I dati negativi sull’andamento dell’economia italiana si stanno accumulando e debbono essere quindi analizzati con molta cura. Il primo e più importante campanello d’allarme riguarda la crescita zero del terzo trimestre dell’anno in corso. Questa stagnazione della produzione si inserisce in un rallentamento dell’economia europea e come tale va interpretata. Un elemento di preoccupazione aggiuntiva nasce però dal fatto che la nostra frenata è più violenta rispetto a quella dei nostri immediati concorrenti. Eravamo già il fanalino di coda tra i grandi paesi europei ma la distanza dal gruppo di testa, invece di diminuire, sta crescendo.
Ancora più preoccupante è l’aspetto qualitativo di questa frenata perché essa coinvolge soprattutto l’industria manifatturiera che è sempre stata il nostro punto di forza ed è ancora condizione imprescindibile per riprendere un cammino di crescita. Nelle ultime settimane assistiamo infatti ad una forte caduta delle esportazioni, ad un aumento delle scorte e ad un inedito aumento del pessimismo da parte della maggioranza dei nostri imprenditori. Il tutto accompagnato da un calo dell’occupazione a tempo indeterminato. L’elemento più preoccupante di quest’evoluzione è proprio la caduta delle esportazioni che, negli ultimi anni, sono state l’elemento trainante della pur non esaltante crescita italiana.
Una caduta che aveva cominciato a prendere corpo già nel secondo trimestre di quest’anno ma che si è pericolosamente aggravata negli ultimi mesi. Naturalmente, dopo un brevissimo periodo nel quale si è cercato di nascondere il peggioramento della situazione, è cominciato lo “scaricabarile” delle responsabilità fra governo passato e governo presente. Dibattito che non offre grandi elementi di chiarezza agli italiani, anche perché non è facile tradurre in termini quantitativi gli effetti economici dei mutamenti della psicologia collettiva e delle incertezze provocate dalle continue dichiarazioni contraddittorie dei membri del governo. Per non parlare delle conseguenze delle polemiche con i nostri partner europei a cui ogni giorno assistiamo con un misto di incomprensione e sgomento.
Anche se viviamo in un periodo storico in cui le dichiarazioni finiscono col pesare fortemente sulla realtà, cerchiamo di lasciare da parte le polemiche e riflettiamo su come sia possibile fare riprendere il motore della crescita in un contesto mondiale che non lascia molti spazi all’ottimismo.
È bene essere precisi: nell’attuale realtà della concorrenza internazionale non vi può essere una crescita duratura senza una vigorosa spinta della produttività (e quindi degli investimenti) e dell’occupazione. Pur premettendo che anche il necessario aiuto alla capacità d’acquisto delle categorie più deboli attraverso integrazioni al reddito produce un segno positivo per la crescita, dobbiamo nel contempo chiarire che, nel contesto attuale, la sua efficacia è assai inferiore rispetto a una politica di maggiori investimenti. Soprattutto perché il riflesso positivo sui consumi tende quasi ad annullarsi quando aumenta l’incertezza sul futuro. Se vi è incertezza, coloro che percepiscono un reddito aggiuntivo preferiscono, per quanto possono, non spenderlo nel presente ma risparmiarlo per il futuro. Per riaggiustare la direzione del nostro cammino dobbiamo quindi porre fine all’incertezza e dedicare ogni possibile priorità agli investimenti e all’occupazione.
Prima di tutto agli investimenti che hanno effetto nel breve periodo, proseguendo con intensificata continuità il cammino indicato dal “progetto industria 4.0” e dai così detti “super ammortamenti”, misure che avevano dato inizio ad un aumento a doppia cifra degli investimenti manifatturieri, premessa necessaria per l’aumento della produttività.
In questi giorni si sta tuttavia verificando un fenomeno quasi incredibile: pur non essendo certo nel periodo migliore della nostra storia economica, le imprese manifatturiere più innovative non trovano la mano d’opera specializzata di cui hanno bisogno. Si continua a diffondere la tesi che con le pensioni anticipate si può far posto a giovani forniti di maggiore preparazione e poi ci si accorge che i giovani forniti delle necessarie specializzazioni non si trovano. A questi investimenti che esercitano la loro efficacia nel breve periodo dobbiamo perciò assicurare il nostro futuro affiancando ad essi un enorme (ribadisco enorme) programma di una nuova istruzione tecnica a tutti i livelli. Da anni ed anni si continua a ripetere questo ritornello ma istruzione tecnica e ricerca applicata vengono sempre più trascurate e non ne vedo alcun accenno di attenzione nei programmi governativi che abbiamo ora sul tavolo.
