve seen this western before, though not quite. Because this isn’t John Wayne near the end of the 20th century, but Clint Eastwood at the start of the still-new 21st, remaking the image of the hero for one more and perhaps final time, one generation of Americans making way for the next.
That probably sounds heavier than I mean, but “Gran Torino” doesn’t go down lightly. Despite all the jokes — the scenes of Walt lighting up at female flattery and scrambling for Hmong delicacies — the film has the feel of a requiem. Melancholy is etched in every long shot of Detroit’s decimated, emptied streets and in the faces of those who remain to still walk in them. Made in the 1960s and ’70s, the Gran Torino was never a great symbol of American automotive might, which makes Walt’s love for the car more poignant. It was made by an industry that now barely makes cars, in a city that hardly works, in a country that too often has felt recently as if it can’t do anything right anymore except, every so often, make a movie like this one.
Etica della magistratura statunitense
Riceviamo dal nostro corrispondente a San Diego (California) Massimo Seracini e volentieri pubblichiamo:
Ieri (9/12) l'Attorney General dello Stato dell’Illinois (equivalente del Procuratore Capo di una regione italiana) ha prima fatto arrestare il Governatore, poi in diretta televisiva nazionale ha letto brani delle intercettazioni telefoniche che dimostravano l'"asta" che aveva organizzato per il posto senatoriale di Obama, che spettava a lui nominare. A commento ha aggiunto che gli esperti e navigati agenti dell'FBI che hanno scoperto questa trama criminale (rischia 30 anni di galera) sono rimasti sbigottiti e nauseati dell'audacia di questo signore e nella chiarezza delle sue richieste truffaldine ai vari interlocutori.E' un esempio di malcostume politico come esiste in ogni paese, ma quello che mi ha colpito come italiano e' la denuncia forte e pubblica di questo scandalo da parte della magistratura inquirente americana, che si e' assunta la responsabilita' di far conoscere immediatamente alla gente questo caso di malcostume e criminalita' politica, leggendo le trascrizioni delle intercettazioni che saranno usate come prove processuali, prima di fughe mediatiche.Che differenza con la magistratura nostrana che proprio in questi giorni si distingue per lotte fratricide su inchieste politiche, e che mai si e' presentata in prima persona per dimostrare alla gente quella fiducia che si aspettano dall'organo preposto alla difesa delle loro garanzie costituzionali.Quando vedremo in TV un Procuratore Capo che legge le trascrizioni di intercettazioni telefoniche che provano efferati complotti a danno dei cittadini, invece di passarle sottobanco ai media?Quest'ennesimo esempio di etica che viene, non a caso, da questo grande paese, dovrebbe far riflettere i nostri connazionali che il sistema "castale" della classe dirigente attuale, da quella politica alla magistratura, ai sindacati, ai media e' la vera "palla al piede" dell'Italia che non le permette di decollare fra i paesi di vera fede democratica, che mettono al primo posto il benessere dei cittadini e non quello della propria corporazione!
Massimo Seracini
San Diego,
California USA
Sta passando anche 'la grande abbuffata'.
Sono aumentati gli homeless, i senza casa, come conseguenza primaria della crisi che stiamo vivendo. Nelle mense gestite dalle varie istituzioni accanto a persone che chiaramente denotano di essere arrivate allo stremo, si notano anche uomini e donne che cercano di mantenere un minimo di decoro personale, ma che sono costretti a ricorrere alla carita' pubblica ed all'aiuto dei volontari per sbarcare il lunario.
Al termine dei gala da tremila persone, come quello organizzato ogni anno ad ottobre dalla National Italian American Foundation, le signore in lungo escono portando in mano i centrotavola floreali che altrimenti andrebbero buttati. Le italiane osservano scandalizzate.
I camerieri riportano in cucina vassoi interi di pietanze e contorni che verranno regolarmente gettati nella spazzatura. E sapete perche'? La risposta che ti da' il maitre e' che non possono dare quel ben di dio ai poveri perche' rischiano di essere accusati di avvelenamento o chissa' quale altro problema sanitario. E allora per evitare cause promosse da qualcuno dei 150mila avvocati che lavorano a Washington DC, meglio buttare tutto nella monnezza.
Nei ristoranti americani le porzioni sono almeno il doppio di quelle italiane. E che nessuno si provi a ridurrle. Anche in questo caso c'e' sempre qualcuno che ha l'avvocato nella fondina. Nei Deli, dove si preparano panini a richiesta del cliente, chi serve al banco usa guanti e pesa ogni componente del panino con attenzione. Perche' anche in questo caso se si provasse a mettere un po'meno di tonno o di salame, potrebbe scattare la denuncia.
Una delle abitudini americane, considerate orripilanti dagli italiani di ogni genere e classe, e' il 'doggy bag'. Ovvero: se uno non ce la fa a finire il suo piatto e si tratta magari di un bisteccone da mezzo chilo, pagato 45 dollari nel famoso ristorante specializzato in carne, tanto vale chiedere che venga messa in un sacchetto, cosi a casa si puo' imbastire un pranzo o una cena. Visto che il conto viene pagato puntualmente...
Ci sono poi quelli che non riescono a finire il contenuto del proprio piatto. Specialmente nei ristoranti dove, a prezzo fisso, si puo' mangiare tutto quello che si vuole. Ma troppo spesso gli occhi del cliente sono piu' grandi del suo stomaco. Si calcola che negli Stati Uniti oltre il 27% del cibo cucinato vada perduto.
