Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 20 dicembre 2020
Da ormai un mese e mezzo il governo vive in fibrillazione continua. Ogni giorno si è parlato di crisi, rimpasti, elezioni anticipate, fino ad arrivare agli scontri diretti fra governo e forze politiche.
L’ultimo incontro, quello fra Conte e Italia Viva, è stato, ovviamente, il più rilevante. In conseguenza di una mia personale esperienza, sono infatti convinto che i confronti diretti e formali fra il Presidente del Consiglio e un partito della coalizione, anche se piccolo ma con un numero di parlamentari sufficiente per mettere in minoranza il governo, assumono un’importanza particolare.
Al di là degli obiettivi dichiarati o sottintesi dell’incontro, l’aspetto rilevante era che, qualsiasi fosse stato l’esito del colloquio, gli effetti sarebbero stati difficili da prevedere. Per questo motivo, come spesso capita nelle controversie dalle conseguenze non prevedibili, anche questo incontro-scontro si è concluso con un rinvio.
Passerà quindi un altro mese, durante il quale, almeno in teoria, le possibili conseguenze dovrebbero divenire più chiare e comprensibili, e quindi si arriverà finalmente a un accordo o a una rottura.
Anche se sono convinto che, come è avvenuto in Europa per Polonia e Ungheria, la realtà dei fatti obbligherà ad un accordo, mi limito a sottolineare come queste prolungate incertezze stiano pesantemente ostacolando la formulazione dettagliata e la precisa definizione del cammino da compiere per preparare il progetto italiano dedicato all’impiego dei fondi europei.
Non siamo stati ovviamente in grado di presentare, come è avvenuto in Francia già all’inizio di settembre, un piano preciso e dettagliato in decine di capitoli nei quali sono elencati, uno per uno, gli obiettivi, i fondi disponibili, le autorità amministrative responsabili e il giorno di consegna dei singoli progetti. Anche se lanciato col titolo evocativo di “France Relance“, il volume risulta estremamente efficace, ma altrettanto noioso.
Tre mesi dopo è uscita la nostra bozza di piano, con il raffinato titolo: “Piano di Ripresa e Resilienza“. Rispetto a quello francese, ha caratteristiche opposte: tanto evocativo nel delineare gli obiettivi generali e le necessarie riforme, quanto ancora indefinito nel precisarne i singoli progetti con i costi, i tempi, i metodi e i responsabili per metterli in atto.
Non è qui la sede per criticare la distribuzione dei fondi tra i sei capitoli indicati dal progetto della Commissione Europea: sottolineo solo come le risorse destinate alla scuola e alla sanità siano del tutto insufficienti in relazione agli obiettivi e all’importanza di questi settori. Mi limito a riflettere sul metodo da seguire per arrivare presto e bene alle decisioni necessarie per elaborare la nostra strategia della ripresa post-Covid.
La responsabilità politica non può che essere in capo al Presidente del Consiglio, coadiuvato, come è naturale e comune in tutti i paesi, dai ministri responsabili dell’economia e sotto il continuo stimolo e controllo del Parlamento.
La necessaria e quotidiana funzione di coordinamento con i ministeri, le autorità regionali e locali deve tuttavia essere esercitata da una struttura a questo dedicata. In Francia è l’Autorità di Piano e in Italia, è chiamata CIPE, cioè Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica.
Una struttura recentemente messa in un angolo e che deve essere perciò urgentemente rinforzata dall’immissione di funzionari pubblici di alto livello e, dove necessario, integrata da collaudate competenze esterne. Il loro contributo tecnico è prezioso, ma non è in grado di produrre in pochissimi mesi i risultati che sono il frutto, invece, di un’approfondita conoscenza non solo del settore nel quale operano, ma anche del funzionamento delle strutture pubbliche.
Solamente una mobilitazione straordinaria e coordinata delle diverse burocrazie, aiutata dalla messa in atto dei propositi di riforma e semplificazione contenuti nel Piano, può creare e rendere operativa la cultura del cambiamento necessaria per utilizzare i fondi europei.
Si può giustamente obiettare che la nostra burocrazia non è, in molti casi, al livello di quella degli altri paesi, e si può anche sottolineare che, negli ultimi anni, essa è stata ulteriormente indebolita per quantità e qualità.
Questa constatazione non ci fornisce tuttavia un’alternativa migliore rispetto alla necessaria, anche se difficile collaborazione, fra politica e burocrazia. Una task-force esterna non avrebbe i necessari strumenti di analisi e non potrebbe che essere rifiutata dal Parlamento e da tutti i rappresentanti della politica regionale e locale.
Mi auguro quindi che questo mese che ci separa dal futuro confronto, sia utilizzato per costruire lo strumento necessario a rendere operativo il nostro Piano di Ripresa e Resilienza. Come ultima curiosità personale mi sono chiesto come mai, nel titolo di questo documento, si sia usata la parola “Resilienza”, così di moda nelle analisi socio-politiche ma, nello stesso tempo, così poco conosciuta dai comuni mortali.
In questi casi non resta che ricorrere al vocabolario. L’autorevole Zingarelli definisce la resilienza come “la capacità di un materiale di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi”.
Che sia questo il motivo per cui il governo ha scelto questo titolo così particolare e, in questo caso, così benaugurante?
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