News and comments from the Capital of the United States (and other places in the World) in English and Italian. Video, pictures, Music (pop and classic). Premio internazionale "Amerigo".
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Un Grande Presidente e un grande libro
Federico Rampini per “il Venerdì di Repubblica” (Dagospia)
«Fare il presidente degli Stati Uniti è come partecipare a una gara a staffetta. Prendi il testimone da chi ti ha preceduto: alcuni erano degli eroi, altri erano al di sotto dell' ideale. Se corri al meglio delle tue forze, quando passi il testimone la nazione o il mondo saranno un po' meglio di prima».
Questa descrizione che Barack Obama mi propone per la nostra intervista è tipica del personaggio, è nello stile del suo libro Una terra promessa, da poco uscito per Garzanti. È la prima puntata delle memorie di uno statista acutamente consapevole dei propri limiti e dei limiti della politica in generale; un uomo capace di osservare se stesso e l' America quasi dall' esterno, con distacco, disincanto, aspirando a una lucida oggettività.
Nelle risposte alle mie domande Obama sfodera il tono pacato che ricordo dalla sua presidenza; anche se non tutti i suoi sostenitori lo ammiravano per quello. La destra, poi, denunciò la sua politica estera come un cedimento continuo, descrisse Obama come «il presidente che va nel mondo a scusarsi per le colpe dell' America»: una forzatura evidente, che però coglieva una sua caratteristica, la consapevolezza del declino relativo dell' America, nei rapporti di forze mondiali.
Un atteggiamento quasi più da studioso di geopolitica che da uomo di governo. Il libro ce lo restituisce nella sua complessità: leader carismatico, trascinatore di folle, con l' eloquenza magistrale di un predicatore alla Martin Luther King; ma assai moderato nell' attività di governo, e non solo perché ebbe spesso il Congresso contro (come lo avrà Joe Biden).
Ritrovo in lui qualità utili non solo per attutire i traumi di quattro anni di trumpismo, ma anche per abbassare le aspettative verso la presidenza Biden, che non potrà segnare svolte epocali.
Obama con questo libro forse non strapperà consensi a Donald Trump; ha già irritato la sinistra più radicale, quelle frange estremiste di Black Lives Matter per le quali lui non è mai stato "abbastanza nero".
Qui e là, nelle recensioni sulla stampa progressista americana, in mezzo a tanti elogi trasuda il disappunto perché questo libro non sarebbe sufficientemente duro nel denunciare il razzismo - non solo di Trump, ma anche degli operai bianchi che lo votano. Che Obama provi a capire questo elettorato, è una "debolezza" che la sinistra non gli perdona. Si spiega con la sua storia, ed è la prima domanda che gli rivolgo in questa intervista esclusiva per l' Italia.
Signor presidente, lei scrive che negli anni dell' università riuscì a «vaccinarsi contro le formule rivoluzionarie adottate da tante persone di sinistra all' alba dell' era Reagan». Quanto è attuale il rischio di una radicalizzazione che impedisce ai giovani più militanti di parlare alla maggioranza degli americani?
«Vede, questa è una delle questioni fondamentali in politica: quanto vuoi spingerti lontano? Ci saranno sempre degli scontenti sulla risposta che diamo. Io mi sento ispirato dall' energia e dall' idealismo dei giovani.
Per parafrasare Bob Kennedy: la loro generazione non vede il mondo com' è e chiede come mai; invece sogna cose che non ci sono mai state e chiede perché no. Ci saranno momenti in cui sono in contraddizione con il resto degli americani. Così funziona la democrazia: ti siedi attorno a un tavolo con persone che non la pensano come te, e cerchi di convincerle. Se non ci riesci, accontentati di quello che ottieni.
Perché in una nazione pluralista, nessuno mai ottiene tutto quello che vuole. Soprattutto in America, dove il nostro sistema politico ha tanti contrappesi e bilanciamenti. Come scrivo nel libro, ci siamo dovuti confrontare direttamente con questi vincoli nel corso della mia presidenza.