Un ristoratore cinese di New York ha deciso di applicare un sovrapprezzo al conto di quelli che non ce la fanno a mangiare il cibo che si sono messi nel piatto servendosi al buffet. E le abitudini dei clienti si stanno modificando.
Al termine dei gala da tremila persone, come quello organizzato ogni anno ad ottobre dalla National Italian American Foundation, le signore in lungo escono portando in mano i centrotavola floreali che altrimenti andrebbero buttati. Le italiane osservano scandalizzate.
I camerieri riportano in cucina vassoi interi di pietanze e contorni che verranno regolarmente gettati nella spazzatura. E sapete perche'? La risposta che ti da' il maitre e' che non possono dare quel ben di dio ai poveri perche' rischiano di essere accusati di avvelenamento o chissa' quale altro problema sanitario. E allora per evitare cause promosse da qualcuno dei 150mila avvocati che lavorano a Washington DC, meglio buttare tutto nella monnezza.
Nei ristoranti americani le porzioni sono almeno il doppio di quelle italiane. E che nessuno si provi a ridurrle. Anche in questo caso c'e' sempre qualcuno che ha l'avvocato nella fondina. Nei Deli, dove si preparano panini a richiesta del cliente, chi serve al banco usa guanti e pesa ogni componente del panino con attenzione. Perche' anche in questo caso se si provasse a mettere un po'meno di tonno o di salame, potrebbe scattare la denuncia.
Una delle abitudini americane, considerate orripilanti dagli italiani di ogni genere e classe, e' il 'doggy bag'. Ovvero: se uno non ce la fa a finire il suo piatto e si tratta magari di un bisteccone da mezzo chilo, pagato 45 dollari nel famoso ristorante specializzato in carne, tanto vale chiedere che venga messa in un sacchetto, cosi a casa si puo' imbastire un pranzo o una cena. Visto che il conto viene pagato puntualmente...
Ci sono poi quelli che non riescono a finire il contenuto del proprio piatto. Specialmente nei ristoranti dove, a prezzo fisso, si puo' mangiare tutto quello che si vuole. Ma troppo spesso gli occhi del cliente sono piu' grandi del suo stomaco. Si calcola che negli Stati Uniti oltre il 27% del cibo cucinato vada perduto.
Un ristoratore cinese di New York ha deciso di applicare un sovrapprezzo al conto di quelli che non ce la fanno a mangiare il cibo che si sono messi nel piatto servendosi al buffet. E le abitudini dei clienti si stanno modificando.
Dopo la sesta birra...Attento Obama ai tuoi ragazzi!
The Washington Post reports that Jon Favreau, chief speechwriter for President-elect Barack Obama, was caught partying with a cardboard cutout of Hillary Clinton in some interesting Facebook photos.
Asked about the photos, Favreau, who was recently appointed director of speechwriting for the White House, declined comment. A transition official said that Favreau had "reached out to Senator Clinton to offer an apology."
The Post adds that Clinton's team is taking the matter lightly. "Senator Clinton is pleased to learn of Jon's obvious interest in the State Department, and is currently reviewing his application," said Clinton senior adviser Philippe Reines.
Dove andremo a...incominciare?
Auguri a tutti. Ma auguri di che?
Stiamo vivendo una delle peggiori crisi economiche e finanziarie con milioni di persone che hanno già perduto o stanno perdendo il posto di lavoro.
Non me la sento di fare gli auguri a George W. Bush, anche se il fair play anglosassone lo impone. Un personaggio contorto e affetto da una sfiga che è riuscito a spalmare sul resto del mondo. Adesso dichiara in una intervista televisiva a ABC che si ‘pente’ dell’Iraq, una guerra costata quasi 5mila vite di soldati americani, 35mila feriti, migliaia di matrimoni di militari andati a farsi benedire e centinaia di migliaia di morti tra gli iracheni. Ma quelli tanto non contano. Mr. Bush continua a dare la colpa della sua incauta decisione ai servizi di intelligence. Ma esiste vivaddio una responsabilità oggettiva quando uno occupa posizioni di potere. Avrebbe dovuto accorgersi a tempo debito che i suoi spioni non funzionavano. Anche se è vero, che, almeno per quanto riguarda l’attentato alle Torri ed al Pentagono gli avvertimenti gli erano stati mandati. Ma i suoi stretti collaboratori (a cominciare dalla Condolcezza Riso) avevano edulcorato le notizie per non rovinargli le sudate vacanze nel suo polveroso ranch texano. Ha permesso che il castello di carte di una finanza mordi e fuggi prosperasse nella assenza di stretti controlli che gli uomini, da lui piazzati nei posti chiave, si guardavano bene dall’attuare con la scusa che bisogna rispettare gli ‘animal spirits’ del libero mercato che trova da solo gli aggiustamenti del caso. Quanto all’ambiente e ai dimostrati pericoli di calamità meteorologiche scatenate dai disastri dell’inquinamento atmosferico si trattava solo di propaganda liberale, che da queste parti significa marxista. George che presentandosi alla Regina Elisabetta quando ancora era solo governatore del Texas, dichiarò di essere la pecora nera della famiglia, (credendo di fare lo spiritoso) è riuscito nel giro di otto anni a distruggere anche l’immagine dei Bush, cancellando quel che di buono aveva fatto suo padre nei numerosi incarichi occupati sino alla presidenza ed eliminando dalla scena politica il fratello che era considerato in famiglia l’unico intelligente. Il caso di George Bush è la dimostrazione di come si possa markettizzare un presidente come un pacco di pannolini in una società di massa. E prima che i milioni di babbioni che hanno votato e rivotato per questo concentrato di nullità si accorgessero dell’errore commesso sono passati otto anni di disastri epocali. Solo quando la crisi ha cominciato a mordere il portafoglio e le chiappe la gente comune si è chiesta che cavolo aveva fatto nelle precedenti votazioni condotte all’insegna del ‘Dio lo vuole!’ tipica bestemmia che si ritrova sulla bocca di tutti i fondamentalisti, siano essi targati musulmano o cristiano.
