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Simile ma differente.


Alberto Pasolini Zanelli

Simile ma differente. È la tensione rinnovata fra Mosca e Kiev, fra la Russia e l’Ucraina (coinvolgendo anche la Crimea) e soprattutto, in prospettiva, fra Putin e Trump. Si ricorderà che lo scontro numero uno di quattro anni fa ha implicato non solo episodi militari ma anche e soprattutto una guerra diplomatica le cui conseguenze immediate si erano viste anche sul campo di battaglia, mentre l’epicentro della crisi era stato politico e anzi, almeno in teoria, parlamentare. Si erano succedute e confuse tre fasi dello sviluppo politico dello Stato di Kiev e del suo vicino di Sebastopoli con l’ombra di Mosca su entrambi. Visto da una certa distanza di tempo si chiarì che non c’era niente di irreparabile, anche perché i due contendenti avevano trovato nella crisi qualche vantaggio ciascuno. Colpa della frettolosa risistemazione delle frontiere succeduta non solo in Ucraina e in Crimea ma anche nelle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale, in modo più violento in Georgia. Con la differenza che nelle altre “nazioni” erano state confermate quasi ovunque le frontiere storiche, di una storia antica che dall’età delle conquiste islamiche, passa per la sistemazione dovuta alle conquiste della Russia zarista. La rivoluzione di quell’Ottobre aveva per fine il rovesciamento dell’intero impero russo. Non per niente era scoppiata a Pietroburgo e poi a Mosca. La Russia era diventata comunista ma era rimasta a lungo unitaria. Poi prese il volto di Federazione (sovietica) e rimase tale a lungo sopravvivendo le frontiere interne. La sistemazione divenne e restò a lungo con la finzione di tante entità indipendenti fra cui prima l’Ucraina.

Anche proprio in ordine di tempo, perché la dissoluzione dell’Unione Sovietica fu decisa e proclamata a un tavolo di ristorante in un piccolo centro dal presidente russo Boris Eltsin e da quello ucraino. Le entità minori non poterono che adattarsi. C’erano però due rivendicazioni inconciliabili: l’Ucraina voleva essere intatta, ma le sue frontiere si erano modificate subito dopo la morte di Stalin perché il suo successore al Cremlino era un ucraino, Nikita Krusciov il quale, per risarcire almeno in parte le atrocità inflitte da Stalin al popolo, regalò a Kiev un “pezzo” di Russia, la Crimea che non aveva mai avuto niente a che fare con l’Ucraina. Contemporaneamente il Parlamento ucraino decise fra le due opzioni aperte allo sviluppo economico del Paese: entrare in una unione simile a quella europea oppure fare lo stesso in una orbita russa. Il governo aveva scelto la prima, il Parlamento la bocciò e lì aprì la strada a un riavvicinamento con Mosca. A questo punto però scoppiò una rivoluzione: il primo ministro fu detronizzato ed esiliato era amico dell’Occidente, anzi soprattutto nemico del Cremlino.

Putin reagì a sua volta con la forza: incoraggiando la minoranze russa in Ucraina a sollevarsi senza cedere e dichiarare la nascita di un nuovo Stato. E risollevare il problema della Crimea, dove gli ucraini erano e sono in minoranza in confronto ai russi e alla terza nazionalità, i tartari. Ci fu un referendum che diede ragione a Putin. I russofili formarono il nuovo governo, ma non riuscirono a farlo accettare né agli abitanti della Crimea né alla minoranza russa dell’Ucraina orientale. Si arrivò ad un armistizio puramente militare, durato questi ultimi anni. Adesso si è riaperta la crisi, su un’area geografica più limitata, cioè sullo stretto Kerch. Unica via di comunicazione tra la Russia (o meglio, la zona dell’Ucraina controllata dai russi) e il Mediterraneo. Le sue acque sono considerate internazionali, tranne che da Mosca dal momento che esse corrono nell’area separatista e quindi sono di gestione del Cremlino.

In questa situazione è avvenuto l’incidente. Un convoglio di navi ucraine ha tentato di attraversare lo Stretto, che conduce al Mare di Azov. Navi da guerra russe l’ha fermato e confiscato. L’America ha reagito come era inevitabile, dal momento che il “falco” Trump non poteva permettersi di reagire più morbidamente del suo predecessore Obama, da lui accusato di essere una “colomba”. L’Ucraina ha reagito a sua volta proclamando la legge marziale su dieci di diciassette aree dichiaratesi indipendenti e appoggiate da Mosca. La Casa Bianca “invita” alla “calma” entrambi i protagonisti della tensione e ad evitare una corsa al riarmo. Finora gli ucraini non hanno risposto positivamente. Si sono comportati con maggiore intransigenza dei russi, comprensibilmente per la centralità della crisi per loro in paragone alla maggiore elasticità territoriale per la Russia. La preoccupazione internazionale è stata finora marginale, ma se le tensioni aumenteranno allora si rischia di tornare a un nuovo inasprimento dei rapporti fra Mosca e Kiev e ad un nuovo coinvolgimento degli Stati Uniti e in qualche modo anche dell’Europa.