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I due ex gemelli si guardano


Alberto Pasolini Zanelli

I due ex gemelli si guardano. Per ora allo specchio, ciascuno il suo. Sono gli Stati Uniti, più che mai per ora dopo il duello politico e giuridico vinto da Donald Trump e dalla sua concezione del potere e il Regno Unito, che si prova invece a cambiare rotta e modi con il passaggio dei poteri da Theresa May cortese e vulnerabile a Boris Johnson impetuoso e volubile, sospetto di essere un Trump britannico. Saranno loro a decidere: molte cose ma prima di tutto le forme e i contenuti di un nuovo rapporto fra Washington e Londra, che sta per dire un qualche addio all’Europa e che potrebbe essere soltanto un arrivederci o il primo passo di un divorzio fra l’America e l’Europa nel suo insieme.

Il primo test è suggerito – oppure imposto – da una area apparentemente estranea ma invece vitale: il Medio Oriente e la sua area oggi forse più arroventata: l’Iran, bersaglio primo dei gesti e delle parole di Trump. Le ultime hanno visto accentrato il divario fra due strategie: la risposta a una iniziativa del governo di Teheran: un do ut des fra due petroliere catturate in due golfi: una iraniana vicino a Gibilterra e una nello Stretto di Hormuz ai danni di una delle ultime navi battenti la bandiera britannica in quell’area scottante del mondo. Il secondo attacco è definito una “reazione”, il primo vascello sospettato di esportare petrolio in violazione delle sanzioni americane ultimamente inasprite al fine di impedire a Teheran di esportare quello che è praticamente l’unico prodotto del suo sottosuolo. Una “involuzione” dell’accordo faticosamente costruito nelle ultime settimane della presidenza Obama e grazie agli sforzi del Segretario di Stato uscente John Kerry, firmato, oltre che da Washington e da Teheran, dalla Russia, dalla Cina e da tre Paesi europei membri della Nato: Germania, Francia e naturalmente Gran Bretagna.

Appena issato alla Casa Bianca, Trump ritirò la firma americana per aggravare la rappresaglia contro l’Iran, sospetto di “lavorare” ad alcune macchine che potrebbero avere un futuro nucleare. Quello che Teheran propone è uno scambio: il rilascio di entrambe le navi (per alleviare le tensioni) fra l’Iran e l’Occidente. L’offerta sarà accolta? Dipende dal neonato governo britannico (che in questo momento ha compiuto più urgenti e anzi incombenti: è in gioco la stessa sopravvivenza della nazione) che potrebbe rimanere Regno ma non più Unito. Espressioni inquietanti vengono in questi giorni dalla Scozia. Per prendere certe decisioni, inoltre, Londra ha tuttora bisogno del “permesso americano” che la presenza di Trump alla Casa Bianca rende alquanto più improbabile.

Un passo in avanti e positivo potrebbe essere invece un “vertice” fra i due alleati proposto da un autore improbabile: Netanyahu. L’idea del leader israeliano è quella di un “vertice” a tre: Washington, Mosca e Gerusalemme. Sul tavolo il veto a una legge proposta dal Congresso di Washington che prevede il blocco delle forniture di armi di cui l’Arabia Saudita si serve da anni per massicci bombardamenti sullo Yemen in una guerra civile e religiosa fra un governo sunnita e una rivolta di sciiti naturalmente appoggiati da Teheran. È la guerra più sanguinosa del Medio Oriente, molto di più di quanto non sia stata l’offensiva dell’Isis negli anni scorsi.

Una partita in cui sta per entrare un altro protagonista di grande peso. Fa parte del gigantesco progetto di restaurazione, dopo due millenni, della Strada della Seta che collegava il Celeste Impero, cioè la Cina, con l’Europa. Questa volta le strade dovrebbe essere due, una terrestre e una marittima. Entrambe un ponte che colleghi Pechino a un “centro geografico e demografico” che sorge nel Medio Oriente. I cinesi stanno già costruendo strade che li colleghino con l’Iran ed edificano dei porti anche attorno al cruciale Stretto di Hormuz. E non troppo lontano dalla Siria e dalla Palestina. Netanyahu sa di cosa parla.