Preso atto che il contenuto dei programmi di governo non solo cambia ogni giorno ma viene sempre più diluito nel tempo, penso quindi che sarebbe possibile e opportuno dedicare maggiori risorse per aumentare produttività ed occupazione. Senza un progresso in queste due direzioni nessun altro obiettivo, per quanto degno di essere perseguito, potrà essere raggiunto.
Ancora più preoccupante è l’aspetto qualitativo di questa frenata perché essa coinvolge soprattutto l’industria manifatturiera che è sempre stata il nostro punto di forza ed è ancora condizione imprescindibile per riprendere un cammino di crescita. Nelle ultime settimane assistiamo infatti ad una forte caduta delle esportazioni, ad un aumento delle scorte e ad un inedito aumento del pessimismo da parte della maggioranza dei nostri imprenditori. Il tutto accompagnato da un calo dell’occupazione a tempo indeterminato. L’elemento più preoccupante di quest’evoluzione è proprio la caduta delle esportazioni che, negli ultimi anni, sono state l’elemento trainante della pur non esaltante crescita italiana.
Una caduta che aveva cominciato a prendere corpo già nel secondo trimestre di quest’anno ma che si è pericolosamente aggravata negli ultimi mesi. Naturalmente, dopo un brevissimo periodo nel quale si è cercato di nascondere il peggioramento della situazione, è cominciato lo “scaricabarile” delle responsabilità fra governo passato e governo presente. Dibattito che non offre grandi elementi di chiarezza agli italiani, anche perché non è facile tradurre in termini quantitativi gli effetti economici dei mutamenti della psicologia collettiva e delle incertezze provocate dalle continue dichiarazioni contraddittorie dei membri del governo. Per non parlare delle conseguenze delle polemiche con i nostri partner europei a cui ogni giorno assistiamo con un misto di incomprensione e sgomento.
Anche se viviamo in un periodo storico in cui le dichiarazioni finiscono col pesare fortemente sulla realtà, cerchiamo di lasciare da parte le polemiche e riflettiamo su come sia possibile fare riprendere il motore della crescita in un contesto mondiale che non lascia molti spazi all’ottimismo.
È bene essere precisi: nell’attuale realtà della concorrenza internazionale non vi può essere una crescita duratura senza una vigorosa spinta della produttività (e quindi degli investimenti) e dell’occupazione. Pur premettendo che anche il necessario aiuto alla capacità d’acquisto delle categorie più deboli attraverso integrazioni al reddito produce un segno positivo per la crescita, dobbiamo nel contempo chiarire che, nel contesto attuale, la sua efficacia è assai inferiore rispetto a una politica di maggiori investimenti. Soprattutto perché il riflesso positivo sui consumi tende quasi ad annullarsi quando aumenta l’incertezza sul futuro. Se vi è incertezza, coloro che percepiscono un reddito aggiuntivo preferiscono, per quanto possono, non spenderlo nel presente ma risparmiarlo per il futuro. Per riaggiustare la direzione del nostro cammino dobbiamo quindi porre fine all’incertezza e dedicare ogni possibile priorità agli investimenti e all’occupazione.
Prima di tutto agli investimenti che hanno effetto nel breve periodo, proseguendo con intensificata continuità il cammino indicato dal “progetto industria 4.0” e dai così detti “super ammortamenti”, misure che avevano dato inizio ad un aumento a doppia cifra degli investimenti manifatturieri, premessa necessaria per l’aumento della produttività.
In questi giorni si sta tuttavia verificando un fenomeno quasi incredibile: pur non essendo certo nel periodo migliore della nostra storia economica, le imprese manifatturiere più innovative non trovano la mano d’opera specializzata di cui hanno bisogno. Si continua a diffondere la tesi che con le pensioni anticipate si può far posto a giovani forniti di maggiore preparazione e poi ci si accorge che i giovani forniti delle necessarie specializzazioni non si trovano. A questi investimenti che esercitano la loro efficacia nel breve periodo dobbiamo perciò assicurare il nostro futuro affiancando ad essi un enorme (ribadisco enorme) programma di una nuova istruzione tecnica a tutti i livelli. Da anni ed anni si continua a ripetere questo ritornello ma istruzione tecnica e ricerca applicata vengono sempre più trascurate e non ne vedo alcun accenno di attenzione nei programmi governativi che abbiamo ora sul tavolo.
Preso atto che il contenuto dei programmi di governo non solo cambia ogni giorno ma viene sempre più diluito nel tempo, penso quindi che sarebbe possibile e opportuno dedicare maggiori risorse per aumentare produttività ed occupazione. Senza un progresso in queste due direzioni nessun altro obiettivo, per quanto degno di essere perseguito, potrà essere raggiunto.