Auguri a Barack Hussein Obama. Stuoli di voltagabbana che fino alla vigilia delle elezioni del 4 novembre 2008 vomitavano le panzane e le ingiurie più invereconde nei confronti del 47nne candidato democratico, adesso stanno convertendosi all’insegna del “Sì, però, in fin dei conti, potrebbe essere una scelta non male. Evviva la democrazia.” Il compito di Obama è terribile. Ma almeno l’America ha cambiato cavalli. E questa è la grande forza di questa nazione. E se uno pensa che questo Paese è stato l’ultimo a importare schiavi, beh: di strada ne hanno fatta eleggendo adesso un presidente ’abbronzato’ come lo ha definito quell’incontenibile gaffeur del primo ministro italiano.
Auguri agli italiani che hanno scelto a larga maggioranza Berlusconi e la sua compagnia di giro. L’augurio è che non debbano presto pentirsene come hanno fatto gli americani con il loro Bush.
Ed un augurio speciale anche al Cavaliere. Avere raddoppiato le tasse per la televisione a pagamento colpendo sopratutto SKY, il concorrente di Mediaset, ha fatto imbestialire Mr. Murdoch. Il quale sarà pure un incallito repubblicano, ma proprio per questo al centesimo ci tiene di brutto. Ed ha dato ordine al suo amministratore delegato della SKY italiana di iniziare da subito un fuoco di sbarramento a forza di spot televisivi che al momento in cui scriviamo non è possibile sapere a quali risultati potrebbe portare. Alcune fievoli voci nel governo di centro destra hanno fatto sapere che il provvedimento potrebbe essere modificato. Mettersi contro Murdoch non è stata un’idea geniale. Il ministro italiano del tesoro, Tremonti, si è lanciato in difesa del suo imperatore dicendo che la colpa non è loro ma dell’Europa che, due anni fa, ha chiesto all’Italia di allinearsi all’aumento della tassazione e del precedente governo Prodi che aveva promesso all’Europa che lo avrebbe fatto. Ed invece è toccato il calice amaro all’ignaro Cavaliere senza macchia e senza paura. Ma le voci si rincorrono e dicono che è stata Mediaset (la corazzata mediatica del Cavaliere) a spingere con i suoi uomini sulla dirigenza UE perché fossero fatte pressioni sul governo italiano. Un alibi per giurare poi che loro non ne sanno niente anche se invece si trattava di sparare a palle incatenate contro SKY-Murdoch che all’impero televisivo di Berlusconi dà molta noia.
Auguri ai tanti che hanno perso il lavoro ed a quelli che lo perderanno nei prossimi mesi. Milioni di drammi familiari ignorati da chi ha la pancia piena e sollecita il popolo bue perché vada a fare shopping e spenda. Così si rianima l’economia, dicono gli esperti. Vallo a raccontare a chi dal mese prossimo non avrà i soldi per pagare il mutuo, la sua carta di credito è stata bloccata dalla banca, ci sono le rate da pagare della macchina, le tasse universitarie dei figli, l’assicurazione malattia non viene più pagata dalla azienda e lui e la famiglia si trovano ad incrementare quei 44 milioni di americani che non hanno alcuna copertura sanitaria.
Gli esperti americani cercano di fare i pompieri e affermano che tra questa crisi e quella della Grande Depressione le differenze sono sostanziali. Quella crisi durò 12 anni e ci volle una guerra mondiale per consentire all’America di risollevarsi. I fabbricanti e mercanti di armi anche oggi ci sperano molto perché le condizioni e le avvisaglie ci sono tutte. Ad esempio tra India e Pakistan siamo proprio sicuri che tutto sarà rimesso alla pazienza delle rispettive diplomazie dopo il massacro di Mumbai? E poi viene dato per certo che Al Qaeda organizzerà entro cinque anni un attentato di dimensioni ciclopiche, molto più devastante dell’11 settembre 2001. E allora scatterà la reazione e c’è già chi si frega le mani al pensiero.
Stiamo vivendo una delle peggiori crisi economiche e finanziarie con milioni di persone che hanno già perduto o stanno perdendo il posto di lavoro.
