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Guerra Fredda, di nuovo?



Alberto Pasolini Zanelli
Obama ha disdetto l’appuntamento e, di conseguenza, il “vertice”. La cancellazione di un summit russo-americano può spingere l’immaginazione dentro a ricordi dell’era della Guerra Fredda, per esempio a un mancato summit di mezzo secolo fa, che fu cancellato a causa di una spia: il pilota di un U2 americano che andava a spasso per i cieli dell’Unione Sovietica e fu abbattuto. Anche questa volta c’è una spia americana in Russia. Si chiama Edward Snowden ma ci si trova come rifugiato politico ed è ricercato dal proprio Paese perché ha rivelato prima di tutto all’America segreti dello spionaggio americano. Una situazione un po’ paradossale ma che si spiega con i “progressi” delle tecnologie d’avanguardia che vanno distruggendo quel che restava della privacy. E contro cui si levano proteste universali: quelle finte, o perlomeno sproporzionate, dei Paesi europei che si dicono sorpresi (e magari anche indignati, come nel caso della Germania) da pratiche tutt’altro che nuove. La Russia ha concesso asilo al transfuga, “rubando” atteggiamenti e spiegazioni che erano, ai tempi della Guerra Fredda, quelle degli americani, difensori della privacy contro i metodi dei regimi totalitari. Oggi i ruoli sembrano capovolti e la situazione è ingarbugliata al punto che anche Obama è costretto a dare un segnale di malumore, che non avrà conseguenze pratiche, anche perché l’uomo della Casa Bianca, se non andrà a Mosca per un colloquio bilaterale a conclusione del vertice del G20 a Sanpietroburgo, si incontrerà egualmente con Putin in quella sede.
Potranno esserci, naturalmente, delle conseguenze, non solo in un ritardo del calendario del dialogo, ma anche, per esempio, in una cresciuta opposizione nel Congresso di Washington al completamento di un accordo per un’ulteriore riduzione degli armamenti nucleari ma anche, per esempio, in ostacoli che, su “consiglio” del Cremlino, il Tagikistan potrebbe porre il ritiro, previsto attraverso il suo territorio, delle truppe americane dall’Afghanistan. E sfociare in una loro formulazione del contrasto fra le due ex rivali della Guerra Fredda a proposito della Siria dove, come è noto, Putin appoggia il regime di Assad mentre l’America ha incoraggiato i ribelli, almeno fino al momento in cui si è convinta che nel loro campo predominano gli estremisti “parenti” dei talebani e ideologicamente “fratelli” di Al Qaida.
Prima o poi, comunque, il dialogo dovrà riprendere. La Guerra Fredda non tornerà. I protagonisti vivono in un mondo diverso da quello di Eisenhower e di Krusciov. Anche perché il “caso” di Edward Snowden sembra agitare in questo momento le acque della politica interna Usa assai di più di quelle delle relazioni internazionali. Quando era la professione di Putin lo spionaggio era rudimentale in paragone a quello che si può esercitare, e si esercita, adesso. Il vero problema per Obama non le relazioni internazionali bensì quelle interne. Contro ogni previsione in America sta montando una rivolta contro i sistemi di spionaggio americani, non tanto rivolti ad altri Paesi quanto proprio “dentro”, sui cittadini Usa. Si muove l’opinione pubblica, si muove la stampa, si muove il Congresso. Escono editoriali che dicono basta alla violazione dei diritti dei cittadini. Cresce, anche se ancora minoritaria, la simpatia per gli autori delle indiscrezioni: quelli rifugiati all’estero come Assange e Snowden e quelli sotto processo come Manning, su cui incombe un secolo e più di prigione. “Non tutte le rivelazioni sono gesti di tradimento”, intitola un quotidiano amico dei “falchi” come la Washington Post. E alla Camera una serie di emendamenti ormai settimanali va sempre più vicino a raccogliere la maggioranza. La divisione non è più fra democratici e repubblicani ma passa all’interno dei due partiti. Cento parlamentari colleghi di Obama votano per proposte di contestazione, e così quasi altrettanti repubblicani. Sono questi ultimi, anzi, a prendere più spesso l’iniziativa, da Rand Paul, candidato alla Casa Bianca per il 2016 a Jim Sensenbrenner, un conservatore che nel 2001 fu tra gli autori del “Patriot Act”, la draconiana legge firmata da George W. Bush per una guerra senza tregua al terrorismo. Oggi Sensenbrenner dice che “si è andati troppo in là” e che è ora di tornare al rispetto delle prerogative costituzionali. Questa è la partita per Obama delle prossime settimane e mesi. Non lo scambio di dispetti con Putin.