Ambiente e tutela dei cittadini: serve l’intervento dei governi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Poche settimane fa è stato pubblicato un importante documento della Business Round Table, autorevole associazione americana che ha come scopo quello di favorire l’approfondimento dei maggiori problemi che riguardano le grandi imprese.
Il documento, firmato dai 181 massimi responsabili di tutte le maggiori aziende degli Stati Uniti a partire da Google, Amazon e Coca Cola, ha fatto grande rumore perché ha mutato la precedente dottrina dominante che poneva come obiettivo esclusivo dell’impresa l’interesse degli azionisti, cioè dei suoi proprietari.
Pur non rinunciando ovviamente a questo primario obiettivo vengono aggiunti con insistita enfasi anche altri valori come l’attenzione per i diritti dei consumatori, le attese dei dipendenti, la necessità di un comportamento etico con i fornitori e gli obblighi nei confronti della comunità, con una specifica attenzione all’ambiente.
Di per sé non si tratta di affermazioni rivoluzionarie perché concetti analoghi sono contenuti in documenti assai precedenti nel tempo, tra i quali i ripetuti rapporti di varie organizzazioni delle Nazioni Unite e, soprattutto, un approfondito “Libro Verde” della Commissione Europea che, già nel luglio del 2001, usando il termine di “Responsabilità Sociale dell’Impresa”, elencava priorità assai simili, come la conciliazione fra lavoro e famiglia, la salute e la sicurezza nell’attività lavorativa. Ad essi aggiungeva la necessità di aprirsi alla società, con una particolare attenzione alla comunità locale, all’ambiente, alle esigenze dei fornitori e dei consumatori, l’obbligo di una completa trasparenza delle informazioni sulla situazione dell’impresa e la politica aziendale.
Pur avendo direttamente partecipato alla stesura del “Libro Verde” sono costretto a riconoscerne la modestia dei risultati, dato che le sue conclusioni sono state tradotte in semplici appelli alla volontarietà dei comportamenti senza che nascessero decisioni concrete per fare evolvere in modo sensibile gli aspetti legislativi che regolano i comportamenti delle grandi imprese.
Ci si deve quindi porre il problema se il mutare dei tempi e l’autorevolezza dei partecipanti alla Round Table possa permettere a questo nuovo documento di produrre conseguenze più significative rispetto alle assai simili conclusioni di quelli precedenti.
La percezione generale nei confronti del mondo delle grandi imprese è infatti, negli ultimi anni, notevolmente peggiorata in conseguenza della crisi economica ma, soprattutto, per effetto della incontrollata crescita della quota dei profitti nei confronti dei salari, per le remunerazioni senza precedenti degli alti dirigenti e per lo sconfinato potere delle nuove imprese che gestiscono l’informazione, divenute il simbolo popolare dell’evasione fiscale e dell’attentato alla Privacy nella gestione dei dati.
È nello stesso tempo aumentata la consapevolezza dei consumatori nei confronti della qualità dei prodotti e della loro incidenza sull’ambiente. Di conseguenza non poche imprese, in risposta a queste nuove sensibilità, hanno preso sul serio il problema della loro responsabilità sociale. Quest’insieme di fenomeni ha generato infine una critica radicale nei confronti delle regole del mercato perfino in paesi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che erano i paladini dell’indiscusso e totale potere degli interessi degli azionisti nel determinare le strategie aziendali.
L’attenzione nei confronti di nuovi obiettivi, che integrano e modificano quelli tradizionali, é quindi figlia dei mutamenti dei tempi e degli errori del passato. Non può essere perciò una moda passeggera, ma un cambiamento necessario per la sopravvivenza stessa dell’economia di mercato.
Affinché i nuovi obiettivi possano essere effettivamente raggiunti sono necessari mutamenti sostanziali nei comportamenti concreti delle imprese, riguardo ai quali i componenti della Round Table difficilmente troverebbero un accordo. In primo luogo si deve infatti rispondere all’interrogativo su come si debbano concretamente fissare gli obiettivi aziendali e chi abbia il potere di farlo. Si ritorna con questo a mettere fatalmente in discussione il ruolo e i poteri dei governi, facendo riemergere l’antico dilemma fra la collaudata debolezza dei processi di autoregolamentazione e i rischi di un’invadente presenza dello Stato.
Credo perciò che sia giunto il momento, anche in Italia, di affrontare questo dilemma in cui si trova ogni sistema di economia di mercato che deve fare i conti con una società in rapido cambiamento e consapevole dei nuovi valori, ma che opera ancora con con regole che non sono in grado di rispondere a queste nuove sensibilità.
Il crescente distacco dei cittadini nei confronti della politica é infatti dovuto all’incapacità della politica stessa di rendersi conto che ogni sistema economico, anche semplicemente per sopravvivere, ha l’obbligo di rispondere ai mutamenti della società in cui opera.