Non me la sento di fare gli auguri a George W. Bush, anche se il fair play anglosassone lo impone. Un personaggio contorto e affetto da una sfiga che è riuscito a spalmare sul resto del mondo. Adesso dichiara in una intervista televisiva a ABC che si ‘pente’ dell’Iraq, una guerra costata quasi 5mila vite di soldati americani, 35mila feriti, migliaia di matrimoni di militari andati a farsi benedire e centinaia di migliaia di morti tra gli iracheni. Ma quelli tanto non contano. Mr. Bush continua a dare la colpa della sua incauta decisione ai servizi di intelligence. Ma esiste vivaddio una responsabilità oggettiva quando uno occupa posizioni di potere. Avrebbe dovuto accorgersi a tempo debito che i suoi spioni non funzionavano. Anche se è vero, che, almeno per quanto riguarda l’attentato alle Torri ed al Pentagono gli avvertimenti gli erano stati mandati. Ma i suoi stretti collaboratori (a cominciare dalla Condolcezza Riso) avevano edulcorato le notizie per non rovinargli le sudate vacanze nel suo polveroso ranch texano. Ha permesso che il castello di carte di una finanza mordi e fuggi prosperasse nella assenza di stretti controlli che gli uomini, da lui piazzati nei posti chiave, si guardavano bene dall’attuare con la scusa che bisogna rispettare gli ‘animal spirits’ del libero mercato che trova da solo gli aggiustamenti del caso. Quanto all’ambiente e ai dimostrati pericoli di calamità meteorologiche scatenate dai disastri dell’inquinamento atmosferico si trattava solo di propaganda liberale, che da queste parti significa marxista. George che presentandosi alla Regina Elisabetta quando ancora era solo governatore del Texas, dichiarò di essere la pecora nera della famiglia, (credendo di fare lo spiritoso) è riuscito nel giro di otto anni a distruggere anche l’immagine dei Bush, cancellando quel che di buono aveva fatto suo padre nei numerosi incarichi occupati sino alla presidenza ed eliminando dalla scena politica il fratello che era considerato in famiglia l’unico intelligente. Il caso di George Bush è la dimostrazione di come si possa markettizzare un presidente come un pacco di pannolini in una società di massa. E prima che i milioni di babbioni che hanno votato e rivotato per questo concentrato di nullità si accorgessero dell’errore commesso sono passati otto anni di disastri epocali. Solo quando la crisi ha cominciato a mordere il portafoglio e le chiappe la gente comune si è chiesta che cavolo aveva fatto nelle precedenti votazioni condotte all’insegna del ‘Dio lo vuole!’ tipica bestemmia che si ritrova sulla bocca di tutti i fondamentalisti, siano essi targati musulmano o cristiano.
Auguri a Barack Hussein Obama. Stuoli di voltagabbana che fino alla vigilia delle elezioni del 4 novembre 2008 vomitavano le panzane e le ingiurie più invereconde nei confronti del 47nne candidato democratico, adesso stanno convertendosi all’insegna del “Sì, però, in fin dei conti, potrebbe essere una scelta non male. Evviva la democrazia.” Il compito di Obama è terribile. Ma almeno l’America ha cambiato cavalli. E questa è la grande forza di questa nazione. E se uno pensa che questo Paese è stato l’ultimo a importare schiavi, beh: di strada ne hanno fatta eleggendo adesso un presidente ’abbronzato’ come lo ha definito quell’incontenibile gaffeur del primo ministro italiano.
Auguri agli italiani che hanno scelto a larga maggioranza Berlusconi e la sua compagnia di giro. L’augurio è che non debbano presto pentirsene come hanno fatto gli americani con il loro Bush.
Ed un augurio speciale anche al Cavaliere. Avere raddoppiato le tasse per la televisione a pagamento colpendo sopratutto SKY, il concorrente di Mediaset, ha fatto imbestialire Mr. Murdoch. Il quale sarà pure un incallito repubblicano, ma proprio per questo al centesimo ci tiene di brutto. Ed ha dato ordine al suo amministratore delegato della SKY italiana di iniziare da subito un fuoco di sbarramento a forza di spot televisivi che al momento in cui scriviamo non è possibile sapere a quali risultati potrebbe portare. Alcune fievoli voci nel governo di centro destra hanno fatto sapere che il provvedimento potrebbe essere modificato. Mettersi contro Murdoch non è stata un’idea geniale. Il ministro italiano del tesoro, Tremonti, si è lanciato in difesa del suo imperatore dicendo che la colpa non è loro ma dell’Europa che, due anni fa, ha chiesto all’Italia di allinearsi all’aumento della tassazione e del precedente governo Prodi che aveva promesso all’Europa che lo avrebbe fatto. Ed invece è toccato il calice amaro all’ignaro Cavaliere senza macchia e senza paura. Ma le voci si rincorrono e dicono che è stata Mediaset (la corazzata mediatica del Cavaliere) a spingere con i suoi uomini sulla dirigenza UE perché fossero fatte pressioni sul governo italiano. Un alibi per giurare poi che loro non ne sanno niente anche se invece si trattava di sparare a palle incatenate contro SKY-Murdoch che all’impero televisivo di Berlusconi dà molta noia.
Auguri ai tanti che hanno perso il lavoro ed a quelli che lo perderanno nei prossimi mesi. Milioni di drammi familiari ignorati da chi ha la pancia piena e sollecita il popolo bue perché vada a fare shopping e spenda. Così si rianima l’economia, dicono gli esperti. Vallo a raccontare a chi dal mese prossimo non avrà i soldi per pagare il mutuo, la sua carta di credito è stata bloccata dalla banca, ci sono le rate da pagare della macchina, le tasse universitarie dei figli, l’assicurazione malattia non viene più pagata dalla azienda e lui e la famiglia si trovano ad incrementare quei 44 milioni di americani che non hanno alcuna copertura sanitaria.
