Translate

Sono bastati pochi giorni.....

 Alberto Pasolini Zanelli 

Non ci sono volute neppure le settimane previste dai pessimisti. Sono bastati pochi giorni, poco più di poche ore a far ripiombare l’Afghanistan nell’inferno della dittatura che porta il nome di talebani. Che è poco più di una sigla per il nome autentico e profondo: “Studenti di teologia”. Negli ultimi otto o dieci secoli nessuno aveva scovato una formula più surreale per il resto del mondo, ma precisa per il “girone” che in queste ore vediamo e che si sente ripiombato in un inferno di morte e di tortura che non ha eguali in nessun’altra terra dominata dal fanatismo musulmano. Gli afghani lo sanno, anzi lo sapevano dalla loro prima esperienza di vent’anni fa e sanno, quelli che possono, dove scappare: i più hanno cominciato a camminare verso l’Uzbekistan, una ex Repubblica sovietica che ha avuto i legami rallentati dalla disgregazione dell’Urss. Ci si arriva a piedi, fra le montagne e dovrebbe essere più fragile la barriera che i talebani stanno erigendo tutt’attorno i propri confini. È ancora in qualche modo valicabile, in queste ore, dall’aeroporto di Kabul, da cui partono e arrivano aerei ed elicotteri americani. La visione ricorda anche troppo quella del precedente che il potere di Washington si preoccupava al massimo di resuscitare, scene di un film girato a Saigon nelle ore della prima sconfitta della storia americana. Tentavano allora la fuga i “collaborazionisti” e i brandelli rimasti del dominio coloniale francese. E il nemico era il comunismo. Oggi in Afghanistan il terrore è tale che perfino una terra tuttora firmata “sovietica” è un corridoio di libertà. 

Il paragone permane, le differenze sono ancora più attuali. Nel 1975 fu un Segretario di Stato che aveva fatto di tutto per evitare quella débàcle, Henry Kissinger, a trasmettere al presidente che il dramma si era concluso. Questa volta l’inquilino della Casa Bianca non ha avuto bisogno di ricevere un annuncio che quasi tutti avevano indovinato in anticipo. Il caso di Joe Biden è molto diverso: la scelta di quella che tanti chiamano “fuga” è stata sua e soprattutto il momento perché l’idea risale a quattro presidenti, compresi Ford, Obama e, ultimo, Donald Trump, il predecessore cui oggi si cerca di scaricare addosso tutte le responsabilità, perfino la diffusione planetaria del Coronavirus, che ribatte quasi tutti i “servizi”, che aveva ereditato la “soluzione” di Obama e scelto una data che poi aveva di recente anticipato, dando a qualcuno l’impressione di avere fretta. I talebani sono un amico feroce ma relativamente nuovo, l’Afghanistan in sé più antico. Fra gli anniversari di questa sanguinosa storia c’è quello dell’aiuto anche militare degli Stati Uniti ai talebani che volevano liberare Kabul dal “protettorato” di Mosca. Se ne occupò anche Gorbaciov, che aspettò a dare l’annuncio il giorno della prima visita di Reagan a Mosca. A complicare ulteriormente la vicenda, venne poi la strage di Bin Laden a New York e la necessità per l’America di colpirne gli autori, che erano ultraislamici, non di marca talebana ma che a Kabul avevano trovato aiuti e copertura. 

Una storia lunga, davvero, in cui l’America è stata costretta a coinvolgersi e lo ha fatto con grande impegno, ma non altrettanta saggezza. Non le ha giovato la risposta, comprensibilmente aspra, all’aggressione terrorista e, almeno altrettanto, la scelta, inevitabile, fra i diversi mali. Il più lontano nel tempo, l’aiuto fornito ai talebani per “liberare” l’Afghanistan dai russi e, più recente ma durata vent’anni, la decisione di sganciare quel capitolo di storia dalla partecipazione attiva e prolungata. L’ultimo a pensarlo è stato Biden e il primo a sentirsi obbligato ad esporre delle scuse, ancora ieri in un appello televisivo al popolo americano non troppo convincente come era inevitabile. Il suo “peccato”, denunciato da quasi tutti, a cominciare dai militari, peserà quanto le altre sfortune che si abbattono sull’America e sul resto del mondo. 

Pasolini.zanelli@gmail.com 

 

No comments:

Post a Comment