Il Mare Nostrum: l’ateneo tra Nord e Sud che serve all’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 dicembre 2020
Forse nessuno ricorda che, nella sua lunga storia, il Mediterraneo non è stato solo un simbolo di ostilità e divisione fra coloro che si affacciano alle sue sponde, come è invece oggi. Il Mare Nostrum è stato, per molti anni, il luogo di un positivo intreccio di commerci e di rapporti fra i popoli.
Fino a poco più di un secolo fa, centinaia di migliaia di italiani vivevano e operavano nella sponda sud, da Aleppo a Smirne, fino ad Alessandria d’Egitto, alla Tunisia e alla Libia. Si trattava di piccoli e medi operatori economici, commercianti, artigiani, medici e professionisti, tanto numerosi e attivi per cui la lingua franca del Mare Nostrum non era l’inglese o il francese, ma una specie di siculo-arabo-napoletano, con cui la gente comune affrontava tutti i problemi quotidiani.
Nulla di tutto questo avviene oggi. Abbiamo in molti casi buoni rapporti economici, ma si deve prendere atto di una crescente estraneità fra le nostre società. Eppure non possiamo parlare di una rinascita del Mediterraneo se non ricostruiamo una più vasta e profonda comunità di interessi e di rapporti quotidiani fra gli uomini e le donne del nord e del sud.
Rapporti che sono fondamentali per ogni strategia di rinascita del Mezzogiorno. Le nostre regioni meridionali non hanno un futuro se, di fronte, vi è solo il vuoto o la guerra. Debbo onestamente ammettere che, nel nostro paese, manca la coscienza di questa semplice realtà.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, essa è ancora troppo divisa per essere in grado di porre fine alle guerre ma, se spinta dall’iniziativa dell’Italia e degli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, può trovare l’unità di intenti necessaria per mettere in atto nuovi progetti, dedicati a ricostruire quei rapporti fra i popoli che sono necessari perché il mare ritorni ad essere Nostrum. Con la consapevolezza che la parola “Nostrum” assume oggi un significato nuovo: significa costruire rapporti cooperativi e paritari fra le genti del nord e del sud.
Ho sempre pensato che questo progetto dovesse fondarsi soprattutto sui giovani. Il che, in questo ventunesimo secolo, non può che partire dalle Università.
Per questo motivo, nel lontano 2001, proposi alla Commissione Europea, di cui ero presidente, di accompagnare l’allargamento a Est, diventato urgente dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, con la creazione di Università miste e paritarie fra i paesi europei che si affacciano nel Mediterraneo e i paesi della sponda sud. Università miste non significa portare in Tunisia o in Libia le filiali di nostre Università, ma inventare strutture accademiche con un’ unica sede divisa fra sud e nord, con un uguale numero di professori del sud e del nord, con un uguale numero di studenti del sud e del nord e con l’obbligo degli studenti di frequentare lo stesso numero di anni a sud e a nord. E proposi anche, per evitare equivoci, di non iniziare da facoltà politicamente sensibili, ma di cominciare con ingegneria, fisica, scienze, chimica, medicina e agraria.
La proposta implicava, ad esempio, la fondazione di un ateneo con sede a Bari (o Lecce) e ad Alessandria d’Egitto, un altro a Napoli e Tripoli, e un terzo fra un’ Università della Sicilia e Tunisi, mentre la Spagna avrebbe fatto altrettanto con le Università del Marocco e la Francia con l’Algeria o con paesi del Sahel.
La proposta non fu nemmeno discussa perché i miei collaboratori mi fecero presente che, per la Gran Bretagna e altri paesi del nord, si trattava di soldi buttati.
Il quadro è progressivamente mutato nel tempo: oggi la situazione è radicalmente cambiata. Alla frustrazione europea per non riuscire ad essere protagonista della pace nel Mediterraneo, si accompagna la consapevolezza che il processo di deterioramento sta producendo tragedie sempre più grandi, con i conflitti armati, le migrazioni bibliche, l’illegalità dilagante e l’espansione del terrorismo.
I denari che vent’anni fa sembravano buttati sono diventati oggi un necessario investimento per il futuro. Nell’ambito della Commissione Europea vi è ora la consapevolezza che i maggiori elementi di instabilità per il nostro continente non vengano più da est ma dal sud, dove Turchia e Russia esercitano un potere politico che trova una sua ragione d’essere solo nella nostra divisione.
D’altra parte, di fronte alla nuova politica europea, il costo di un progetto di questo tipo non costituisce certamente un problema insolubile. E, in ogni caso, si tratta di un investimento molto più lungimirante di quello, pur necessario, dedicato a pattugliare il mare.
Si apre, con questo, un’occasione di importanza fondamentale per l’Italia: saldare i paesi del Mediterraneo in un progetto che è di vantaggio per tutta l’Europa.
All'importanza che esso ha per il nostro Mezzogiorno sento il dovere di aggiungere la necessità che l’Italia assuma un ruolo guida in un progetto che la riporti, come protagonista attivo, nella costruzione di un nuovo Mediterraneo.
Ho la ferma convinzione che, se portato avanti insieme a Spagna, Francia e agli altri membri mediterranei dell’Unione, avrà il pieno appoggio della Commissione, del Consiglio e del Parlamento Europeo.
A condizione, naturalmente, che le nostre città e le nostre regioni non comincino a litigare fra di loro ancor prima che si discuta del problema.
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