Gli esperti americani cercano di fare i pompieri e affermano che tra questa crisi e quella della Grande Depressione le differenze sono sostanziali. Quella crisi durò 12 anni e ci volle una guerra mondiale per consentire all’America di risollevarsi. I fabbricanti e mercanti di armi anche oggi ci sperano molto perché le condizioni e le avvisaglie ci sono tutte. Ad esempio tra India e Pakistan siamo proprio sicuri che tutto sarà rimesso alla pazienza delle rispettive diplomazie dopo il massacro di Mumbai? E poi viene dato per certo che Al Qaeda organizzerà entro cinque anni un attentato di dimensioni ciclopiche, molto più devastante dell’11 settembre 2001. E allora scatterà la reazione e c’è già chi si frega le mani al pensiero.
Buone Feste!
- Novembre: 533 mila persone hanno perduto il posto di lavoro
- 2008: alla fine dell'anno 1.900.000 cittadini americani saranno senza lavoro.
- 2009: previsione ancora piu nera.
- I tre Big dell'auto di Detroit si sono ridotti lo stipendio ad 1 dollaro all'anno ed hanno costretto anche i loro piu' diretti collaboratori a fare altrettanto.
- Siamo sicuri che anche i presidenti delle banche e delle principali societa' italiane, nonche' i politici di primo rango, grandi ammiratori della realta' americana, vorranno fare altrettanto quanto prima per aiutare il popolo italiano che affronta con affanno le prossime Festivita'.
- Honda ha annunciato che si ritira dalla Formula Uno per fronteggiare la crisi, anche se si tratta di una azienda che produce profitti con le sue auto dai bassi consumi.
- Ford, GM e Chrysler spendono 13 miliardi di dollari ogni anno in pubblicita' per NASCAR. Si attendono analoghe decisioni.
Caporetto italiana e preoccupazioni del Tesoro
(Riceviamo da Guido Colomba e volentieri pubblichiamo)
(The Financial Review) L'Italia si è impegnata con i principali partners europei a non aumentare il gigantesco debito di 1.575 miliardi di euro pari, a fine 2006, al 106,8% del Pil. Un dato che non tiene conto del buco finanziario (almeno 12,5 miliardi) degli enti locali legato ai contratti derivati. Questo spiega il ritardo con cui il governo italiano ha messo a punto il piano di interventi anti-crisi e spiega le dichiarazioni di Tremonti: "Il debito italiano è il terzo nel mondo. Il nostro unico vincolo è il mercato finanziario" ed ha parlato di "un'ulteriore criticità che dipende dallo scenario competitivo con le crescenti emissioni di altri Paesi" come Francia, Germania e Uk. Fotografa questa situazione lo spread dei rendimenti con i titoli di stato tedeschi. Un anno fa il differenziale era pari a 28 punti (basis points). Un mese fa ha superato i 150 punti proprio in coincidenza con il varo dei piani anticrisi di Usa, Inghilterra, Germania e Francia. A quel punto per l'Italia è diventato allarme rosso. Il freno all'indebitamento deciso dal governo Berlusconi ha consentito di ridurre il differenziale da 153,0 a 110,5. Dunque, l'Europa ha preso atto dell'impegno assunto. Paradossalmente la crisi economica, nonostante il ribasso dei tassi al 2,5% deciso dalla Bce, ha messo a nudo la precarietà debitoria dell'Italia, aggravata da un diffuso ricorso ai crediti al consumo. Situazione non facile per il Tesoro che, per coprire il debito pubblico, deve fare emissioni per un ammontare di circa 100 miliardi all'anno (calcolando una duration di 16 anni) con una media mensile di 8,5 miliardi al mese. Per valutare queste cifre basti pensare che ieri, in America,è emersa una forte opposizione al salvataggio dell'industria dell'auto che chiede 34 miliardi di dollari pari a 26 miliardi di euro, equivalenti a tre mesi di emissioni di titoli di Stato italiani."Non possiamo permetterci neanche lontanamente - ha detto in merito il ministro Sacconi - che un'asta pubblica sui titoli di Stato vada deserta: ci sarebbe una carenza unica di liquidità pubblica per i pagamenti di pensioni e stipendi, saremmo all'Argentina". Altro che aiuti alle banche o detassazione della tredicesima. Siamo giunti alla Caporetto della politica italiana, dissipatrice e disinvolta come un gruppo di cicale impazzite. Più si aggrava la crisi internazionale (oggi le borse sono crollate nuovamente) più si complica il salvataggio italiano poiché diventa più difficile il "servizio" e la "copertura" del debito pubblico.
