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“il nemico del mio nemico è mio amico”



Alberto Pasolini Zanelli
Fino ad oggi il 2015 era stato l’“anno delle sette guerre”. Forse erano anche di più, ma così intricate e con un motivo conduttore e un protagonista, quello islamico, impegnato dall’Afghanistan al Maghreb, dall’Africa Nera alle frontiere settentrionali del Medio Oriente, con al centro l’Irak e soprattutto la Siria. E poi c’era l’altra guerra, estranea, aliena, nazionalista e non religiosa. Europea. La si combatte in Ucraina, riguarda essenzialmente la Russia. Ebbene oggi le sette guerre si sono riunite con quel conflitto solitario. I “combattenti islamici” sono attivi sul “fronte” ucraino. Combattono contro i ribelli russofoni nella parte orientale del Paese, soprattutto nel settore attorno alla città “strategica” di Mariupol. Sono in prima linea, pare siano guerrieri scelti. Non si nascondono, anzi amano si parli di loro. Dichiarano di avere un’“ideologia”, quella islamica, che condividono con i tagliagole dell’Isis e, in modo anche più organico, con Al Qaida. Hanno soprattutto un nemico, la Russia. Sono alleati con l’Ucraina e con le sue eterogenee forze militari, dall’esercito “ufficiale” agli ordini del governo di Kiev, alle “brigate” ideologiche, che comprendono anche resti di antichi rancori risalenti alla Seconda guerra mondiale, o genericamente di estrema destra o dichiaratamente nazisti.
La collaborazione eterogenea pare funzionare, anche quando è estesa alla minoranza tartara in Crimea. La “colla” è comunque religiosa, ma ha anche forti componenti nazionali o etniche: la maggior parte degli arruolamenti avviene in Cecenia, patria di una stirpe guerriera in guerra con Mosca da secoli e che ne ha condotti due “capitoli” dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, nel tentativo di trasformare l’“autonomia” concessa dal primo regime post sovietico, quello di Eltsin negli anni Novanta e poi quella più nazionalista e “dura” di Vladimir Putin. Questa seconda Russia ha prevalso nei primi anni di questo secolo, ma la guerra non è finita. Continua in forma di guerriglia, estendendo i propri termini geografici. I ceceni non si battono più in nome della Cecenia ma di tutte le stirpi islamiche del Caucaso e quelle zone della Russia meridionale, geograficamente prossime, ove risiedono considerevoli minoranze etniche derivate dagli ex Emirati musulmani. Una guerra antica, che ebbe il suo apice al disfacimento dell’Unione Sovietica, interpretata dagli estremisti come il momento di massima debolezza dello Stato russo. Vi si consumò buona parte del prestigio del riformatore Boris Eltsin, aprendo così la strada all’autorità di Vladimir Putin, che vinse sul terreno servendosi di una dura repressione e inevitabilmente seminando i vermi di nuovi rancori. Le ostilità mai cessate del tutto, sono portate avanti con sistemi non diversi da quelli usati nel Medio Oriente vero e proprio, in Africa e, sempre più spesso, nell’Europa Occidentale.
Il segnale della controffensiva venne nel gennaio dell’anno scorso, in coincidenza con le Olimpiadi invernali indette a Sochi, molto vicina alla frontiera fra la Russia vera e propria e le zone “autonome” più a Sud. Lo “sparo” d’inizio fu una raffica di attentati, il più noto dei quali causò una strage a Volgograd, più nota per il suo nome scartato, Stalingrado.
L’Ucraina non rientra nella geografia di quegli odii, ma è un campo di battaglia che attira i guerrieri mossi soprattutto dall’odio verso la Russia, più antico e per molti versi più fondato di quello nutrito verso l’Occidente. È dunque un nuovo sfogo per rancori antichi, che funziona nei due sensi: guerrieri islamici arrivano a Mariupol e dintorni da varie regioni e Paesi. Sono ceceni ma anche uzbeki e balkari e tartari, sono anche immigrati in Francia o, come colui che è considerato il loro capo, Isa Musayev, addirittura dalla Danimarca. Molti, per non dire tutti, si sono fatti le ossa in quello che resta e anzi sempre più si delinea come l’epicentro di questa Guerra Santa: la Siria. Il Paese torturato da quattro anni di guerra civile e dalle alleanze multiple e contraddittorie. Se è vero che “il nemico del mio nemico è mio amico”, allora la Russia si dovrebbe trovare dalla stessa parte degli Stati Uniti. Ciò non è ancora accaduto in Siria, è per ora addirittura impensabile in Ucraina. Il precedente che conta è invece l’Afghanistan, la terra in cui Bin Laden, combattendo i russi, si trovò dalla parte degli americani.