Nella battaglia per la riforma sanitaria, ad esempio, avrei voluto aggiungere un' opzione pubblica (la possibilità di ottenere l' assicurazione per le cure mediche dallo Stato, ndr), ma non avevamo i voti per farlo, e così ho firmato e varato la migliore riforma possibile in quelle circostanze, anche se non era perfetta.
Le grandi riforme sociali della nostra storia, dal Medicare (assistenza sanitaria per gli anziani) al sistema pensionistico, nacquero in forme incomplete, vennero migliorate dalle generazioni successive. Se la nuova generazione sarà capace di trasformare i movimenti in leggi e politiche, l' attivismo avrà generato un cambiamento durevole».
Copenaghen 2009 fu il suo primo summit sul cambiamento climatico. Nel libro lei descrive la duplice delusione degli europei: perché gli Stati Uniti non potevano firmare un accordo modello Kyoto, e perché la Cina rifiutò di sottomettersi a qualunque verifica internazionale sulle sue emissioni. In seguito la Cina ha fatto dei passi avanti (grazie al summit di Parigi con lei e Xi Jinping, nel 2015) mentre gli Stati Uniti hanno fatto marcia indietro. Lei ha fiducia che con Biden si possa recuperare il terreno perduto?
«Il vertice di Parigi nel 2015 fu importante per convincere il mondo a riconoscere il cambiamento climatico e impegnarsi a risolverlo. Sono felice che Joe Biden voglia tornare a rispettare quell' impegno.
Ma rientrare negli accordi di Parigi non basta. Dobbiamo fare investimenti massicci nell' energia pulita, nei trasporti non inquinanti, nell' agricoltura sostenibile. Dobbiamo aumentare la ricerca nelle tecnologie che creano posti di lavoro riducendo la dipendenza dalle energie fossili. La buona notizia è che l' America torna a essere leader nella lotta al cambiamento climatico. I giovani di tutto il mondo ce lo stanno chiedendo. Se seguiamo la loro guida, questa generazione non solo cambierà il mondo, ma lo salverà».
BARACK OBAMA
Angela Merkel lascerà presto il suo incarico dopo un record di longevità politica nella storia tedesca. In Una terra promessa Merkel è uno dei leader stranieri che lei cita più spesso e con grande rispetto. Come definisce il suo lascito, per le relazioni transatlantiche?
«Ha ragione, sono veramente affezionato alla cancelliera Merkel. Fin dal nostro primo incontro, che risale alla mia visita in Germania da candidato all' elezione presidenziale del 2008, rimasi colpito dalla sua intelligenza, dal suo pragmatismo, e dal suo senso dell' umorismo. Intuii subito che se fossi stato eletto avrei voluto costruire una relazione speciale con lei. Ed è proprio quel che feci una volta alla Casa Bianca.
angela merkel barack obama
Nel corso dei miei due mandati abbiamo lavorato a stretto contatto, sia nei rapporti bilaterali sia in seno al G7 e alla Nato. Ho ammirato in lei la capacità di difendere al tempo stesso l' interesse dei suoi elettori e il nuovo ordine mondiale. Rimasi così impressionato dalla sua leadership, da conferirle la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile negli Stati Uniti».
Lei è entrato nella storia come il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti e per molti la sua elezione fu la realizzazione di un sogno, la conferma di tutto ciò che l' America è capace di fare. Poi però, lei scrive che la sua presenza alla Casa Bianca «innescò la sensazione che l'ordine naturale era stato sconvolto». Qual è l' eredità di Obama per lo stato della questione razziale?
«Non ho mai pensato che la febbre del razzismo sarebbe stata guarita dalla mia elezione. Non ho mai creduto che fossimo entrati in un' era post-razziale. Sì, durante la mia presidenza ci fu un contraccolpo. Per alcuni io ero un simbolo, un segnale che il loro gruppo stava perdendo status.