(Guido Colomba)
Fonte: (R.F. N° 482, 5/12/08 ore 14:45)
(The Financial Review) L'Italia si è impegnata con i principali partners europei a non aumentare il gigantesco debito di 1.575 miliardi di euro pari, a fine 2006, al 106,8% del Pil. Un dato che non tiene conto del buco finanziario (almeno 12,5 miliardi) degli enti locali legato ai contratti derivati. Questo spiega il ritardo con cui il governo italiano ha messo a punto il piano di interventi anti-crisi e spiega le dichiarazioni di Tremonti: "Il debito italiano è il terzo nel mondo. Il nostro unico vincolo è il mercato finanziario" ed ha parlato di "un'ulteriore criticità che dipende dallo scenario competitivo con le crescenti emissioni di altri Paesi" come Francia, Germania e Uk. Fotografa questa situazione lo spread dei rendimenti con i titoli di stato tedeschi. Un anno fa il differenziale era pari a 28 punti (basis points). Un mese fa ha superato i 150 punti proprio in coincidenza con il varo dei piani anticrisi di Usa, Inghilterra, Germania e Francia. A quel punto per l'Italia è diventato allarme rosso. Il freno all'indebitamento deciso dal governo Berlusconi ha consentito di ridurre il differenziale da 153,0 a 110,5. Dunque, l'Europa ha preso atto dell'impegno assunto. Paradossalmente la crisi economica, nonostante il ribasso dei tassi al 2,5% deciso dalla Bce, ha messo a nudo la precarietà debitoria dell'Italia, aggravata da un diffuso ricorso ai crediti al consumo. Situazione non facile per il Tesoro che, per coprire il debito pubblico, deve fare emissioni per un ammontare di circa 100 miliardi all'anno (calcolando una duration di 16 anni) con una media mensile di 8,5 miliardi al mese. Per valutare queste cifre basti pensare che ieri, in America,è emersa una forte opposizione al salvataggio dell'industria dell'auto che chiede 34 miliardi di dollari pari a 26 miliardi di euro, equivalenti a tre mesi di emissioni di titoli di Stato italiani."Non possiamo permetterci neanche lontanamente - ha detto in merito il ministro Sacconi - che un'asta pubblica sui titoli di Stato vada deserta: ci sarebbe una carenza unica di liquidità pubblica per i pagamenti di pensioni e stipendi, saremmo all'Argentina". Altro che aiuti alle banche o detassazione della tredicesima. Siamo giunti alla Caporetto della politica italiana, dissipatrice e disinvolta come un gruppo di cicale impazzite. Più si aggrava la crisi internazionale (oggi le borse sono crollate nuovamente) più si complica il salvataggio italiano poiché diventa più difficile il "servizio" e la "copertura" del debito pubblico.
(Guido Colomba)
Fonte: (R.F. N° 482, 5/12/08 ore 14:45)
CEOs alla griglia
Due settimane fa i gran capi di Ford, General Motors e Chrysler sono venuti a Washington volando ognuno su un aereo privato per essere interrogati dal comitato senatoriale delle banche. Ed hanno suscitato una ondata di proteste. Questa volta hanno percorso le 500 miglia tra Detroit e la Capitale a bordo di auto ibride da loro prodotte. E gli interventi sono stati improntati al massimo di umiltà. Il che non ha impedito che i senatori li grigliassero a dovere. I tre ex big dell’automobile, ormai con l’acqua alla gola, chiedono 38 miliardi di dollari per risollevarsi. Hanno presentato piani che prevedono la ristrutturazione delle produzioni: non più auto diverse per mercati diversi, ma modelli mondiali buoni per tutti che consentano risparmi nelle progettazioni e produzioni. General Motors ha soldi solo per arrivare alla fine del mese. Poi sarà la bancarotta che corrisponde alla nostra amministrazione controllata, prima del definitivo collasso e chiusura. I repubblicani sono i più inferociti e non sentono ragioni. Anche se non lo dichiarano, cercano di creare ulteriori problemi al presidente eletto Obama. Una posizione rigida questa che ha fatto dire al presidente del comitato senatoriale, il democratico Dodd che non si capisce perché siano stati concessi centinaia di miliardi di dollari per salvare banche e istituzioni finanziarie mentre all’industria dell’auto (che garantisce un posto di lavoro su dieci in America) si nega un aiuto che al confronto sembra insignificante.
" Album di Famiglia": un libro da non perdere
In vendita presso:
http://www.ediorso.it/
http://www.ibs.it/
e in libreria Il libro
Album di famiglia
Romanzo visuale
di Anna Maltese
Edizioni dell’Orso, 2008
“Stanno seduti sotto il tiglio, nel Giardino del Salve, al sommo della rampa che dal borgo antico porta al castello. Qualcuno scattò la fotografia…”
Così comincia questa saga familiare, che si svolge sullo sfondo dei fatti che hanno scandito la storia d’Italia dal 1870 al 1945.
Un castello nel Monferrato, tre donne, tre generazioni, e un centinaio di personaggi minori in un vasto affresco che porta in primo piano vite individuali e vicende umane, sentimenti personali e temi universali. Le vite delle protagoniste, banali in apparenza, ma tragiche nell’inesorabile degrado che le accompagna, si svolgono in un contesto corale che include: i signori del castello e gli abitanti del paese, imprenditori industriali e agitatori socialisti, dive del muto e sartine torinesi, ufficiali americani nella Grande Guerra, sbirri fascisti e vittime del regime, un lestofante e una prostituta onesta, una sciantosa napoletana, un principe russo, una suora virtuosa, una poetessa libertina, un discendente di Sir Walton il pirata, una banda di partigiani, un prete populista, una troupe di attori e persino un leopardo domestico.
