Appello all’esecutivo. I finti sacrifici per le Feste e quelli (veri) in agguato
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 6 dicembre 2020
Paurosi per quanto sta avvenendo, smarriti da un dibattito ormai diventato cicaleccio e scettici sulla possibilità di essere guidati con mano ferma, gli italiani cercano la loro sicurezza affidandosi alla conservazione delle proprie abitudini e tradizioni.
Di qui un dibattito senza fine su come trascorrere le prossime feste e un’attenzione invece quasi distratta ai cambiamenti duraturi che dovremo affrontare in futuro.
Questo non significa sottovalutare l’importanza degli appuntamenti familiari che hanno accompagnato tutti i Natali della nostra vita o la continuazione degli incontri con gli amici in occasione dell’ultimo dell’anno. Tutti avvenimenti che ho sempre considerato importantissimi, ma che debbono essere messi in atto con la flessibilità necessaria per evitare l’arrivo della terza ondata di contagi, prima che il vaccino ci liberi dal virus.
Penso infatti che la sacralità del Natale la si possa incontrare anche andando alla Messa di Mezzanotte qualche ora prima, e penso che sarà ancora più bello rinviare il cenone di San Silvestro a quando potremo celebrare tutti insieme non solo la fine dell’anno, ma anche la fine della pestilenza.
Credo poi, senza temere di essere accusato di ottimismo, che quel giorno non sia così lontano. Non perché io sia esperto in medicina, in quanto la mia ignoranza in materia è totale, ma in conseguenza del fatto che le grandi case farmaceutiche stanno concludendo in modo positivo la fase finale della sperimentazione e che alcuni paesi, come la Gran Bretagna, hanno -anche se in modo un po’ affrettato- annunciato la data di inizio del processo di vaccinazione.
A questo si aggiunge che, quasi quotidianamente, riceviamo notizie sempre più credibili di paesi che hanno sottoscritto, o stanno sottoscrivendo, contratti per l’acquisto di vaccini non solo dalle grandi multinazionali occidentali, ma anche da Russia e Cina.
Qualcuno di questi processi può essere in ritardo e qualche prodotto può avere un’efficacia solo temporanea, ma ormai siamo davvero vicini al traguardo.
In una situazione di questo tipo, la ribellione di fronte a severe, ma temporanee misure di contenimento, appare del tutto incomprensibile. Come del tutto incomprensibile è leggere, in accurate analisi demoscopiche, che quasi un terzo degli italiani non vuole il vaccino obbligatorio, ma vuole ugualmente goderne gli effetti positivi. Eravamo tutti in favore del vaccino quando non c’era e oggi tanti lo rifiutano quando c’è pensando che tutti debbano vaccinarsi, escluso loro stessi.
Continuiamo quindi a dibattere (anche se un po’ più sottovoce) su come dovremo affrontare i pochi giorni di sacrificio, ma cominciamo soprattutto a preparare i cambiamenti che di sicuro trasformeranno la nostra società almeno per un’intera generazione.
Eppure la corsa accelerata verso il “digitale” dovrà assumere in sé tutte le future decisioni necessarie per salvare il nostro paese.
Prima di tutto attraverso l’accelerazione degli investimenti nella Rete, ancora ritardati dalla mancanza dei necessari provvedimenti e da lentezze burocratiche senza fine.
La connettività è infatti divenuta non solo un diritto umano, come il cibo e l’acqua, ma è una forza che trasformerà il nostro modo di lavorare, di imparare e di consumare, incidendo inoltre, in modo drammatico, sulla distribuzione dei redditi.
Gli investimenti nella Rete sono solo un primo passo, al quale deve essere accompagnata la preparazione delle risorse umane capaci di utilizzarli in modo appropriato. Anche in questo campo siamo paurosamente indietro rispetto agli altri paesi europei, con la conseguenza che sarà impossibile mettere in atto la necessaria digitalizzazione delle imprese e della Pubblica Amministrazione.
Siamo di fronte alla necessità di realizzare un processo inclusivo per tutta la nostra società. Esso non
può essere affidato alle
iniziative settoriali e nemmeno alle decisioni separatamente prese dai diversi Ministeri o dalle diverse Regioni, perché le organizzazioni delle strutture pubbliche e private debbono dialogare con procedure e linguaggi tra loro compatibili.
Non si tratta solo di estendere e gestire la futura digitalizzazione, ma di regolare le inevitabili conseguenze dei processi già in corso, processi che il Covid-19 ha diffuso e accelerato. Basta ricordare il settore delle vendite a distanza, con le relative conseguenze nei confronti del commercio tradizionale e delle condizioni di lavoro e di salario di coloro che preparano e consegnano i prodotti.
Come gestire questi fenomeni che cambiano tutti i modelli dell’organizzazione della nostra società e la distribuzione dei redditi di tutti noi? E come organizzare il nuovo ruolo dello Stato? Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ci dice che il Covid-19 sta obbligando i governi ad agire con uno stimolo fiscale pari al 10% del Prodotto Interno Lordo di tutti i paesi ad alto livello di reddito, Stati Uniti compresi. Si tratta di un intervento pubblico necessario e, comunque, impressionante.
Anche su questo grande tema vedo sollevarsi grandi paure e grandi polveroni, ma non vedo alcuna decisione sul nuovo ruolo che lo Stato deve assumere per accelerare i necessari cambiamenti e evitare i processi di iniqua distribuzione del reddito e di emarginazione che il virus sta portando ovunque.
Mentre ci apprestiamo ad accettare i dovuti sacrifici in occasione delle imminenti feste, chiediamo quindi al governo di prendere finalmente le decisioni necessarie per evitare i sacrifici futuri che, in mancanza di queste decisioni, saranno ben più lunghi e dolorosi di quelli che dovremo sopportare nel breve periodo che ci separa dalla fine dell’anno.
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