30/04/2013 12.54.33
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di Guido Colomba
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(The Financial Review n 748) Riuscirà Saccomanni a cambiare la gestione della politica economica dopo gli infausti risultati di Tremonti e Grilli? Le credenziali di Saccomanni sono ottime ma gli ostacoli sono tanti. Partiamo dai dati della Bce. Le banche italiane detengono titoli di stato per 390 miliardi di euro ed hanno utilizzato i crediti concessi dalla Bce per acquistarne un totale di 180 miliardi. Se si considera il riacquisto di obbligazioni proprie si arriva all'assurdo che pressoché tutto il credito Bce (255 miliardi netti) è stato utilizzato per fare profitti acquistando Btp e togliendo il Tesoro dall'impaccio. Si potrebbe replicare che fare utili è un atto dovuto e non certo scandaloso. Resta il fatto che il credito alle imprese e alle famiglie è diminuito nel 2012 di pari passo con la crescita delle sofferenze (in merito le regole di Basilea non aiutano). Ma qui sta il punto. Come hanno dimostrato gli economisti e premi Nobel, Krugman e Stiglitz, il rigore non favorisce la crescita e colpisce i cittadini più deboli. Il "credit crunch" ha solo accentuato la crisi delle imprese (59 fallimenti al giorno da inizio anno) e delle famiglie (il credito al consumo costa il 13%) alimentando così il circolo vizioso dei mancati pagamenti alle banche creditrici. Un dato aggravato dai 90 miliardi di debiti che la PA ha nei confronti delle imprese. Nonostante il tardivo decreto varato in tutta fretta dal governo Monti, subito approvato dal nuovo Parlamento, finora i pochissimi pagamenti effettuati da alcuni Comuni (il termine per fotografare i debiti è scaduto proprio oggi) equivalgono a polvere nel deserto. Eppure la Cassa depositi e prestiti ha fatto una proposta precisa che, se recepita, potrebbe risolvere da subito il problema determinando un aumento del Pil di almeno un punto e mezzo. La Spagna in soli tre mesi ha rimborsato alle imprese 26,5 miliardi pari al 3% del Pil. Il problema è dunque culturale. C'è una classe dirigente ai vertici delle istituzioni che ignora il concetto di politica industriale e si nasconde dietro un burocratese che paralizza il Paese. Gli ultimi dieci anni hanno esaltato questa ideologia della "non crescita" con l'aggravante che il costo della macchina dello Stato è aumentato di 200 miliardi mentre il potere di acquisto reale è diminuito di 6,5% (dati del FMI) confermando la totale indifferenza della dirigenza statale ai problemi dei cittadini ( "Discontinuità significa anche cambiare finalmente la squadra che da anni guida il ministero dell'Economia all'insegna del primum non fare"- Il Sole-24Ore del 28 aprile). Ecco perché, il viaggio-lampo in Europa che il neopresidente Enrico Letta intraprende quest'oggi ha una importanza quasi decisiva per avviare l'imponente programma di cambiamenti annunciato al Parlamento stimato in circa 20 miliardi di euro. La copertura di questa enorme cifra passa anche nella ricetta del nuovo ministro dell'economia Saccomanni basata su un mix di riduzione degli sprechi (compresi i costi della politica) per tagliare le tasse e da una decisa azione per la riduzione del costo del lavoro con forti esenzioni fiscali a favore dei giovani il cui tasso di disoccupazione si approssima al 40%. Tutto ciò comporta un allentamento, già concesso alla Spagna, del fiscal compact. Di certo il vento è cambiato anche in Europa. E' probabile che Enrico Letta riesca a convincere la Cancelliera Merkel sulla bontà di questa "politica della crescita" fondata sulla fiducia, sulla verità e sul mantenimento dell'avanzo primario. Un approccio assai gradito sia a Washington che in Europa. Come sempre i primi cento giorni del nuovo governo saranno decisivi. La discesa dello spread a 270 basis points e il rialzo delle Borse confermano che l'equity risk analysis è entrato in una nuova fase fondata sull'ottimismo Un dato a tutto favore del neo premier, il più giovane della storia italiana del dopoguerra. (Guido Colomba)
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