L’autrice ha voluto indicare nel sottotitolo che si tratta di “romanzo visuale,” poiché la narrativa prende lo spunto da fotografie di famiglia (solo una è fisicamente presente nel testo). L’elemento visuale—che include anche cinema, teatro, pittura—è un leit-motif lungo il percorso narrativo, ed ha la funzione di sottolineare la labilità delle immagini, incluse quelle letterarie, e, di conseguenza, di mettere in dubbio la veridicità della narrazione.
La voce narrativa, in prima persona, dichiara una conoscenza approssimativa dei fatti, raccolti da memorie personali, racconti di vari personaggi, documenti e lettere, completati dall’immaginazione là dove manca la documentazione (anche questa, peraltro, fittizia).
Pur ricalcando schemi convenzionali del romanzo ottocentesco, la narratrice sottolinea la modernità del testo con costanti ammiccamenti al lettore, che consistono nella mancanza di trama, discontinuità cronologica, jump cuts, azione piuttosto che psicologia, dialogo piuttosto che monologo interiore e riferimenti letterari indiretti. Il tono prevalente è, quindi, ironico, il che permette di mantenere la distanza tra realtà e rappresentazione, tra fatti e discorso. Ma si tratta di ironia bonaria. La narratrice è compartecipe dei drammi e delle vicissitudini dei personaggi, senza mai cadere nel sentimentalismo melenso. Questa tecnica di scrittura permette di svolgere il discorso su un piano leggero, spesso umoristico, ma allo stesso tempo consente di non perdere mai di vista il sottofondo tragico che permea il tessuto del romanzo.
L’autrice
Anna Maltese Lawton ha un PhD in letteratura russa dell’Università di Los Angeles (UCLA) e insegna corsi di cultura visuale e cinema alla Georgetown University a Washington D.C. Ha scritto libri e curato volumi su questi temi, oltre a numerosi articoli e saggi. Il suo libro più recente è Imaging Russia 2000: Film and Facts che, in un genere ibrido, combina critica cinematografica, giornalismo e narrativa, per rendere un quadro vivo della realtà russa contemporanea—realtà che l’autrice conosce di prima mano, avendo passato cinque anni a Mosca. Il libro ha ricevuto il premio CHOICE, quale Outstanding Academic Title 2005. La Maltese fa ora il suo debutto in narrativa con il romanzo Album di famiglia.
Italiana d’origine, Anna Maltese passò l’infanzia e l’adolescenza tra Torino e le colline del Monferrato. La sua famiglia fu proprietaria del Castello di Cortanze per più di mezzo secolo, ed è quello il luogo che ispirò il presente romanzo. Il nonno, Achille Bologna, fu un noto fotografo d’arte e codirettore del Corriere Fotografico. La sua figura e la sua opera hanno provveduto spunti per il personaggio del “fotografo” nel romanzo.
Recentemente, la Maltese si e’ data anche all’editoria e ha fondato a Washington la casa editrice New Academia Publishing (www.newacademia.com).
http://www.ediorso.it/
http://www.ibs.it/
e in libreria Il libro
Album di famiglia
Romanzo visuale
di Anna Maltese
Edizioni dell’Orso, 2008
“Stanno seduti sotto il tiglio, nel Giardino del Salve, al sommo della rampa che dal borgo antico porta al castello. Qualcuno scattò la fotografia…”
Così comincia questa saga familiare, che si svolge sullo sfondo dei fatti che hanno scandito la storia d’Italia dal 1870 al 1945.
Un castello nel Monferrato, tre donne, tre generazioni, e un centinaio di personaggi minori in un vasto affresco che porta in primo piano vite individuali e vicende umane, sentimenti personali e temi universali. Le vite delle protagoniste, banali in apparenza, ma tragiche nell’inesorabile degrado che le accompagna, si svolgono in un contesto corale che include: i signori del castello e gli abitanti del paese, imprenditori industriali e agitatori socialisti, dive del muto e sartine torinesi, ufficiali americani nella Grande Guerra, sbirri fascisti e vittime del regime, un lestofante e una prostituta onesta, una sciantosa napoletana, un principe russo, una suora virtuosa, una poetessa libertina, un discendente di Sir Walton il pirata, una banda di partigiani, un prete populista, una troupe di attori e persino un leopardo domestico.
L’autrice ha voluto indicare nel sottotitolo che si tratta di “romanzo visuale,” poiché la narrativa prende lo spunto da fotografie di famiglia (solo una è fisicamente presente nel testo). L’elemento visuale—che include anche cinema, teatro, pittura—è un leit-motif lungo il percorso narrativo, ed ha la funzione di sottolineare la labilità delle immagini, incluse quelle letterarie, e, di conseguenza, di mettere in dubbio la veridicità della narrazione.
La voce narrativa, in prima persona, dichiara una conoscenza approssimativa dei fatti, raccolti da memorie personali, racconti di vari personaggi, documenti e lettere, completati dall’immaginazione là dove manca la documentazione (anche questa, peraltro, fittizia).
