Alberto Pasolini Zanelli
Negli ultimi giorni Donald Trump ha cercato di dirigere due missioni militari egualmente delicate e pericolose. Una delle quali segreta. Non riguarda la Siria, di cui tutto il mondo parla con indelebile preoccupazione. Da quelle parti lui spedisce ultimatum e aerei con missili. Da quanto si sa non sono in corso colloqui segreti fra il presidente Usa e il suo collega Assad. Invece dal Pentagono è partito il ministro della Difesa per Pyongyang, dove pare sia stato accolto piuttosto cordialmente e dove è dunque riuscito ad avviare le fasi positive di un negoziato in sé tutt’altro che facile. Il nuovo ministro, che si chiama Pompeo, prepara inoltre almeno due vertici, entrambi nella medesima area geografica. Il più risonante fra gli incontri sarà naturalmente quello con il presidente nordcoreano Kim Jong-un. Lo ha preparato, fra gli altri, il capo della Cia in un incontro segreto svoltosi per Pasqua. Lui, Trump, intanto ha parlato con il premier giapponese Abe e ne è stato parecchio incoraggiato, perché il mediatore di Tokio gli ha descritto la Corea del Nord in termini irriconoscibili rispetto a quelli del novembre scorso in occasione di un incontro mediatorio nella Corea del Sud. Si parla addirittura di un trattato di pace fra Washington e Pyongyang, che sarebbe veramente un avvenimento storico, dal momento che non è stata ancora raggiunta la conclusione di una guerra che è cominciata nel 1950 e che ha prodotto una tregua e una “zona smilitarizzata” ma non ha neppure cominciato ad assomigliare a un armistizio. Sono passati quasi settant’anni di rari colloqui, qualche incidente, attività di spie di ambo le parti, guerre dei tunnel, quelli scavati ostinatamente dai nordcoreani con l’intenzione di minacciare Seul e costringerla a una serie di battaglie navali sottoterra spesso cominciate e mai risolte, costringendo la Corea del Sud ad avere uno “strato” sotterraneo con gallerie per potere passare e controgallerie per impedirlo. Il mondo se ne era quasi dimenticato, la penisola coreana per oltre mezzo secolo è rimasta un fronte congelato, senza speranze di pace e, in genere, senza timori immediati di crisi e ciò nonostante (oppure a causa) la terribile situazione economica della Corea del Nord, che non si è sviluppata in recessioni, ma in nuda fame elementare. Questo dittatore e i suoi predecessori e progenitori sono stati occupati angosciosamente a cercare di mettere qualcosa in bocca ai loro sudditi e non ci sarebbero riusciti senza la collaborazione avara della Corea del Sud e del Giappone, più qualche “mancia” dalla Russia, anch’essa confinante e dalla Cina. Poi, quasi di colpo, il posto della pagnotta (o del piattino di riso) è stato preso dall’arma nucleare, di cui Kim può parlare senza vergogna né complessi di inferiorità, ma anzi, da “leader maximo” e, magari attraverso il bluff, da pari a pari con l’uomo della Casa Bianca. E con un certo successo innegabile. I Paesi vicini, dalla Cina, al Giappone, alla Corea del Sud, hanno passato lunghi momenti di acuta preoccupazione, più che disagio, a doversi preoccupare obbligati a tentare di capire un dittatore che da decenni sta chiuso nel suo regno e poi di colpo, o almeno a tappe molto ravvicinate, dimostra di avere digerito il raro e costoso cibo nucleare, al punto che ha potuto dedicarsi ultimamente soprattutto a missili a lungo raggio e quasi “interplanetari”. Il tutto proprio nei giorni in cui saliva alla Casa Bianca un uomo imprevedibile come Trump, che non intendeva lasciarsi sfuggire l’occasione di essere al centro, se non alla guida, di una crisi planetaria tanto vecchia da sembrare nuova e urgentissima. Per i primi tempi i due leader non si sono scambiati messaggi ma minacce roventi e cariche di rischi più di qualsiasi altra crisi sulla Terra. Si sono scambiati anche insulti personali, che in situazioni come quella moltiplicano i pericoli.
E invece si stava preparando perlomeno una prima fase di una distensione. Non è chiaro chi fra i due l’abbia inaugurata. I toni si sono trasformati come prodromo degli argomenti e dei piani, militari e diplomatici. Due statisti dal linguaggio grossolano hanno preso a concedersi a vicenda riconoscimenti di calma e ragionevolezza. Il perché rimane oscuro. Forse si sono accorti entrambi di essere andati troppo oltre. Oppure la Cina si è impegnata finalmente a fondo come paciere. Oppure, ed è meno consolante, è emersa la gravità della crisi in Siria, uno scacchiere meno enigmatico e sconosciuto al nuovo presidente americano. Che difende la propria intransigenza a Damasco e pertanto ritiene di potersi permettere, o addirittura di essere obbligato, ad ammorbidire i toni a Pyongyang.
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