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Mai fidarsi degli annunci di pace

Alberto Pasolini Zanelli
Ora sappiamo una volta di più che non bisogna mai fidarsi, in occasione di una guerra, degli annunci, soprattutto se ottimisti o incoraggianti. Così è vero che è stato Donald Trump ad annunciare poco più di due giorni fa che l’obiettivo in Siria è stato raggiunto e che adesso gli americani potevano andarsene tranquillamente a casa. Ieri è arrivata la smentita: prima nei fatti e poi nelle dichiarazioni. I fatti: oltre cento missili da crociera sono stati lanciati sulla Siria, non più soltanto nell’angolino di quel paesino da cui è scomparso l’ultimo guerrigliero che era rimasto lì per mesi e mesi ma in tutta e ben oltre la zona indicata dal governo americano per spiegare e giustificare il proprio intervento militare. “Cari americani – ha detto testualmente il presidente – poco fa ho ordinato alle forze armate Usa di lanciare attacchi di precisione verso obiettivi collegati con l’attività del regime di Assad”. Sono stati lanciati, ha precisato il Pentagono, fra i cento e i centoventi missili da crociera. Una notizia parallela viene da Mosca, dal generale russo Serjev, che parla di 103 missili lanciati, di cui 71 sarebbero stato intercettati dalla difesa siriana. Washington fa piazza pulita della precisazioni e dice: “Tutti i colpi sono andati a buon fine”. Ed è arrivata una spiegazione che potrebbe essere anche una giustificazione.
I conti non erano giusti, la colpa è naturalmente di Assad. I morti sono almeno cinquanta (primo calcolo). Gli aerei hanno sorvolato anche Damasco, poi sono piovute le conferme da parte di alleati, nemici e neutrali, tranne la Siria che ha fatto un discorso più umanitario che militare o addirittura politico. In primo luogo Putin, che ha minacciato vagamente “conseguenze” e poi dei governi iraniano e naturalmente siriano. Plaudono anche Israele, questo pare scontato, e la Turchia, che ha poi cercato di riequilibrare il discorso auspicando una “soluzione politica”. Washington aveva informato perfino la signora Mogherini. Adesso sta per riunirsi di nuovo il Consiglio di sicurezza, dopo che la maggioranza aveva respinto un documento russo di condanna dell’iniziativa militare: tre soli voti favorevoli su dodici. Putin ripete che si è trattato di un “atto di aggressione e una violazione del diritto internazionale. La Russia ha intenzione di chiedere un’altra riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza per discutere la crisi. Assad si limita a promettere che “le aggressioni della notte scorsa aumentano la determinazione a continuare a combattere il terrorismo in ogni angolo della Siria, per distruggerlo”. Più morbido nei toni, ma uguale o quasi nella sostanza il commento del premier britannico Theresa May, che ha “ritenuto fosse giusto e legale intervenire militarmente per alleviare ulteriori sofferenze umanitarie riducendo la capacità di usare armi chimiche da parte del regime di Damasco”. Le armi chimiche erano già state dichiarate tutte distrutte. Ultima ma più aspra la dichiarazione del presidente francese Macron, secondo cui la linea rossa fissata dalla Francia nel maggio del 2017 è stata superata. Di conseguenza ho ordinato alle forze armate francesi di intervenire questa notte”.
Più svariate e smarrite, le prime reazioni in America. Il più esultante è il vecchio senatore McCain, che aveva combattuto in Vietnam in aviazione, era stato abbattuto e ha passato quattro anni prigioniero. Concordi con lui, anche se in tono meno entusiasta, i veri “falchi” dell’Amministrazione Trump, compreso l’ultimo arrivato John Bolton. Trump ha insistito di nuovo sugli agenti chimici proibiti: “All’Iran e alla Russia chiedo quale tipo di nazione vuole essere associata all’omicidio in massa di uomini, donne e bambini innocenti”. Putin denuncia l’atto di aggressione e la violazione del diritto internazionale e annuncia che chiederà una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza. Assad, che era comparso in pubblico e in abiti civili il giorno prima, ha ribadito la sua determinazione a “distruggere il terrorismo”. Ci si aspetta adesso una reazione anche da Teheran, perché uno dei missili pare sia caduto su una base militare iraniana, uccidendo venti soldati. Fin qui le notizie e le novità tragiche o almeno serie. Resta una curiosità: perché di tutto il “fronte” occidentale la più entusiasta per questa guerra sia la Francia. C’è un motivo semistorico e comunque pittoresco. Quando Napoleone III diventò imperatore a Parigi, decise che non poteva permettersi di regnare al suono della Marsigliese, il più repubblicano degli inni pensabili. E allora trovò una soluzione: il nuovo inno nazionale francese aveva per titolo “En partant pour la Sirye”, “Partendo per la Siria”. Il testo riprendeva una vecchia canzone medioevale. Poi venne Sedan e tornò la Marsigliese.