Pur ricalcando schemi convenzionali del romanzo ottocentesco, la narratrice sottolinea la modernità del testo con costanti ammiccamenti al lettore, che consistono nella mancanza di trama, discontinuità cronologica, jump cuts, azione piuttosto che psicologia, dialogo piuttosto che monologo interiore e riferimenti letterari indiretti. Il tono prevalente è, quindi, ironico, il che permette di mantenere la distanza tra realtà e rappresentazione, tra fatti e discorso. Ma si tratta di ironia bonaria. La narratrice è compartecipe dei drammi e delle vicissitudini dei personaggi, senza mai cadere nel sentimentalismo melenso. Questa tecnica di scrittura permette di svolgere il discorso su un piano leggero, spesso umoristico, ma allo stesso tempo consente di non perdere mai di vista il sottofondo tragico che permea il tessuto del romanzo.
L’autrice
Anna Maltese Lawton ha un PhD in letteratura russa dell’Università di Los Angeles (UCLA) e insegna corsi di cultura visuale e cinema alla Georgetown University a Washington D.C. Ha scritto libri e curato volumi su questi temi, oltre a numerosi articoli e saggi. Il suo libro più recente è Imaging Russia 2000: Film and Facts che, in un genere ibrido, combina critica cinematografica, giornalismo e narrativa, per rendere un quadro vivo della realtà russa contemporanea—realtà che l’autrice conosce di prima mano, avendo passato cinque anni a Mosca. Il libro ha ricevuto il premio CHOICE, quale Outstanding Academic Title 2005. La Maltese fa ora il suo debutto in narrativa con il romanzo Album di famiglia.
Italiana d’origine, Anna Maltese passò l’infanzia e l’adolescenza tra Torino e le colline del Monferrato. La sua famiglia fu proprietaria del Castello di Cortanze per più di mezzo secolo, ed è quello il luogo che ispirò il presente romanzo. Il nonno, Achille Bologna, fu un noto fotografo d’arte e codirettore del Corriere Fotografico. La sua figura e la sua opera hanno provveduto spunti per il personaggio del “fotografo” nel romanzo.
Recentemente, la Maltese si e’ data anche all’editoria e ha fondato a Washington la casa editrice New Academia Publishing (www.newacademia.com).
Neri d'America
Ogni anno i presidenti americani dichiarano il febbraio come il mese della storia nazionale African-American. E quest’anno ad inaugurare il fatidico mese di febbraio dedicato alla storia dei neri d’America sarà il primo presidente nero.
Sono 40.7 milioni i neri residenti in America pari al 13.5 % dei 300 milioni di abitanti nella Federazione con un aumento di mezzo milione di unità rispetto all’anno passato. Nel 2050 i neri saliranno a 66 milioni secondo le ultime proiezioni. La presenza degli African Americans nei 50 stati è andata aumentando in maniera considerevole negli ultimi anni. Nel Mississippi il 38% della popolazione è nera. Ma se si considera la capitale degli Stati Uniti, il Distretto di Columbia da cui vi parlo, la percentuale sale al 56%.
Sotto le armi ci vanno soprattutto i neri. Infatti il numero dei veterani neri è salito a 2.4 milioni. Aumenta il livello di istruzione con un quasi 20% di laureati o muniti di diploma di scuola media superiore.
Aumenta anche il numero di imprenditori neri che gestiscono imprese con più di un milione di dollari all’anno di fatturato.
Purtroppo resta invariato il rapporto di povertà che rimane sul 24.5% e rimane stabile al 19.5% il numero dei neri che non hanno assicurazione sanitaria.
Il nuovo Gran Maestro della Gran Loggia massonica di Washington è stato eletto da qualche giorno. Ed è un avvocato nero.
Ed anche questa è America.
Per il GR2
Oscar Bartoli
Washington DC
Sono 40.7 milioni i neri residenti in America pari al 13.5 % dei 300 milioni di abitanti nella Federazione con un aumento di mezzo milione di unità rispetto all’anno passato. Nel 2050 i neri saliranno a 66 milioni secondo le ultime proiezioni. La presenza degli African Americans nei 50 stati è andata aumentando in maniera considerevole negli ultimi anni. Nel Mississippi il 38% della popolazione è nera. Ma se si considera la capitale degli Stati Uniti, il Distretto di Columbia da cui vi parlo, la percentuale sale al 56%.
Sotto le armi ci vanno soprattutto i neri. Infatti il numero dei veterani neri è salito a 2.4 milioni. Aumenta il livello di istruzione con un quasi 20% di laureati o muniti di diploma di scuola media superiore.
Aumenta anche il numero di imprenditori neri che gestiscono imprese con più di un milione di dollari all’anno di fatturato.
Purtroppo resta invariato il rapporto di povertà che rimane sul 24.5% e rimane stabile al 19.5% il numero dei neri che non hanno assicurazione sanitaria.
Il nuovo Gran Maestro della Gran Loggia massonica di Washington è stato eletto da qualche giorno. Ed è un avvocato nero.
Ed anche questa è America.
Per il GR2
Oscar Bartoli
Washington DC
Leo Lagorio Big Band
Leo Lagorio is the leader of 'Jazz Ambassadors' big band.
'Profili di Liguria' is a jazz composition of Leo Lagorio.
The images are those of 'Dolce Acqua' a beautiful medieval village in the Italian region of Liguria.
'Profili di Liguria' is a jazz composition of Leo Lagorio.
The images are those of 'Dolce Acqua' a beautiful medieval village in the Italian region of Liguria.
Subscribe to:
Posts (Atom)