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L'ospedale da campo di Papa Francesco



 An intensive-care unit at Mirwais Hospital in Kandahar, seen in 2007 ...

Alberto Pasolini Zanelli
Una delle prime frasi che inaugurarono il pontificato di Francesco e aprirono le orecchie a osservatori abituati ad angoli visuali più ristretti riguardava una funzione “terapeutica” della Chiesa cattolica. Che doveva essere, disse Jorge Bergoglio, un “ospedale da campo” per le anime (ma non soltanto quelle) dei cristiani (ma non soltanto loro) che soffrissero delle ferite inferte loro dal mondo e dalla vita. Nessuna di quelle parole era nuova, quasi inedito il concetto, anzi l’afflato che esprimevano. In una manciata di mesi si è constatata la loro attualità e concretezza. In termini bonari e “riduttivi”, il primo pontefice del terzo millennio aveva ripetuto l’appello del suo predecessore Benedetto XV giusto un secolo fa agli statisti di un’Europa immersa fino al collo nel bagno di sangue della Prima guerra mondiale. La chiamò “inutile strage”. Il suo appello non fu accolto. Era rivolto agli statisti, ai padroni degli eserciti, non alle anime. La “dottrina” di Papa Francesco è più concreta, più realistica. Si esprime non soltanto in appelli ma anche e soprattutto in colloqui: né minaccia scomuniche né offre soltanto preci.
L’ultimo interlocutore è stato Vladimir Putin, “pellegrino” in Vaticano e dunque in Italia in un momento di crisi europea e internazionale che rischia di compromettere buona parte dei frutti di quel miracolo laico che è stata la fine della Guerra Fredda. Un pericolo reale, scarso di paroloni, ricco di concrete ferite ai protagonisti del Grande Gioco e a tutti gli altri esseri umani. L’incontro non è stato una predica ma un colloquio, concreto e perfino terra terra nonostante la nobiltà degli intenti. Al ritorno “guerriero” che ci minaccia tutti mancano finora dichiarazioni e proclami, ma esso si nutre di violenze autentiche, forse non configurabili come battaglie e di aggressive diplomazie. Putin è venuto a parlare delle ostilità in corso in Ucraina ma anche delle guerre commerciali  ed economiche che, almeno in parte, ne derivano. Soprattutto in Europa. Dell’Est come dell’Ovest, ma più chiaramente della vita quotidiana dei Paesi che non vi partecipano militarmente. A cominciare dall’Italia, che soffre dei mali che conosciamo e che si è vista costretta, molto per dovere di lealtà ma anche per i calcoli di qualche alleato, a subire una costosa e dolorosa frattura nei rapporti, in sé fiorenti, con la Russia il cui sviluppo è stato uno dei pochi aspetti positivi degli ultimi anni.
Il pontefice, evidentemente, non ha parlato in questi termini con il visitatore ma nei suoi consigli, solo apparentemente generici, queste preoccupazioni sono risuonate: poche ore dopo quel curioso “vertice” capitolino, Silvio Berlusconi ha presentato formalmente la proposta di Forza Italia per la sospensione delle sanzioni economiche contro Mosca, raccogliendo plauso e solidarietà ai due “estremi” dello schieramento parlamentare, dal Movimento Cinque Stella alla Lega. L’opinione pubblica italiana, del resto, vi è contraria a netta maggioranza a una escalation, soprattutto che comprenda misure militari come la fornitura di armi al governo ucraino, inclusa quella tedesca. Una approvazione si delinea nei soli Stati Uniti, accoppiata però al rifiuto di ulteriori misure di guerra economica.
L’area delle inquietudini è comunque vasta. Per ridurla non c’è una strada sola. È concepibile invece una “formula” complessa ed ambigua, che si esprima in un linguaggio accettabile a tutti gli interessati. Che convinca Putin che troppo alto è il prezzo che la Russia finirebbe col pagare se non si materializzasse quella pur parziale “distensione” promessa nel trattato di Minsk e mai completamente attuata. L’Occidente dovrà però estendere le proprie riflessioni verso il riconoscimento che non tutte le radici della neo Guerra Fredda che incombe si trovano tra Kiev e la Crimea. Ci sono dei precedenti che segnano una escalation su scala più globale. Che si era manifestata, per esempio, già alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Sochi, anteriori a quella decisione “russofila” del governo ucraino che scatenò le reazioni nelle strade e il suo abbattimento ad opera della piazza. Poco prima, invece, un intervento militare diretto americano in Siria era stato evitato da una soluzione diplomatica attraverso la mediazione proprio di Putin. Le prospettive da allora sono peggiorate, ma i giochi non sono fatti. La pace “miracolosa” che Reagan e Gorbaciov fabbricarono a chiusura della Guerra Fredda può forse essere ancora salvata. Magari proprio nell’ospedale da campo che ha Papa Francesco come primario.