La mia presenza preoccupava certe persone, consciamente o no. Poi ci fu chi seppe sfruttare quelle paure. C' è un filo che unisce i comizi eccitati di Sarah Palin (la populista candidata vicepresidente nel ticket repubblicano del 2008, con John McCain, ndr) e la teoria del complotto propagandata da Donald Trump sulla mia presunta nascita in Africa. Tuttavia, durante la mia presidenza un' intera generazione di giovani è cresciuta pensando che non sia strano né eccezionale avere un presidente nero.
Se lei parla con la generazione delle mie figlie, hanno atteggiamenti più aperti, e non solo sulla razza ma anche sulle questioni sessuali. L' America è un esperimento importante per il mondo intero, non solo perché i casi della storia hanno fatto di noi la nazione più potente, ma anche perché siamo il primo esperimento di queste dimensioni nella costruzione di una vasta società multietnica e multiculturale. Non sappiamo se reggerà. Questo lo decide ogni generazione».
Una delle finalità del libro e della sua attività dopo aver lasciato la Casa Bianca è di ispirare i giovani, attirarli verso la politica o qualche forma di servizio pubblico. Vede nascere una nuova leva di leader? E qual è l' impatto della pandemia, dei lockdown, della recessione, sulla generazione di Sasha e Malia?
«Una nuova generazione di leader è già qui in mezzo a noi. Se volete una ragione di speranza e fiducia nel futuro, sono loro. Malia e Sasha e i loro coetanei hanno un forte senso di giustizia e sono decisi a battersi per quello.
Pensano che l' economia dovrebbe offrire pari opportunità per tutti, e che l' ambiente va protetto. Il cambiamento lo faranno loro. Certo non sarà facile per questa generazione iniziare una carriera lavorativa nel mezzo di una pandemia. Ma confido nella loro resilienza.
Questo libro l' ho scritto per invitarli non solo a immaginare un mondo migliore, ma a costruirlo. Non basta eleggere un presidente, poi sperare che faccia il suo lavoro. Bisogna rimanere informati e impegnati, oltre a continuare a votare. Solo se partecipi, a livello nazionale e locale, puoi ottenere un governo che rifletta le tue aspirazioni».
Alla vigilia di una nuova presidenza democratica, come vede il ruolo mondiale degli Stati Uniti?
«Fin dall' inizio del mio primo mandato fu chiaro che non potevamo affrontare da soli le sfide più serie: la crisi finanziaria, i disastri del cambiamento climatico. Nel corso degli otto anni della mia presidenza il mondo divenne ancora più interconnesso. Dovevamo offrire una leadership americana per arruolare altri, e tutti insieme affrontare i problemi comuni.
Però le stesse forze di integrazione globale che ci hanno reso interdipendenti hanno anche messo a nudo delle fratture profonde nell' ordine internazionale.
Oggi insieme alla pandemia continuano altre crisi e sfide: le migrazioni di rifugiati, gli shock economici, i conflitti etnico-religiosi.
È passato più di un quarto di secolo dalla fine della guerra fredda, il mondo per certi versi è più prospero, ma le nostre società sono piene d' incertezza e disagio. Se i popoli perdono fiducia nelle istituzioni, governare diventa più difficile e le tensioni fra nazioni si accentuano. Perciò siamo di fronte a un bivio. Possiamo scegliere di andare più avanti, con un modello migliore di cooperazione e di integrazione.
Oppure possiamo arroccarci in un mondo diviso, in conflitto, arretrare dentro i confini più tradizionali dei nazionalismi, dei tribalismi, delle razze e delle religioni. Io non credo che possiamo rifiutare l' integrazione globale. Dobbiamo lavorare tutti insieme perché i benefici di questa integrazione siano diffusi equamente.
Dobbiamo affrontare i costi e i disagi - economici, politici, culturali - che questa integrazione comporta. Gli Stati Uniti hanno l' obbligo morale e pratico di promuovere un ordine internazionale basato su valori universali, e regole chiare. La nostra potenza non deriva solo dalle armi o dall' economia, ma dalla storia che rappresentiamo».
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