Alberto Pasolini Zanelli
È tutto fuori che una sorpresa: a Budapest hanno vinto Viktor Orban, il nazionalismo, la Destra. In una parola la protesta. Non è una sorpresa: è da oltre un anno che questo fenomeno si ripete nelle urne europee, dalla Norvegia ai Balcani più intenso in due vicini dell’Ungheria, la Polonia e l’Austria. Ma in nessun posto quanto nella patria magiara. Basta leggere le cifre e poi appena tradurle. In nessun’altra capitale è stato rieletto un Parlamento in cui un partito dispone di due terzi dei voti e dei seggi, aumentando così la già significativa maggioranza assoluta delle due precedenti elezioni. Non solo, ma questo partito non è di centro e tanto meno di sinistra, bensì di destra. Si chiama Fidesz ed è già stato al potere per una decina di anni. Tutto quello che ha fatto stavolta è consolidare il proprio dominio in Parlamento oltre che Nel Paese: 133 seggi su 200, anzi, più significativo ancora, 133 al Fidesz e 47 a tutti i partiti di centro e di sinistra sommati. I seggi sono duecento e dunque ne mancano venti: quelli che sono stati conquistati da un altro partito di destra, il Jobbik, che si è classificato così al secondo posto.
Raccontandolo e riflettendoci sopra si troverebbe che sulle elezioni magiare è stato detto tutto. E sarebbe vero se il voto si fosse svolto su temi normali, anche se attuali come in gran Bretagna o in Italia. Invece qui di argomenti decisivi ce ne sono stati almeno due attuali, da aggiungere poi al tradizionale nazionalismo ungherese, che è forse il più intenso d’Europa per motivi storici, etnici, linguistici, vale a dire per la essenza “estranea” dei magiari rispetto alle “famiglie” del resto d’Europa. Dall’arrivo, naturalmente a cavallo, di Attila “eroe barbaro” alla tenacia e resistenza di una lingua “asiatica” al centro di un continente indoeuropeo, al secolare ruolo di frontiera degli ungheresi anche nei confronti delle invasioni turche e islamiche, per la sopravvivenza secolare di un impero multilinguistico e multietnico, con la capitale a Vienna e il cuore nella puszta. Fino alla sconfitta della Prima guerra mondiale e a quella, molto più tragica, della seconda, che portò agli ungheresi mezzo secolo di dittatura sovietica e almeno una rivoluzione a Budapest, ragazzi contro carri armati. L’Ungheria, va ricordato e riconosciuto, fu il primo tra i Paesi satelliti a liberarsi con una decisione unilaterale del suo governo: un ordine che permetteva ai cittadini dell’Est di emigrare, e questo già prima della caduta del muro di Berlino.
Quella che nacque, o rinacque, fu un’Ungheria anticomunista ma soprattutto nazionalista, che nella caduta dell’Impero dell’Est vedeva e vede soprattutto la propria recuperata indipendenza anche nel senso conservatore. Del tutto estranea, dunque, a sogni futuristi a cominciare da quello “europeo”diventati per i magiari una interferenza e una imposizione. Soprattutto per la coincidenza con il fenomeno mondiale dell’immigrazione. Di qui il consenso elettorale crescente per i partiti di destra, Fidesz e Jobbik. Il fenomeno e il risentimento continuano ad acutizzarsi per due principali motivi. Del primo abbiamo detto: l’Ungheria non è proprio una delle Terre Promesse dell’Europa, soprattutto da quando (almeno da una decina d’anni) ha cominciato a costruire barriere (come del resto altri Paesi dell’ex blocco comunista) e poi perché è spuntato un nuovo “pericolo”, di stoffa, di interessi, ideali e abitudini: George Soros, un ungherese nazionalizzato americano, miliardario, europeista. Con una passione: aiutare i Paesi che più hanno sofferto in un passato di dittature. E per di più ebreo, quindi con un passato e con incubi particolarmente e comprensibilmente più acuti. In America il profugo diventò ben presto miliardario e in grado ben presto di usare delle proprie ricchezze sia quelle che continuano a farlo arricchire (una manovra finanziaria di scala mondiale rimasta nella storia: la svalutazione della sterlina), ma anche e ultimamente soprattutto, in cause idealistiche e “pedagogiche”. Non sempre riuscite: l’avventura in Georgia, ispirata e finanziata che portò a un avanzato distacco del Paese di Stalin, ma poi al recupero da parte di Putin. Una legge non scritta di Soros e curiosa fu di aiutare (e finanziare) quasi tutti i Paesi del mondo, con un’eccezione, Israele. Una lunga scelta, probabilmente dovuta alla predilezione per i Paesi più poveri. Contemporaneamente, però, si diffondeva e consolidava il dominio della destra nazionalista nel Parlamento di Budapest e del governo, probabilmente risvegliando ricordi più lontani ma non tanto. A questo punto Soros decise di intervenire, ma non in senso sionista bensì per aiutare concretamente l’Ungheria a riavvicinarsi all’Europa convenzionale (e forse anche l’America) potrebbero appesantire riserve che assomigliano già a sanzioni.