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Il coronavirus colpisce l’economia USA e favorisce la Cina

 

Economie a confronto: l’effetto Covid che favorisce la Cina contro gli USA

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 settembre 2020

Gli Stati Uniti si avvicinano alle prossime elezioni più divisi di quanto mai siano stati nella storia della loro democrazia. Di conseguenza cambieranno molte cose a seconda di chi, fra poco più di un mese e mezzo, risulterà vincitore. Su un tema, il più importante di tutti nella politica estera, non vi sarà invece alcun sostanziale cambiamento: la politica nei confronti della Cina rimarrà la stessa.

Democratici e repubblicani si divideranno sul modo con cui sfogliare l’agenda dei rapporti con il colosso asiatico, ma il contenuto dell’agenda sarà il medesimo: sfidare la Cina fino in fondo e con tutti i mezzi, escludendo solo, almeno per il prevedibile futuro, il conflitto militare.

Trump ha deciso di concentrare tutta la sua politica estera e militare verso il quadrante asiatico e ha accompagnato questo mutamento di strategia prima con misure di carattere commerciale e poi, con una lotta senza quartiere, per la supremazia tecnologica.

La guerra commerciale ha registrato almeno un temporaneo successo, ma ha mostrato i suoi limiti per alcuni importanti motivi. Il primo è che, col passare del tempo, la dipendenza della Cina dalle sue esportazioni è progressivamente diminuita. Le esportazioni cinesi, pur essendo di molto aumentate in termini quantitativi, sono passate dal 35% del PIL cinese del 2006 al 17,5% di oggi.

Questo non solo in conseguenza dell’incredibile aumento del PIL nazionale, ma anche per effetto della lievitazione del costo della manodopera e del tasso di cambio del Renbimbi. Oggi la Cina è meno dipendente dal commercio estero perché il suo mercato interno è diventato più grande.

La seconda ragione è che oltre un terzo di queste esportazioni è originato dalle filiali cinesi di imprese multinazionali, per la maggior parte statunitensi, nei confronti delle quali non è certo opportuno infierire da parte del presidente americano. Non si deve inoltre trascurare che, pur in modo non compiuto, il commercio estero cinese si è reso meno dipendente dal dollaro. Le esportazioni fatturate in Renbimbi sono infatti passate dal 2,5% del 2010 al 16,9 del 2016.

Alla lotta commerciale si è perciò aggiunta una sfida tecnologica, campo nel quale gli Stati Uniti vantano un’indubbia superiorità. Sono state quindi colpite le imprese cinesi, come la Huawei, che minacciavano di rompere questa superiorità in un settore così delicato come il 5G, dal quale dipende una parte importante del futuro sviluppo economico e produttivo del pianeta.

La lotta per la primazia in questo campo è in pieno svolgimento. Le carte in mano al governo americano sono poderose dato che alcune componenti chiave del 5G cinese sono frutto della tecnologia americana. Inoltre la pressione degli Stati Uniti sui governi amici, perché non abbiano rapporti con Huawei, è particolarmente forte data la valenza strategica dei prodotti in questione.

La lotta per la preminenza tecnico scientifica è solo agli inizi. Il risultato finale è ancora incerto perché nessuno conosce quali saranno le conseguenze dell’interruzione del flusso degli studenti e degli scienziati fra Cina e Stati Uniti. Incertezza che aumenta se perfino un autorevolissimo punto di riferimento americano come Eric Schmidt, leggendario leader di Google, ha recentemente espresso la convinzione che, nella prossima rivoluzione tecnologica fondata sullo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, la Cina finirà col prevalere, dato l’enorme numero dei suoi abitanti, la facilità di accumularne i dati e, soprattutto, l’enorme quantità di risorse concentrate nella ricerca in questo campo.

Non avendo alcuna competenza per entrare in questa raffinata guerra di previsione sul futuro della tecnologia, mi limito a registrare gli attuali rapporti di forza che vedono ancora prevalere gli Stati Uniti, sia nel campo scientifico che in quello strettamente militare.

Destano tuttavia una certa sorpresa gli effetti che il Covid-19 sta oggi portando nei tassi di sviluppo delle economie dei due paesi. Quando l’epidemia è scoppiata tutti prevedevano che l’economia cinese ne sarebbe stata danneggiata in modo irreparabile. In effetti le conseguenze negative sono state notevoli e, nel 2020, la crescita, che era stata prevista intorno al 6,5%, si limiterà ad un valore compreso fra l’1% e il 2%.

Nello stesso tempo però gli Stati Uniti e l’Unione Europea vedranno calare il loro PIL non meno dell’8%, mentre le previsioni erano orientate verso una cifra positiva tra il 2% e il 3%.

La rincorsa cinese nei confronti del mondo occidentale, almeno per quanto emerge dai dati riferiti alla fine d’agosto, sta quindi procedendo a ritmo più  serrato di quanto non avveniva prima dello scoppio del Covid-19, con un’industria che corre a velocità crescente e con un imprevisto balzo delle esportazioni oltre al 9%.

Vi sono quindi tutti gli elementi perché la grande sfida fra Cina e Stati Uniti proceda, con durezza e determinazione, anche dopo le prossime elezioni. Ci auguriamo soltanto che non sconfini in lotta armata, come sovente è accaduto nella sfida tra un paese in ascesa e un leader stabilizzato. E ci auguriamo che l’Europa, rinfrancata dagli ultimi suoi grandi e inattesi progressi, trovi finalmente le energie per giocare un ruolo da protagonista nelle future trasformazioni del mondo.

 

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